mercoledì 1 luglio 2015

Marcello Scurria, “La teoria della ghianda, di James Hillman” (Ed. Medical book)

di Nicola Romano

Nella maggior parte dei casi, nell’occasione della pubblicazione d’un libro, di solito, il pubblico che assiste alla sua presentazione e che si pone favorevolmente all’ascolto non ha avuto ancora modo di leggere il libro in questione, e quindi non conosce convenientemente il tema o i precisi argomenti che il volume va a trattare. E allora, dovrà giungere a proposito una certa introduzione, quel porgere una sorta di sinossi o una possibile chiave di lettura che sia quanto meno rivelatrice della tematica inerente.
E per questo libro di Marcello Scurria “La teoria della ghianda, di James Hillman” a maggior ragione s’impone la necessità di decrittare la tematica del volume, e mettere a fuoco taluni risvolti che riguardano il pensiero umano, e che fanno sicuramente parte delle sensazioni o delle poco sviluppate intuizioni quotidiane di noi comuni mortali; sensazioni che accompagnano e tengono desto sicuramente il nostro essere pensante che va sempre alla ricerca del proprio migliore ruolo in quello che è il misterioso fruscio dell’esistenza, e comunque sensazioni che tra le righe di questo libro  vengono trattate in maniera convinta, specializzata e, forse anche, scientifica. Ma attenzione, niente panico, anche se l’argomento sembra destinato soltanto agli addetti ai lavori (dal momento che i discorsi di base svariano tra psicologia, psichiatria, psicosintesi e filosofia) la sintesi di fondo, alla fine, è appagante per tutti coloro che evidentemente sono “avvertiti” in fatto di sensibilità umana, poiché tale sintesi permette di andare a ricomporre tante delle nostre frammentazioni interiori, inducendoci quindi ad impadronirci e prendere possesso di quella che è la molteplicità del nostro profondo, rivelandoci magari delle potenzialità che erano rimaste nell'ombra o per trasformare pienamente le  nostre risorse; come pure, tale possibile comprensione, può andare a colmare molte di quelle aspettative che sono per noi impalpabili o irraggiungibili, ma che si possono risolvere, attraverso una guidata e cosciente introspezione, in una serie di condizioni utili a ritrovare armonia ed equilibrio; elementi, questi, che insieme ad altri fattori concorrono al perseguimento di quella “bellezza” di vita che deve stare dentro e fuori di noi.
D’altronde, come afferma Roberto Assagioli, una delle menti più eclettiche della psicologia italiana: “Ognuno può e deve fare del materiale vivente della sua personalità, un oggetto di bellezza, in cui possa manifestarsi
adeguatamente il suo Sé transpersonale”. Inoltre, in contrapposizione alle odierne frasi come “fare rete” o “fare business” tra le righe di questo libro siamo invitati alla riflessione sul “Fare anima”, che è tutt’altra cosa.
Ma ecco che, anche per metterci a nostro agio, possiamo dire subito che tutto quello che il libro esamina converge in buona sostanza verso quel «Nosce te ipsum» che abbiamo tante volte letto o sentito dire, proveniente dalla sapienza delfica, e che nei tempi è stato ribadito e sviluppato, per esempio, da Socrate, da Pitagora e da Sant’Agostino. E sappiamo bene che quel «Nosce te ipsum» non è solo un invito a conoscere noi stessi dal punto di vista caratteriale, attitudinale o come eventuali portatori di qualche talento inespresso, ma è un invito anche a riconoscere soprattutto i nostri limiti e la nostra finitezza.
Bene, penso che per completare un’adeguata introduzione alla struttura di questo saggio, basterà riferirsi alle tre righe della prima di copertina: Marcello Scurria, il teorema della ghianda, James Hillman.
Chi è Marcello Scurria, l’autore?
Per quella che è la sua attività che svolge nel campo culturale da circa venti anni, e per quelle che sono le opere fin qui prodotte, dobbiamo dire che Marcello Scurria è uno scrittore a tutto tondo, e se mi si lascia passare la “boutade”, è uno scrittore anche quando parla, nel senso che, a seguito d’una conversazione interpersonale o privata, è capace di lasciare nelle mani dell’interlocutore un libro non stampato, ma ricco di considerazioni che comunque  inducono a sicure riflessioni, a meditazioni e ad eventuali ricerche ed approfondimenti. E’ da cogliere in Scurria la vivacità dei suoi interessi, non soltanto letterari, e il dinamismo del suo pensiero, che smosso da un forte desiderio di conoscenza, affronta vari campi dello scibile umano.
