martedì 29 agosto 2017

Carmelo Fucarino, "Il Genio di Palermo" (Ed. Thule)

di Giuseppe Bagnasco

Bent Parodi di Belsito a cui il volume in titolo è dedicato, si autodefiniva un “tuttologo” a indicare come nelle sue conferenze, anche semplici interventi, spaziava su tutto ciò che era oggetto delle sue oratorie. E ben si addice questo profilo a Carmelo Fucarino che nel suo Il Genio Palermo, vita morte e miracoli di un dio (Thule, Palermo 2017), se ne dimostra, come in un rito, ampio ed erudito officiante. Le sue radici storiche, che hanno trovato fertile humus nel solco delle tradizioni classiche, e di cui si avvalsero i fortunati studenti del Liceo Garibaldi che per ben 17 anni lo ebbero a docente, sono il substrato su cui ha edificato una monumentale storia sul Genio di Palermo come una “preziosa pietra miliare da incastonarsi…fra le carte…della cultura siciliana”, così come afferma in postfazione  il critico-editore Tommaso Romano.
   Il volume diviso in tre parti, impreziosito da 41 figure, la totalità dedicata al Genio, ben si presta ad una recensione dalla duplicità esplicativa, giacchè mentre da un lato risulta “facile” nella sua esposizione “tuttologica” senza tecnicismi di dubbia interpretazione come sui richiami storici, sui riti, sulle epigrafi, dall’altro risulta  “difficile” nella scelta degli aggettivi da apporre a questa mirabile opera storico-letteraria. Fosse stato un quadro, quale fu l’unico dipinto eseguito da Vito D’Anna, potremmo elencare e distinguerne le figure, i contorni, la prospettiva, la mitezza degli sguardi fino allo stupore dei personaggi lì rappresentati. Si tratta invece, nella prima parte del testo, dello studio di un viaggio “contemplativo” tra le trattazioni comparate dei primigeni del Genio nelle varie culture. Trattazioni che  non si fermano a quelle mediterranee ma si spingono attraversando le Indie fino al Giappone pur conservando i diversi riti un comune denominatore come il culto dei morti e non ultimo, proprio di quelle orientali, delle anime che “convivono” insieme ai presenti. La trattazione storico-antropologica, per rimanere nell’ambito della nostra, identifica nel Daimon della cultura greca del tempo, il progenitore del Genius etrusco-romano, anch’esso ritenuto mediatore nei confronti del divino, così come ce lo rimanda Platone nel  Simposio o quale fu in antico per antonomasia la Pizia dell’Oracolo di Delfi. Per Roma comunque  un dio secondario, tutore e protettore della famiglia nonché di tutte le attività, in particolare di quelle “geniali”. Da ricordare che  il Genio nella tradizione romana,  sopravvissuto quasi mille anni, fu soppresso da Teodosio con l’Editto del 392.
   La seconda parte, costituente il corpo centrale del volume, è dedicata ai Geni di Palermo a ciascuno dei quali  è dedicata ampia descrizione con minuziosa e certosina ricostruzione storica anche riguardo i luoghi. Tutte le figure dei Geni  si distinguono sia per le diverse posture, anche se somiglianti per ovvie ragioni, che per i differenti soggetti che lo contornano. Ma per tutti una sola immagine: Un vecchio barbuto coronato di nobiltà ducale con una serpe sul petto. Ed è così che in Palermo con questa icona, l’Autore ce lo descrive specie in quello del Garraffo, di Palazzo Pretorio, di Palazzo Isnello e di Piazza della Rivoluzione, rappresentato sia in sculture che in bassorilievi, finanche in arazzi o semplicemente raffigurato con il solo volto nei fregi di cancellate. Per la Storia quello di Piazza della Rivoluzione, risulta  il più emblematico e amato dal popolo che anche per questo, fatto spostare nel 1852, riconquistata la Sicilia, dal generale Carlo Filangeri che lo relegò in un magazzino del Senato da dove lo trassero otto anni dopo i palermitani “garibaldini dell’ultima ora” per riportarlo nel sito a lui più “congeniale”. Spesso nelle composizioni il complesso scultoreo, completo di sottostante vasca, portava alla base una scritta provocatoria se non sibillina: “ Suos devorat, alienos nutrit”. Lo testimoniano, e ce li riporta l’Autore, gli scritti di Vincenzo Auria, Tommaso Fazello, Gaspare Palermo fino a Vincenzo Di Giovanni o al precisissimo diarista marchese di Villabianca. Questa epigrafe si rifà alla nomea acquisita nel tempo dalla città di Palermo  da sempre generosa con  gli stranieri e parimenti non altrettanto con i suoi figli meno abbienti e questo fino al presente sebbene ora in scala nazionale. 

