sabato 30 dicembre 2017

Francesca K. Matina, "La casa nel vento" (Ed. Thule)

di Giuseppe La Russa

Una storia come tante altre, un storia come nessun’altra.
In fondo è la vita di ogni essere umano ad essere costellata di elementi comuni ad ogni altro  individuo ed eppure così unici ed irripetibili da appartenere ad un solo ed esclusivo battito di cuore.
Il racconto che ci appare davanti quando leggiamo La casa nel vento di Francesca K. Matina, giovane donna originaria di Lampedusa, non pretende di darci verità universali, porci storie mirabolanti o dissertazioni sui massimi sistemi: in settanta pagine troviamo la narrazione di una storia semplice, che l’autrice stessa definisce banale sul finire del libro, eppure, proprio per questo motivo, oltremodo pregnante, gravida di quella umanità che ci appartiene giorno dopo giorno. In fondo è questa la promessa della lettura e della letteratura, riscontrare in un testo, come diceva Fortini, una possibilità di noi stessi, la possibilità di trasformare la memoria in costruzione dell’uomo, aggiungerebbe Ezio Raimondi. Ecco il perché fondante di questa lettura che a primo impatto può apparire una comune esperienza a tantissimi ragazzi. La storia, infatti, è facile da sintetizzare, ma forse impossibile da definire: si può definire in poche righe la vita? È il racconto di una giovane diplomata che da Lampedusa si trasferisce a Palermo, nel frastuono del capoluogo siciliano, per studiare giurisprudenza e che, giorno dopo giorno, scopre quanto invece sia la filosofia la sua risposta.
Poche parole, dunque, per riassumere i tratti salienti, ma infiniti sono forse i temi da scovare: si parla certamente di vocazione, di libertà, della ricerca di un Senso, di casa, di crescita, di speranza.
Nel titolo, poi, è riassunto l’anelito di ogni pagina: la ricerca di una casa, di una dimora fissa e stabile per il proprio corpo e soprattutto per la propria anima, per il proprio spirito, per il proprio ànemos, parola greca da cui deriva il termine ‘anima’ latino, ma che originariamente ha proprio il significato di ‘ vento’, l’elemento tra i più liberi nella e della natura: «credo ci sia un momento ben preciso, nella vita, dove si diventa grandi per la prima volta», scrive Francesca Matina. In quel momento in cui l’autrice racconta della sua “fuga” da Lampedusa verso Palermo c’era il taglio del cordone ombelicale che la teneva legata alla famiglia e a Lampedusa, ma allo stesso tempo il forte desiderio di inventare  e plasmare ogni giorno la vita secondo le proprie pulsazioni e le proprie sincronie.
Ma ciò di cui il libro più fortemente parla è, probabilmente, il concetto di vocazione. La forza esplosiva di questo termine è tale da invadere interamente l’animo di chi legge quelle poche e semplici righe, quelle pagine dettata da infinita sincerità, quelle parole che sembrano un romanzo ma non lo sono, che appaiono come un diario ma non lo sono, che si leggono come una lunga poesia, ma forse non lo sono, ma che sanno prendere vita naturalmente e nella più candida sincerità. Cosa significa vocazione, quel termine invocato anche da Fabrizio De André in una nota canzone? Significa, direbbe il fra Cristoforo di Manzoni, sapere di trovarsi in quel posto in quel preciso momento ed essere coscienti che quello è l’unico luogo dove ci si deve trovare: riuscire ad individuare proprio quel determinato luogo è, probabilmente, una delle chiavi della nostra esistenza.
Così Franscesca racconta di una inquietudine continua, di una chiamata silente ed impetuosa, quella della filosofia, per l’appunto, mentre frequentava le aule della facoltà di giurisprudenza: evidenti sono state le difficoltà nel dover annunciare la scelta ai genitori, ma quella era e rappresenta la casa nel vento: «la filosofia nasce dai dubbi e, proprio per questo, chi la sceglie non deve esaurirli mai, altrimenti finirebbe per arrestarsi a conclusioni necessarie»; in una lettura che spedita porta dal punto inziale a quello finale, Francesca Matina riesce a mostrarci la costruzione di una identità, la poesia della solitudine di una studentessa universitaria, il fuoco che quelle viscere hanno saputo far divampare e alimentare, quella passione eterna ed indomita madre di ogni azione.
La filosofia porterà ad insegnare in un’aula di una scuola di un piccolo paesino del Nord Italia? La possibilità è alta, così come è capitato a chi scrive il presente articolo, ma non esiste limite nel cuore di chi ha saputo riconoscere la voce del vento, il grido generativo delle proprie mani, non esiste confine per chi ha guardato negli occhi e ha dialogato con il proprio desiderio, per chi ha dato voce al proprio pianto, per chi ha saputo dare un senso ad ogni alba, per chi ha riconosciuto la limpida via che sa portarti a casa.

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