martedì 2 agosto 2016

Giuseppe Pappalardo, "Contraventu" (Ed. Arianna)

di Giovanna Sciacchitano

Il ventinove Giugno scorso, nellelegante cornice liberty di Villa Malfitano-Whitaker, la Dante Alighieri di Palermo in collaborazione con l’Ottagono Letterario ha presentato il nuovo libro di Giuseppe Pappalardo Contraventu, sottotitolo Canzuni, sunetti e strammotti siciliani, Edizioni Arianna. In questa raccolta di poesie dialettali «il nostro autore - scrive Salvatore Di Marco nella prefazione - compie un passo in avanti molto importante e assai significativo per la sua ricerca poetica e si avvia verso una stagione nuova: quella del recupero della sua poesia, dandole voce e strumenti espressivi sempre più personali».
Il libro è suddiviso in tre sezioni: canzoni, sonetti e strambotti. Sono, questi, tre generi della tradizione poetica, non solo siciliana, di cui l’autore parla in una nota alla fine del libro. La sezione delle canzuni è aperta dalla poesia Contraventu da cui prende il titolo l’intera raccolta. Questa poesia è il «manifesto poetico» dell’autore e ne definisce la cifra stilistica. Infatti Pappalardo dichiara, sin dall’inizio, la sua intenzione di non adottare uno stile che lo ingabbi in canoni espressivi definiti a discapito di una tradizione letteraria che egli sente ancora forte dentro di sé. Di conseguenza il suo essere poeta «controcorrente» si realizza, oltre che nella scelta delle tematiche, anche nella volontà di non rinunciare alla metrica classica, pur tenendo presenti le moderne tendenze al verso libero.
Ha aperto la manifestazione Domenica Perrone, docente di Letteratura Italiana Contemporanea all’Università di Palermo e presidente della «Dante Alighieri», la quale ha evidenziato l’attenzione che Pappalardo pone alla forma con cui esprime i suoi contenuti e ha messo in luce la capacità dell’autore di esporre la contemporaneità con un linguaggio, purtroppo superato quale è il dialetto siciliano e che trova comunque  la sua ragion d’essere proprio nell’espressione poetica.
 La Perrone ha inoltre sottolineato la plasticità dei versi di Pappalardo, esempio ne è il  contenuto poetico degli strambotti, attraverso i quali Pappalardo ha raccontato i vizi capitali dell’uomo (la superbia, la tinturìa, la mmìdia, la rràggia, la lussùria, la gula, la lagnusìa e la farsitudini)  usando immagini talmente vive e coinvolgenti da fare intuire a quale vizio l’autore si riferisce anche senza leggerne il titolo.
Relatore della serata è stato Alfio Inserra, affermato poeta palermitano in lingua e in dialetto, che ha apprezzato notevolmente l’uso che il nostro autore fa della techne, cioè dell’arte di saper applicare le conoscenze linguistiche e letterarie apprese nel tempo. Ed è proprio l’uso della techne che conferisce alla poesia di Pappalardo un valore aggiunto, una precisa identità, anche perché, così operando il nostro autore riesce a coniugare la techne con il pathos, partendo dalle proprie angosce per giungere, quasi attraverso un catartico «esame di coscienza», al binomio pace-amore.  Pappalardo fa poesia vera con quella sua lotta contro tutto e contro tutti, volta ad affermare principi che effondono profonda umanità.
Infine Inserra, ha sottolineato la leggerezza, fra il serio e il faceto, con cui l’autore riesce a parlare di temi impegnativi, pregio che aleggia soprattutto negli strambotti.
Per Pappalardo, dunque,  la poesia è uno strumento con cui esprimere i sentimenti più intimi e autentici che accompagnano gli accadimenti della vita, come l’amore nelle sue diverse forme e intensità, la solitudine, la sofferenza di chi ha lasciato la propria terra, la consapevolezza del tempo che passa, e tanto altro. Per questo i suoi versi emozionano il lettore e lo inducono a meditare.

Stanotte

Stanotti
di l’ali spirlucenti di na nùvula
s’affàccia silinziusa
na fidduzza di luna
e la so lustrura
pèrcia
lu lignu di la me finestra
e mi teni vigghianti
a sèntiri luntani
lu vucialìzzìu ncuttu di l’ariddi,
un abbàiu di cani,
lu rrispìru dô ventu,
lu silènziu dô tempu
ca duna corda
a lu rralòggiu di li me pinzeri,
aspittannu.

 Nei versi di Pappalardo spesso si incontrano metafore mirate a concretizzare proprio quell’andare controcorrente dell’autore, pur nel pieno riconoscimento del proprio tempo. È questa la modernità di Giuseppe Pappalardo, una modernità del passato che ci consegna un poeta capace di rinnovarsi nella sua individualità di artista senza rinunciare alla versificazione tradizionale, ma adattandola alle proprie esigenze poetiche. Pappalardo è, pertanto, un autore che, pur usando il dialetto siciliano nonostante non abbia la ricchezza lessicale della lingua italiana, ci offre una dimensione di questo linguaggio colta sia nella forma sia nel contenuto.
Alla domanda che l’autore pone spesso al suo pubblico di lettori, cioè se abbia ancora senso nel Terzo Millennio  scrivere poesie in dialetto siciliano, egli stesso risponde << Oggi fare poesia in dialetto risulta più complicato di fare poesia in lingua (per la povertà lessicale e la mancanza di regole condivise) ma è proprio nell’accettazione di questa sfida che consiste il piacere di scrivere in dialetto. Un linguaggio che offre al poeta dialettofono suoni e parole che fanno riemergere dall’intimo pensieri, sensazioni, emozioni che la lingua italiana non sempre riesce a rendere con la stessa efficacia>>
Durante la presentazione di Contraventu, la cantante folk Patrizia Genova, accompagnata dalla chitarra del maestro Nicola Marchese, ha emozionato e commosso il pubblico con la sua voce e con un repertorio scelto di canzoni siciliane fra cui E iu luntanu, testo scritto dallo stesso Pappalardo. Dello stesso autore le belle immagini di copertina (il dipinto a olio Ventu di Sicilia).

 Presente all’evento il preside Pietro Attinasi in rappresentanza delle << Edizioni Arianna>>                                                                                                                                                                                

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