venerdì 29 luglio 2016

Giovanni D'Ercole, “Nulla andrà perduto. Il mio grido di speranza per l'Italia”,(Ed. Piemme)

di Domenico Bonvegna


In un mondo in frantumi come quello che stiamo vivendo, la testimonianza di monsignor Giovanni D'Ercole nel suo librettoNulla andrà perduto. Il mio grido di speranza per l'Italia”, edito da Piemme (2012), mentre sta nascendo un nuovo mondo, potrà aiutarci a non perdere la speranza. Monsignor D'Ercole ha scritto questo saggio quando era vescovo dell'Aquila, la città martoriata dal terremoto. Nel testo, in pratica il vescovo si racconta, raccoglie esperienze, fa alcune riflessioni, racconta gli incontri con varie personalità, il tutto coinvolgendo una ragazza di nome Alice.
Un libro per i giovani.
E' un libro che viene scritto soprattutto per le nuove generazioni che sono stanchi di vivere e non hanno più niente da chiedere a “questa società di merda!” Sono le parole Alice, ma possono essere di tante altre ragazze o ragazzi di oggi che vivono nella solitudine e nell'angoscia. Monsignor D'Ercole propone di fare un viaggio a tutte le Alice di questa società per far nascere quelle“relazioni, che sono l'essenza del nostro essere e del nostro esistere in questo mondo”.
L'intento del vescovo è quello di trasmettere a tutti i giovani la sua esperienza come un testamento di amore, trasmetterlo sia ai giovani cristiani, che a quelli che non lo sono. Per questo il vescovo ricorda la giornata del 15 ottobre del 2011, quando nella stessa giornata a Roma si sono celebrate due manifestazioni di segno opposto: nel pomeriggio i cosiddetti indignados, i black bloc, che hanno sfasciato Roma, peraltro durante la manifestazione, hanno anche simbolicamente frantumato una statua della madonna. In serata, invece sono stati protagonisti i giovani delle“sentinelle del mattino”, i nuovi evangelizzatori, diecimila ragazzi e ragazze, riuniti attorno al Papa.
Nella prima parte del libro, monsignor D'Ercole sottolinea l'attualità delle persecuzioni nei confronti della Chiesa e dei cristiani:“il fenomeno della persecuzione dei cristiani e quello dell'illanguidirsi della fede nelle comunità cristiane sono tra loro collegati, sono facce della stessa medaglia[...]”. C'è da preoccuparsi,“quando tutti dicono bene dei cristiani, perchè significa che sono scesi a compromessi e a patti con lo spirito del mondo”.
Il terremoto dell'Aquila una metafora del disfacimento spirituale e morale della società italiana.
Il testo parte dall'esperienza del dopo terremoto dell'Aquila,“La croce e la pala”. “Con il trascorrere dei giorni – scrive D'Ercole - mi resi conto che quando si parla di ricostruzione si dovrebbe pensare meno ai mattoni e più agli uomini”. Certo il terremoto ha distrutto le case, le chiese, il centro storico, tra i più ricchi di cultura del nostro Paese, ma“i palazzi crollati si vedono, sono invece invisibili a occhio nudo le ferite più profonde: i drammi personali di chi ha perso familiari, parenti, casa, lavoro...tutto”. Infatti per tanti è più preoccupante, “l'emergenza delle relazioni”. La sfida prioritaria della ricostruzione è quella di garantire un futuro soprattutto culturale e spirituale. “A che serve, - si domanda monsignor D'Ercole - infatti, rimettere in piedi le case, se poi manca un sostenibile progetto di sviluppo che dia speranza a quanti le case dovranno riabitarle?”
L'Occidente soffre di una crisi di relazioni.
Nella nostra epoca, l'emergenza è la mancanza di relazioni, lo sottolinea più volte anche padre Etienne Roze, nel suo bellissimo saggio,“Verità e splendore della differenza sessuale”, Cantagalli (2014) a proposito delle famiglie. “Quanta fatica a stare insieme, ascoltarsi e parlarsi! Eppure occorre ripartire da qui: da un ascolto che si fa amore e che si esprime in piccoli gesti quotidiani di attenzione e di accoglienza”.
