sabato 24 ottobre 2015

Maria Patrizia Allotta, "Nel buio aspettando l’alba, speranza che non muore" (Ed. Limina Mentis)

di Marcello Falletti di Villafalletto

L’Autore non vuole tracciare una biografìa, alquanto inopportuna, del noto personaggio palermitano, ampia­mente conosciuto non solamente nel circostanziato spazio isolano; altrettan­to a livello nazionale ed europeo, ma riassumere alcuni aspetti del suo pensiero e del coerente operare che lo hanno da sempre contrad­distinto. Certamente non si potrà neanche condensare in poche pa­gine l’intensa poliedrica attività di un personaggio, come Tommaso Romano, che ha ancora tanto da dare, fare e proporre.
A riguardo, la curatrice, nel Proemio, “Tommaso Romano: la scrittura della vita” scrive: «Trovare le parole esatte per definire e ben rappresentare l’unicità di una qualsivoglia creatura è già compito delicato e difficile. Se si desidera poi cogliere l’essenza e catturare la sostanza di un uomo dalle forme volubili, riluttante ad ogni pri­gionia, ribelle a qualsiasi classificazione, sempre in divenire anche se fortemente ancorato alla sua radicale coerenza, allora l’opera diviene ancora più complessa». Già: “eterogenea, articolata” potrebbero esse­re definizioni sostanzialmente riduttive e costrittive per la multifor­me attività che diviene fondamentalmente vitale per l’impegno che Tommaso prosegue, persegue e continua a sviluppare con indomita energia, quasi adolescenziale. Dove altri si arresterebbero, lui ripren­de, prosegue, saldamente ancorato, verso un futuro che sembra aver sempre più bisogno di energie di questo tipo: come le sue.
«Volere, inoltre, riassumere le qualità esistenziali attraverso con­sueti termini, soliti aggettivi e luoghi comuni di chi, per natura, consueto, solito e comune non lo è affatto, l’impresa diventa laboriosa - prosegue l’Allotta -. In tal senso, allora, raccontare Tommaso Romano, facile certamente non è.
La prima difficoltà nasce dalla scelta delle parole per restitui­re un ritratto che ben lo rappresenti. Infatti, utilizzando un lessico semplice e ordinario si potrebbe mortificare la complessa formazione culturale, il suo ampio sapere e le sue astruse conoscenze; di contro, l’adozione di un linguaggio altisonante sminuirebbe certamente la sua innata semplicità e naturalezza, spesso però mascherata -inspie­gabilmente - da un atteggiamento altezzoso e schivo, in taluni casi arrogante e superbo, alieno, comunque, da ogni volgarità, banale esteriorità e mondanità.
La seconda difficoltà è data, invece, da un ostacolo sicuramente più insidioso: sintetizzare chiaramente il suo operato considerando il dove, il quando e il perché della sua “contemplattività”.
Ecco allora che ogni etichettatura non rende, ogni classificazione appare impropria, ogni recinto vincolante; così come le stesse coor­dinate spazio-temporali non reggono data la simultaneità plurima del suo agire.
Ricapitolare, dunque, il profilo sinuoso di Tommaso Romano, che si esprime a cascata, per cicli e in diverse direzioni, ma soprattut­to, ricostruire la foga e l’impeto del suo fare, la volontà di realizzare, la capacità di progettare e la passione per il contemplare, lievemente smarrisce».
Riassumere in poche pagine un percorso di vita, per quanto avanzato, tutto ancora in divenire, non sarebbe facile, tanto meno delinearlo con semplici e mortificanti parole. Quindi, ha fatto otti­mamente Maria Patrizia Allotta, a presentare questi orientamenti di speranza, che non possono morire mai, dai quali emerge l’anima, più profonda dell’uomo, del poeta, dello scrittore, del critico, saggista, bibliografo, storico, politico e altro ancora che esorta: “Viviamo nella e per la Verità”. Facendo di questo assunto un programma esisten­ziale, eternamente durevole; tanto da farsi universalmente pedagogo non solamente di pensiero ma di vita stessa; vivendola intensamen­te, profondamente, attivamente come ha da sempre fatto Tommaso Romano. E oggi, più che mai, la sua sollecitazione a certi uomini di potere, comando, amministrazione, organizzazione, dovrebbe diven­tare monito nella mente, programma del cuore, affinché realmente quella “politica che ha bisogno dell’anima”, diventi espressione in­cessante di più elevate considerazioni: quelle che scaturiscono chia­ramente dall’insegnamento evangelico e cristiano.
Fin dal primo capitolo: L’essenzialità della parola viva, delinea, energicamente un percorso vitale che ripercorre quel “mosaicosmo”, (personale suo neologismo), presentandocelo: unico e irripetibile che attraversa un’intera esperienza umana che possiamo, dovendolo riscoprire, non solamente irripetibile ma cosmologico nella sua in­controvertibile unicità.
Argomenti filosofici, pensieri pedagogici, maturati in queirin­tima contemplazione che ardiscono verso un’attività sinergicamen­te produttiva, ben articolata, tanto da poter essere presentati come mimési che diventa via via esegesi di un’escatologia tanto necessaria all’umanità, che oggi ne ha smarrito il vero e autentico significato.
«Occorre riscoprire il legame vero, quella “consanguineità” col Mistero - scrive Tommaso Romano, verso la fine del settimo capitolo (Dalla morte di Dio al Dio vivo) - quell’amicizia che non tradisce e che vigilando ci libera, quel magistero che risiede nel prezioso dono dei sacramenti e dei comandamenti. Vivere Cristo è il più alto degli atti e degli esempi cui lo sforzo della nostra vita può tendere»; non più mera filosofia ma elevata teologia che proietta ad una elevata co­noscenza, verso la quale dovrebbe, deve tendere ogni essere umano. Ciò significa vivere “nella e per la Verità”, cominciando da quaggiù quel percorso, a volte scabroso, difficile, per proseguirvi, da ora in poi, eternamente.

da: “L’Eracliano”, Scandicci n°7-9, 2015

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