Egli è autore fin qui di ben sei romanzi: “Sognando il paradiso” – “Continentaria” – “L’amaro miele” – “Perché parlate così” – “I racconti dell’Andromandro” – “L’atelier del destino”. Ha inoltre condotto nelle scuole medie e superiori dei laboratori di scrittura creativa con la pubblicazione degli atti, ha tenuto diverse conferenze su argomenti vari ed ha pure condotto trasmissioni radiofoniche in rete, dove qualcuno di noi è stato anche ospite.
E mi piace sottolineare che, in quello che è il suo percorso cognitivo, periodicamente subisce come delle vere e proprie “folgorazioni”, a cui deve dare immancabilmente seguito con una scrittura che vuole avere il piacere di essere condivisa con gli altri. In tal maniera sono nati particolarmente i suoi saggi: “Giuseppe Bonaviri, scrittore e poeta del Paradiso”; “Jorge Luis Borges, Metafora, struttura e spazio-tempo”, e questa sua ultima folgorazione che si è materializzata appunto nel volume “La teoria della ghianda, di James Hillman”.
Ma chi è James Hillman?
E’ stato uno psicoanalista junghiano, saggista e filosofo; americano di nascita (Atlantic City, 1926) ma europeo di cultura (Thompson, 2011). James Hillman è stato descritto come uno psicologo indipendente, un mago, un visionario contemporaneo. Dietro tali considerazioni, Hillman è forse  lontano dall'essere considerato una figura appartenente al mondo della psicologia. Infatti è visto da molti suoi colleghi come un pensatore profondamente sovversivo. Come fondatore di quella che egli stesso ha definito come "la psicologia archetipica" (una scuola di pensiero diretta a revisionare e "reimmaginare" la psicologia), Hillman crede che la psicologia debba abbracciare teorie sullo sviluppo umano. Per lui, lo scenario dell'intervento psicologico non può più essere solo quello del terapeuta di fronte al paziente; è necessario invece che la psicologia diventi una terapia delle idee, e non più solo di singole persone. Tanto per fare un esempio spicciolo, se un individuo soffre di depressione, le cause non sono da ricercare soltanto dentro il subconscio del singolo individuo ma anche nel mondo che lo circonda, e che può essere racchiuso in quel “Sé trans personale” a cui accennava Assagioli.
Uno dei più grandi di questi misteri, secondo Hillman, è la questione del carattere e del destino. Nel suo bestseller intitolato "Il Codice dell'Anima", pubblicato con Adelphi nel 1997, afferma che il nostro carattere e la nostra vocazione di vita sono qualità innate e che la missione della nostra vita è quella di realizzare quelle spinte. La chiama "la teoria della ghianda", l'idea che si viene al mondo con un destino (che egli chiama “paradigma”) e che le nostre vite sono formate da un'immagine particolare, come il destino della quercia è contenuto nella piccola ghianda.
Anche se io, in conclusione, che psicologo non sono, ritengo che un destino di massima – se veramente ci è assegnato - sia composto da tante autostrade tutte diverse tra loro per razza, per ambito, per ceto, per religione; ma dentro la particolare autostrada a tante corsie che ci è capitata, per quello che è il libero arbitrio, penso che ognuno di noi, in definitiva, potrà scegliersi la corsia che gli è più congeniale! E’ un’opinione personale. E infine, se la ghianda deve scontare il destino della quercia, beh, tutto sommato non è male, perchè la quercia come simbolo rappresenta la virtù, la forza, la virilità e il valore in campo militare, simbolo che ritroviamo, a giusta o a cattiva ragione, anche nell’emblema della repubblica italiana.
E comunque sia, penso che questo libro voglia indicare, attraverso un percorso conoscitivo, quella che in definitiva può essere la connessione tra spirito e corpo, ponendosi, come traguardo finale, il buon rapporto tra l’individuo ed alcune specifiche e necessarie consapevolezze.

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