Il libro di Giovanni D'Ercole si occupa della crisi economica che sta tormentando  l'Occidente, ma si preoccupa soprattutto di un'altra crisi, quella spirituale,“accanto a quella materiale c'è una miseria che la accompagna e che preoccupa ancor più: è la solitudine, la depressione e qualche volta la disperazione”.Non lasciamoci prendere dal panico, la crisi, oltre a un pericolo, può essere anche un'opportunità, è una sfida che dobbiamo accettare. Come bisogna accettare l'altra sfida preoccupante, quella dell'immigrazione. Del resto il mondo sta mutando rapidamente.“Si è conclusa un'epoca e dall'11 settembre del 2001- giorno dell'attentato alle Twin Towers di New York- non si tornerà più indietro”.
Anche monsignor D'Ercole fa riferimento al cambiamento epocale, e prendendo in prestito un'espressione dal grande vescovo sant'Agostino, scrive che”non stiamo assistendo alla fine del mondo, ma al sorgere di una nuova era ricca d'incognite e di speranza”. Insiste monsignor D'Ercole, “la crisi, per sua stessa definizione, è un tempo di cambiamento e potrebbe essere l'occasione per riscoprire il valore delle cose che contano davvero, il senso della vita, e farci riassaporare quei sentimenti semplici che rendono serena e feconda l'esistenza”.
Il libro è scritto soprattutto per i giovani, quindi Giovanni D'Ercole, parlando di recuperare le relazioni, è convinto che lo sport potrà dare un grande aiuto a educare alla vita e soprattutto alla nuova evangelizzazione. Il vescovo fa riferimento allo sport dilettantistico e non a quello del tifo sportivo, spesso associato a episodi di violenza.
Descrivendo la sua esperienza in Africa, affronta la questione islam il dialogo interculturale, il confronto interreligioso. D'Ercole sostiene che,“Non si può inoltre dimenticare la volontà di conquista di un certo islam fondamentalista rispetto a un mondo cristiano secolarizzato, empirista e pragmatico”.
Di fronte al tema delicato e complesso dell'integrazione degli immigrati nelle nostre società, monsignor D'Ercole, auspica che bisogna rispettare la dignità di ogni persona, la libertà religiosa, ma nello stesso tempo, occorre garantire “un ordinato svolgimento della vita della comunità, dove vengono a inserirsi gli immigrati”.In pratica accoglienza ma nella sicurezza.
Le tesi del vescovo possono suscitare qualche perplessità, ma“è inutile combattere battaglie di retroguardia – scrive D'Ercole - ostinandosi a considerare gli immigrati come un corpo estraneo da espellere, oppure da contenere ritenendoli forzati ospiti non graditi. Essi sono necessari per le nostre società che invecchiano, e per le nostre economie”. Quello che è importante è non perdere le nostre radici culturali e cristiane.
I Santi al servizio del bene comune.
Nel libro Giovanni D'Ercole fa riferimento a diverse figure che hanno segnato la storia del cristianesimo, e non solo, a cominciare da don Luigi Orione, fondatore della Congregazione, “la Piccola Opera della Divina Provvidenza Don Orione”, di cui monsignor D'Ercole fa parte. Don Orione, fu inviato dal papa san Pio X a Messina proprio dopo il terremoto del 1915. Monsignor D'Ercole prima di diventare vescovo è stato vicedirettore della Sala Stampa della Santa Sede, poi capo ufficio della prima sezione degli affari generali della Segreteria di Stato del Vaticano, quindi ha conosciuto bene san Giovanni Paolo II, qui ne sintetizza la poliedrica personalità del grande papa polacco, difficile da incapsulare in uno schema predefinito. Infatti i giornalisti, nel corso degli anni spesso sono stati spiazzati dalle sue sue prese di posizione, a volte hanno cercato di definirlo come tradizionalista, un conservatore, altre volte moderno, o progressista. In particolare, qui si coglie l'audacia apostolica e il coraggio evangelico, di papa Wojtyla,“era l'unico leader al mondo capace di trascinare gente e smuovere coscienze”. “La sua forza era il messaggio che proclamava, la potenza della fede testimoniata con coerenza in una società piuttosto spaesata e alla ricerca di punti seri di riferimento”.
Qualcuno ha definito il suo pontificato come“una ricca enciclopedia, dove sfogliando le pagine si riesce ad abbracciare in pratica l'intero spaccato dell'umanità[...]”.
