giovedì 31 marzo 2016

Francesco Pappalardo, "Dal banditismo al brigantaggio" (Ed. D'Ettoris)

di Domenico Bonvegna

Anche se ancora bisogna fare molto per far conoscere la storia degli Insorgenti, tanto è stato fatto in occasione del bicentenario della Rivoluzione Francese. Infatti nel 1989, vi è stata una rinascita degli studi dei moti popolari antirepubblicani e antifrancesi del 1799. Un apporto fondamentale a questi studi è stato dato dall'ISIN, l'Istituto Storico dell'Insorgenza, fondato a Milano nel 1995, poi denominato, ISIIN, Istituto Storico dell'Insorgenza e per l'Identità Nazionale. L'Istituto sta facendo un lavoro rigorosamente ben documentato da diversi studiosi, tra cui lo stesso Pappalardo, autore del testo pubblicato nel 2014 da D'Ettoris Editori, “Dal banditismo al brigantaggio”. A cura dell'istituto, si può accedere in rete a un ricco sito internet, Identitanazionale.it, diretto da Oscar Sanguinetti.
Le caratteristiche generali delle Insorgenze.
Le insorgenze popolari contro le truppe napoleoniche, secondo Pappalardo, “costituiscono forse la prima eloquente modalità di espressione, in Italia e nei fatti, del conflitto fra società tradizionale e modernità politica”.Peraltro testimoniano che nonostante ancora non esisteva un organismo statuale unitario, cioè una nazione italiana,“esisteva già con una precisa identità religiosa e culturale, che costituisce la premessa indispensabile all'unità di un popolo”. Inoltre Pappalardo fa notare che la popolazione italiana, nonostante le diversità e i contesti diversi, ha reagito al nemico francese, non solo perchè straniero, ma anche e soprattutto“perchè portatore di una concezione del mondo ostile alle proprie tradizioni religiose, culturali e politiche”. Accade la stessa cosa anche negli altri Paesi europei, dove le popolazioni colgono il carattere sovversivo delle invasioni napoleoniche, che non intendono impadronirsi soltanto del potere,“ma anche servirsene per cambiare il modo di pensare dei sudditi”. Pertanto, scrive Pappalardo, queste popolazioni,“reagiscono, con un moto istintivo e talora confuso, rifiutando, anche con le armi, l'imposizione di un'ideologia, dunque di uno stile di vita”.
La reazione più nota all'ideologia rivoluzionaria dei principi dell'89 si è avuta nel Regno di Napoli. Qui i principi della rivoluzione francese avevano attecchito sui nobili, spesso ridotti a cortigiani e semplici proprietari terrieri, “decorati di titoli pomposi e sempre meno significativi, desiderosi soltanto di mantenere intatti i propri privilegi senza fornire alla comunità un corrispettivo di servizi”. Dallo sfaldamento dell'antico sistema ne trae beneficio un nuovo ceto, quello “borghese”, composto in prevalenza da avvocati, negozianti e professionisti. In nome delle idee illuministe fanno incetta di terre, grazie sopratutto all'usura e all'incameramento dei beni ecclesiastici. In pratica per Pappalardo, si è interrotto il contatto esistenziale, quella solidarietà fra signori e contadini, che era stato la caratteristica fondante della società dell'Antico Regime. Infatti il ribellismo di fine XVIII secolo si scaglia contro i nuovi usurpatori, i nuovi ceti in ascesa, che mettevano in discussioni secolari equilibri sociali. A questo proposito scrive lo storico Spagnoletti: “Intere comunità locali si sollevarono contro il peso della fiscalità crescente, contro il servizio militare, contro la perdita di controllo nell'utilizzo delle risorse locali, contro l'eccesso di centralismo e di burocratizzazione nei rapporti civili e amministrativi”.
Sostanzialmente la reazione popolare, non è antifeudale né antiaristocratica, “ma è rivolta contro la nuova mentalità rivoluzionaria, che imponeva un'economia senza vincoli corporativi e senza remore morali, infrangeva i legami esistenti fra i diversi ceti e veicolava una cultura estranea e avversa alle tradizioni civili e religiose del paese”. Ecco perchè certa storiografia si scandalizza nel constatare le frequenti resistenze che queste popolazioni “oppongono a quei cambiamenti politici ed economici che secondo gli illuministi avrebbero dovuto portare loro benefici consistenti”.