   Nella terza parte, di minore corposità rispetto le prime due ma conclusiva, il Fucarino affronta con circostanziata indagine, la simbologia del serpente. E questo, secondo il suo metodo, a cominciare dai vari episodi riportati da Virgilio nell’Eneide a finire a quella orfica dove il rettile inghiottendo la sua coda conferisce a siffatta conformazione circolare  il “continuum”  morte-rigenerazione.  Al riguardo e per completezza, a  memoria nostra, ritroviamo infatti ancora il serpente già nel biblico Giardino dell’Eden come portatore della conoscenza, nel bastone trasformato da Mosè, nei due grandi serpenti marini che uccidono l’omerico Laocoonte, mentre lo ritroviamo adorato come un dio (Quetzalcoatl) nella religione azteca e tolteca, secondo i diari del domenicano Bartolomeo de Las Casas che fu al seguito del “Conquistador” Hernan Cortez.  Quello che più conta, e ci riguarda da vicino, è come la simbologia del serpente sia giunta fin dentro la nostra cultura, quale simbolo della medicina che vediamo sia attorcigliato attorno alla verga di Asclepio sia al bastone alato di Mercurio. Il che non è affatto sorprendente perché già nell’antichità si estraevano dal veleno, tolte le tossine, medicinali curativi. Il Genio Palermo non è solo un volume ricco di dati storici, una passerella iconografica sui tanti modi di rappresentarlo, ma si presenta come un insieme di notizie complete ed esaustive sulle biografie degli autori, sulle descrizioni dei complessi architettonici che li custodivano nonchè sui contesti delle vicende storiche in cui nascevano le opere. E non è tutto perché delle varie interpretazioni sulla simbologia del serpente fornite dai vari storiografi, molte sono puntualmente smentite con inoppugnabili argomentazioni dal Nostro, ritenendole fantasiose. A conclusione di queste pur non esaustive note e a parer nostro, Carmelo Fucarino non è stato e non è, solo un interprete e un docente-traghettatore della conoscenza ma un fervente ricercatore-esploratore, quasi un novello Livingstone  alla ricerca delle fonti del mondo della cultura classica. E non solo. Unisce a ciò una infinita voglia di sempre ulteriori indagini nel campo storico e letterario, non ultimo  quello sui Miti dalla cui esperienza, crediamo, abbia tratto l’ispirazione del presente volume. In esso, al pari del Rosario La Duca, pone richiamo sugli antichi quattro rioni della vecchia Palermo e dove, a dar manforte al presente contesto, spicca quello dell’Albergheria che reca dipinta nel suo scudo una serpe verde. In definitiva Il Genio Palermo si presenta come un mirabile assemblaggio di rara erudizione tra storia e mito fatta dal Fucarino sì da offrire un esemplare contributo di ricerca dotta e appassionata su di un tema, mai così profondamente esplorato.  A conferma di questo excursus sul reale valore della presente opera, basta dare uno sguardo alla bibliografia essenziale dove accanto  ai tanti testi del ‘900 ne troviamo otto dell’800 e ben tre del ‘700. Una consultazione immensa senza contare tra gli altri, i numerosissimi riferimenti storici da Tito Livio ad Apollonio Rodio, Plutarco, Diogene Laerzio, Giuseppe Flavio fino ad Orazio, Catullo, Virgilio. Un oneroso e appassionato lavoro, fatto con rigore e perizia dal Fucarino soprattutto nell’esame delle fonti e tale da porlo per giusta fama accanto a suoi concittadini di valore  quali il poeta Vito Mercadante, il sociologo Ennio Pintacuda, lo storico d’arte Luigi Sarullo. E non ultimo per la Storia quel Matteo Bonello, figlio del Guglielmo fondatore della “civitas prizzese”, di nobiltà normanna e signore del Castello di Caccamo, dentro le cui mura ordì la congiura contro il legittimo re Guglielmo I e che principiò proprio con l’uccisione del Primo ministro Majone di Bari, per mezzo di una spada la cui elsa, ancora inchiodata sul portone arcivescovile, è falsamente mostrata ai turisti come autentica, malgrado l’elsa cinquecentesca e il certo riferimento al feudale Ius Gladii ne tradiscono la storia. Dettagli questi, che appaiono superflui e di semplice ornamento rispetto un’opera di tale levatura quale è Il Genio Palermo  che onora l’intera sicilianità degli studiosi dell’arte e della storia e che deve il suo ampliamento ad uno studioso di valore quale certamente è Carmelo Fucarino che ne confina la gloria. 

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