Un altro grande papa da raccontare è Benedetto XVI, l'umile servitore.“Il suo insegnamento offerto con semplicità, chiarezza e fermezza costituisce ormai un punto di riferimento per tanti”. Il testo è ricco di tanti altri incontri che il vescovo ha fatto e vuol far conoscere ad Alice. Colpisce e impressiona la figura del cardinale vietnamita Francois Xavier Nguyen Van Thuan, tredici lunghi anni di prigionia, sorvegliato continuamente da due guardie. Un altro incontro totalmente diverso che racconta nel libro è quello di Alberto Sordi, che monsignor D'Ercoli, in pratica, ha accompagnato fino alla morte: “Tu mi devi aiutare ad andare lassù”, gli disse, il celebre attore. Ma ci sono incontri anche di popolani, come il barbone Pierluigi. E ancora l'incontro con  Carlo Carretto, che gli consiglia di fare deserto, il silenzio è fondamentale. Viviamo tempi dove prevale il rumore, è importante “ricavarsi una nicchia di solitudine nella frenesia quotidiana”. Ancora un'altra figura proposta è quella di don Tonino Bello, il vescovo scomodo di Molfetta. Interessante una frase riportata da D'Ercoli nel libro: “Io non risolvo il problema degli sfrattati ospitando famiglie in vescovado. Non spetta a me farlo, spetta alle istituzioni: però io ho posto un segno di condivisione che alla gente deve indicare traiettorie nuove, deve insinuare qualche scrupolo come un sassolino nella scarpa”.
Ma“Vale la pena essere cristiani?”
E' un'interessante domanda che si pone monsignor D'Ercole. E' un interrogativo che gli ricorda, gli anni sessanta quando frequentava il movimento OASI fondato da padre Virginio Rotondi, qui c'era quel giovane Luigi Calabresi, che poi da commissario sarà ucciso a Milano il 17 maggio 1971 da militanti comunisti di Lotta Continua. Calabresi, era una bella figura di uomo, di cristiano, di sposo che aveva scelto per vocazione di lavorare nella polizia. E' stata introdotta la causa di beatificazione, a suo tempo Giovanni Paolo II, l'ha definito: “Testimone del vangelo ed eroico difensore del bene comune”. Un'altra bella figura evocata è quella del giovane giudice agrigentino Rosario Angelo Livatino, barbaramente assassinato dalla mafia, anche per lui è iniziata la causa di beatificazione, definito da papa Wojtyla,“un martire della giustizia e indirettamente della fede”. Calabresi e Livatino sono due figure che andrebbero conosciute e valorizzate meglio, due uomini che certamente aiutano a maturare nella fede, come ha ben scritto Giovanni D'Ercole ora vescovo di Ascoli Piceno.
Si può evangelizzare anche con la televisione e internet?
Giovanni D'Ercole è stato anche un personaggio televisivo, un uomo di comunicazione, volto noto al pubblico di Rai Due, da anni conduce una trasmissione seguita,“Sulla via di Damasco”, per questo si racconta in un capitolo,“Un sacerdozio catodico. Anzi, digitale”.Comunicare è un dono di natura e a proposito della comunicazione in televisione, mi ha colpito quello che scrive monsignor D'Ercole: “devi preoccuparti di essere te stesso, in modo naturale, sincero, senza farti prendere dall'ansia di dover dire tutto quello che hai in corpo”. Questa riflessione mi fa pensare a quando conducevo la mia trasmissione radiofonica, forse mi facevo prendere da questa ansia di raccontare tutto in una trasmissione.
E dell'oceano telematico di internet, dove navigano miliardi di utenti, il vescovo, al riguardo, è convinto che internet è un servizio favoloso ma può essere anche pericoloso, pieno di insidie e di rischi. Pertanto secondo D'Ercole, oggi è necessario, “una saggia educazione all'uso dei mezzi di comunicazione sociale, che non è prudente idolatrare né demonizzare”.

Il libro di monsignor D'Ercole è ricco di spunti, di riflessioni, scritto con chiarezza e che sicuramente potrà essere utile per i tanti giovani, ma non solo, per tutti quelli che hanno perso la speranza, in questa Italia dai tanti problemi.  

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