martedì 2 gennaio 2018

L’infame Sant’Oscar di Oxford, poeta e martire

di Luca Fumagalli

La vita di Oscar Wilde, una tragicommedia in quarantasei atti – tanti gli anni che visse lo scrittore irlandese –, se non fu un’opera d’arte, fu almeno un ottimo esempio di quel dramma intimo che caratterizza l’essere umano, in costante palleggio tra gli estremi opposti della carne e dello spirito, della virtù e del peccato, della santità e dell’abiezione. Esattamente come i suoi arguti giochi di parole, anche la parabola esistenziale di Wilde fu un ossimoro irrisolvibile, una lotta di contrasti che, hegelianamente parlando, non riuscì mai a trovare una sintesi efficace. Al povero Oscar mancò la profondità cristiana di un Chesterton – sommo maestro nell’arte del paradosso, capace di svelare verità abbaglianti nascoste sotto la fanghiglia di un caos apparente – o, più semplicemente, la volontà di assecondare fino in fondo quella “tentazione cattolica” che fu compagna quotidiana della sua maturità. Volle provare i piaceri della vita, scordandosi però di una buona metà di essa: solo dopo la dura esperienza del carcere capì sulla sua pelle che, oltre all’esaltazione, esisteva anche l’espiazione.
Fu proprio Wilde, in un lontano venerdì del marzo 1897, a scrivere da Parigi al fidato Robbie Ross: «ora vivrò come l’infame Sant’Oscar di Oxford, poeta e martire». Lui stesso era intimamente consapevole di una scissione che lo attraversava, di un frantumazione che era quella delle voci messe in scena nei suoi dialoghi o nelle sue commedie. Merlin Holland, nipote di Wilde, ha scritto pagine illuminanti sull’impossibilità, per i biografi, di afferrare l’anima del nonno fino a quando non verrà accettata l’idea di Oscar Wilde come di un caleidoscopio multicolore di apparenti contraddizioni, che necessitano non di soluzioni ma di apprezzamento. È evidente che la questione di fondo verte su uno “sdoppiamento” che è ultimamente impossibile da decifrare, pena la pubblicazione «di una detestabile edizione economica di un grande uomo».
In questo senso, per esempio, si sono mossi in anni recenti diversi studiosi cattolici come, tra i tanti, Joseph Pearce, Paolo Gulisano e padre Leonardo Sapienza che, nei rispettivi lavori, hanno tentato, peraltro con ottimi risultati, di far riaffiorare la storia spirituale di Wilde, presente tanto nella sua biografia quanto nella sua opera. Rileggerne i capolavori, a partire dall’immortale Il ritratto di Dorian Gray fino ad arrivare ai testi per il teatro e alle fiabe, è fare una meritoria opera di revisionismo storiografico, che stacca dal frigorifero delle superficialità mass-mediatica – pieno solamente di marci luoghi comuni – le calamite delle varie riduzioni a icona subite da Wilde, per ridare corpo e anima a un genio che, troppo spesso, si è preferito fare a brani per renderlo digeribile ai moderni cannibali del pensiero unico. L’esteta, il giovane massone e l’anticonformista omosessuale, quantunque siano aspetti pruriginosi ed essenziali di quell’oggetto delicato che è lo scrittore irlandese, non bastano comunque a definirlo.
Silvia Mondardini, insegnante e ricercatrice universitaria, con il saggio L’infame Sant’Oscar di Oxford, poeta e martire (Liguori, 2008) offre, nella varietà di una prosa accattivante, un ritratto convincente di Wilde. Bandite le note a piè di pagina per un approccio più diretto – ma non per questo meno documentato – il libro, che attinge a piene mani dalle lettere del dandy par excellence, si pone come una sorta d’introduzione all’avventura umana wildeiana, rinunciando preventivamente a etichette di comodo o facili semplificazioni. Forse costituisce, più che le corpose biografie di Philippe Jullian e Richard Ellmann, un valido primo approccio al Gerione col garofano verde, fornendo al lettore uno sguardo che spazia a 360° e che invita a ulteriori approfondimenti.
«Potrà mai apparire davanti a noi il vero Oscar Wilde?» chiedeva Merlin Holland. Dato che Wilde era il viveur per cui arte e vita erano inscindibili, era il conversatore che non dialogava con l’altro da sé, la risposta non può che essere negativa; anche perché, come già ricordato, col passare degli anni il suo nome è diventato troppo spesso vessillo di questo o quel partito.
Tuttavia L’infame Sant’Oscar di Oxford, poeta e martire è da annoverare tra quegli studi che stanno tentativamente aprendo la strada a una possibile soluzione dell’affascinante “enigma Oscar Wilde”. Per questo, e per molto altro ancora, il testo della Mondardini merita quindi di essere letto e meditato.
da: www.radiospada.org

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