sabato 18 marzo 2017

Bernanos e la fredda luce di Satana

di Luca Fumagalli

Nel 1926 il non più giovane Georges Bernanos fece il suo glorioso ingresso nel mondo della letteratura con un romanzo destinato a lasciare il segno. Sotto il sole di Satana, oltre a ricevere una buona accoglienza da parte dei lettori e della critica, fu addirittura considerato dal noto teologo Hans Urs von Balthasar «l’opera più acuta [dello scrittore francese] e anche la chiave per interpretarne le altre». Nonostante tutte le debolezze del caso, infatti, il romanzo, un’azzeccata narrazione dell’eterno conflitto tra le forze del bene e quelle del male, è dotato di un vigore tale che non può lasciare indifferenti. Diverse carenze strutturali, imputabili più che altro alla scarsa esperienza dell’autore, non impoveriscono la descrizione del dramma spirituale che dilania un’umanità in rovina, ombre che vagano per una terra che non offre consolazioni.
Così è l’adolescente Mouchette, incinta e disperata, alimentata da un odio nichilistico che la spinge tra le braccia di Satana. Così è il reverendo Donissan, un pretino senza particolari qualità, incolto e sciocco, disprezzato dai suoi superiori e forse inadatto all’incarico di parroco che si appresta a ricoprire. Così è l’anziano romanziere Saint-Marin, accademico di Francia, libertino e stimato intellettuale laico, terrorizzato dal pensiero di dover rinunciare alla gloria mondana, ora che la morte si avvicina.
Ognuno di loro è il vertice di un triangolo che coinvolge molti altri personaggi secondari, che si avvicendano sullo sfondo dei rari eventi raccontati nel libro, dove tutto è affidato, per così dire, al punto di vista dell’anima: più che gli accadimenti, quello che a Bernanos interessa è la vita spirituale dei suoi protagonisti che descrive dilungandosi forse un po’ troppo, ma con un’intensità ammaliante. Pagine e pagine di prosa robusta esibiscono un forsennato flusso di coscienza, fatto di capriole verbali, pronostici, frasi interrotte e ricordi, dove ogni cosa assume la dimensione di una disfida che ha ripercussioni tanto nella storia quanto e soprattutto nell’eternità. La descrizione della discesa di Mouchette verso i più bassi meandri del vizio stringe il cuore di chi legge, così come la conversione alla santità – non voluta e non cercata – di Donissan è tutt’altro che pacifica; pare anzi una spirale che rischia di soffocarlo a ogni istante. L’esistenza di quest’ultimo, rimessa in gioco dalle parole misericordiose di padre Menou-Segrais, è un continuo volteggio sul baratro della follia, una storia tremenda e consolante che attinge a piene mani dalla vita del celebre Curato d’Ars, il Santo del confessionale. Sotto il sole di Satana, da questo punto di vista, è il prodotto di uno strano Kafka cattolico, un quadro surrealista spiazzante e maledettamente sensato.
Il tema portante del romanzo, secondo le parole dello stesso autore, è infatti il mistero del male e il pericolo di sottovalutarlo. Il demonio, «che si è riservato i santi», è abile nel tentare le anime premendo ossessivamente sui loro punti deboli, sussurrando piaceri proibiti, indicando la disperazione. Mouchette vi soccombe trasformandosi da vittima a carnefice, diventando una Lolita preda di una lacerante follia. Donissan, di contro, è quel miracolo del bene da cui il moderno scettico non è più capace di essere sorpreso. Entrambi, agli occhi del mondo, paiono folli in egual misura, e le pareti imbottite di una clinica psichiatrica sembrerebbero le uniche in grado di sopportare l’esplosione di due anime come le loro, in continua ebollizione.
Bernanos si limita dunque a strattonare i suoi antieroi conducendoli fino all’orlo del precipizio, lasciandoli poi nudi e inermi innanzi al traumatico mistero dell’esistere. Non aggiunge commenti, non infioretta il dolore: contro i fatti ogni orpello è vuota fraseologia.
Sotto il sole di Satana – da cui, nel 1987, è stato tratto un lungometraggio per la regia di Maurice Pialat, con Gérard Depardieu nei panni del prelato protagonista – è, per concludere, un contraccolpo spirituale straordinario, un romanzo da avere assolutamente, che non sfigurerebbe nella biblioteca di un buon cattolico. Del resto un testo che ricorda come «la vita senza la Croce non abbia senso» è la goccia in grado di far inverdire il deserto, una stille di speranza in tempi tanto aridi.

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