Pappalardo nel libro precisa che fra l'Insorgenza e il banditismo esiste un legame costante, anche se sono due fenomenti distinti. “Il banditismo, manifestazione talvolta di devianza e talaltra di protesta 'politica', è una costante della storia moderna europea, che preesiste all'Insorgenza; ma questa vi si alimenta e, a sua volta, ne determina la moltiplicazione e la propagazione”. Tuttavia le leggi repubblicane e imperiali francesi hanno creato “categorie di fuorilegge inediti, come i renitenti alla leva o i proscritti politici e tutti quelli che, opponendosi al nuovo ordine rivoluzionario, sono definiti 'briganti'. Questo nome è stato dato ai vandeani realisti nel 1793.
La storia delle Insorgenze.
L'insorgenza è un fenomeno che coinvolge l'Europa ovunque giunge la Rivoluzione. Sinteticamente vanno ricordate, le rivolte nella francia occidentale, dalla Vandea alla Bretagna, negli anni 1793-1794 e 1799-1800. Poi la sollevazione generale dei contadini della riva destra del Reno, nel 1796; la rivolta di otto cantoni della Svizzera, sei dei quali cattolici, nel 1798 e nel 1799. E poi la rivolta di Andreas Hofer nel Tirolo nel 1809, infine, forse quella più conosciuta, la grande insurrezione della Spagna, dal 1808 al 1813.
Mentre per quanto riguarda l'Italia, l'Insorgenza si è manifestata in tutta la penisola, tranne la Sardegna e la Sicilia, perchè i francesi sono stati respinti.Viene comunmente suddivisa in due fasi. La prima in reazione all'arrivo delle armate francesi repubblicane e poi quella del periodo napoleonico (1804-1814). Il lavoro solido e aggiornato di Pappalardo inizia dalla rivolta dei “barbetti”, i montanari del Nizzardo, poi si passa ai contadini di Pavia e di Lodi, di Como e di Varese, le valli bergamasche e quelle bresciane. Poi seguendo l'avanzata delle truppe francesi,insorgono le Romagne: Imola, Faenza, Cesena e Lugo. Quindi le “Pasque Veronesi”. Si verificano insorgenze in Umbria, nel lazio, a Napoli e le mille insorgenze del Regno, che poi confluiranno nell'epopea della Santa Fede del cardinale Fabrizio Ruffo.
“L'oocupazione rivoluzionaria, specialmente negli anni fra il 1796 e il 1799, viene caratterizzata dalle brutalità compiute contro gli insorgenti e contro i popolani in genere, non chè dalla sistematiche spoliazioni del patrimonio artistico e devozionale della penisola”. Per Pappalardo “meriterebbero più attenzione sia il saccheggio di moltissimi capolavori da parte delle armate di Napoleone sia la nascita in Italia delmuseo moderno”. Impressionante il quadro della guerra tracciato dallo storico Carlo Zaghi nel 1809. Naturalmente qui non possiamo dilungarci nei particolari, la lettura del volume di Pappalardo potrà dare un quadro abbastanza esaustivo. Scrive Benedetto Croce, quando l'esercito rivoluzionario francese invade il Regno di Napoli, la “monarchia napoletana, senza che se lo aspettasse, senza che l'avesse messo nei suoi calcoli, vide da ogni parte levarsi difenditrici in suo favore le plebi di campagna e di città, che si gettarono nella guerra animose a combattere e morire per la religione e pel re...”. Napoli, mentre il sovrano si rifugia a Palermo, viene conquistata dopo tre giorni di scontri sanguinosi tra i francesi e la popolazione, viene proclamata la repubblica, cui aderiscono intellettuali illuministi, chierici e prelati di simpatie giansenistiche, rappresentanti del foro e delle professioni provenienti dai circoli massonici. Il popolo invece rimane fedele al sovrano ed è pronto a insorgere al momento opportuno.
La rivincita arriva con l'armata della Santa Fede del cardinale Ruffo, sbarcato in Calabria, inizia a riconquistare il Regno, marciando sotto il vessillo della Croce. “La religione, il suo prestigio personale e il richiamo al re costituiscono una miscela esplosiva che Ruffo sa utilizzare accortamente”.Durante la marcia del cardinale, collabora attivamente all'impresa anche un altro straordinario combattente, Michele Pezza, detto “Fra Diavolo”. Il 13 giugno 1799, festa di Sant'Antonio da Padova, scelto dalle masse sanfediste come protettore, il cardinale entra a Napoli liberata. Intenzionato a pacificare la nazione, raccomanda indulgenza per coloro che avevano sostenuto la repubblica, ma il popolo minuto, che non aveva dimenticato i saccheggi, le brutalità, e i massacri, si vendica ferocemente dei suoi nemici.
Pappalardo citando il generale francese Paul-Charles Thiebault, uno dei protagonisti della campagna militare contro il Regno napoletano, fornisce la cifra di “più di sessantamila morti”.

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