martedì 17 febbraio 2015

Giovanna Fileccia "Sillabe nel vento" (Simposium)

di Maria Elena Mignosi Picone
 
Giovanna Fileccia: una poetessa siciliana, di Palermo, ma che risiede con marito e figli a Terrasini, ridente paese sulla costa siciliana, con alle spalle il monte e che si protende verso il mare.
Ho avuto occasione di conoscerla ad una Premiazione di poesie a  Mondello e da un incontro fortuito si è sviluppata una bella amicizia della quale mi reputo onorata.
Giovanna Fileccia è una poetessa che rispecchia l’anima siciliana nella sua migliore forma. Sensibile e profonda, unisce a queste doti anche un tratto amabile pregno di semplicità e naturalezza.
Sono stata ad una sua mostra di “poesia sculturata”, una originale, anzi direi di più,
una personale, esposizione di “installazioni” come lei chiama le sue composizioni di materia in cui incorpora le sue poesie. Unisce così mirabilmente l’elemento spirituale, la poesia, con quello materiale (cartone sabbia swaroski…). E questa mi pare una bellissima idea, che  rispecchia  l’unità psicofisica dell’essere umano costituito inscindibilmente di anima e di corpo.
E questa è l’arte di Giovanna Fileccia.
Ma rivolgiamo adesso in particolare l’attenzione sul suo primo libro di versi, “Sillabe nel vento”. Nella poesia appunto che porta questo titolo ella afferma: “Vorrei scrivere una poesia senza parole/ le cui sillabe si disperdano nel vento/…Vorrei scrivere una poesia senza parole/…dove al posto di parole ci siano silenzi/ dove al posto di silenzi ci siano emozioni/ dove le emozioni possano sfociare in sagge riflessioni/…Vorrei scrivere una poesia senza parole/…perché ognuno possa prendere ciò che gli serve/ per far luce nel caos della sua mente.”
“Sillabe nel vento”, dunque, un titolo  a prima vista quasi sibillino. Cosa vuole significare? Il significato rivela la personalità della poetessa: l’esigenza di uscire da sé e aprirsi alla comunicazione verso gli altri.
Questa apertura agli altri la possiamo notare pure  in un’altra poesia che dal titolo sembrerebbe però tutto il contrario, cioè l’imposizione di sé; il titolo “Essenzialmente io”. “Lasciami dire solo per una volta…io…io che egoisticamente..” E continua. Sembrerebbe tutto l’opposto. Però vediamo come si sviluppa e come conclude, con un risvolto a sorpresa: “…io…che voglio dire “io” solo perché amo l’essere “noi”. Ecco compare l’altro.  E’ un io il suo che poi si fonde nel noi.
E questa fusione diventa unità, un’unità così stretta che non si capisce più dove finisce l’io e comincia il noi. “..dove inizio io e finisci tu? dove inizi tu e finisco io?” E la fusione si fa anche bisogno dell’altro in un tenero affidamento: “prendimi per mano e conducimi dove non so andare…amore mio”. E altrove: “Noi…nucleo di nuclei uniti…compressi/ pronti a navigare/ in sì/ armoniche sensazioni”.
Nel noi la poetessa raggiunge la pienezza. Pienezza che ella esprime anche attraverso una figura geometrica, la sfera, che ricorre insistentemente nei suoi versi o nelle sue composizioni materiali, e che evidentemente ella predilige: “misteriosa sfera luminescente” dove luce è gioia, felicità. “Ciò che vibra sul tuo viso/ non è l’ombra di un sorriso/ ma felicità pura e cristallina”.
La sfera, che è dunque armonia, (come serena è la sua vita), le richiama anche la goccia. “Gocce di rugiada sul manto della vita/ splendono/ abbagliano/ indicano la via della luce”.
E alla sfera, alla goccia di rugiada infine la poetessa accosta l’idea del per sempre: “esiste il per sempre in quell’unica goccia di rugiada”.
Ecco allora che sfera, goccia, armonia; pienezza, appagamento, eternità; sono tutti elementi  che ci riportano ad un altro aspetto della poesia di Giovanna Fileccia, l’equilibrio.
Anche nelle sue installazioni pende sempre un filo cui è sospeso  qualcosa, un sassolino, un cristallo, che danno l’idea appunto dell’equilibrio che stabiliscono con  tutto il  resto.
Equilibrio che è conquista, superamento dei condizionamenti che la vita inevitabilmente presenta; condizionamenti di vario  tipo: interiori, familiari, sociali.
che costituiscono come la “Zavorra”, da cui bisogna liberarsi, affinchè possa venire a galla la vera essenza della persona, il  vero io. Nella poesia “Introspezione” troviamo “Mi riavvolgo a spirale/ girando su me stessa per lineare il mio equilibrio/ per cogliere la mia essenza”.
Come possiamo notare la poesia di Giovanna Fileccia è una poesia abbastanza complessa pur nella sua semplicità, dove i versi si ammantano di filosofia, psicologia, anche geometria; non è una poesia solamente intimistica, sfogo di sentimenti, ma una poesia di un certo spessore che rivela una forte tempra di poetessa.
Una poesia anche responsabile. Che tiene presente il pubblico cui si rivolge e nello stesso tempo, anche se per esempio parla del male, apre sempre però il cuore alla speranza. Significativo al proposito è un titolo “Tramuntu spiranzusu”, di una poesia in dialetto; un accostamento di termini contraddittori, tramonto  che esprime negatività, qualcosa che finisce , e poi la speranza che è tutto il contrario. O nella poesia “Natale” : “Dove  sei andato spirito del Natale?... L’evento che rappresenta la povertà e l’offerta/ è divenuto per incanto festa di sfarzo e di abbondanza/…” Però non finisce qui in una sterile lamentela. C’è Gesù che apre il cuore alla conversione. “E tu…bimbo in fasce vienici in aiuto/ riaccendi dopo il buio di una notte senza fine/ la vera essenza dell’Avvento…”.
Giovanna Fileccia quando scrive poesie non si sente nell’isolamento ma di fronte a un pubblico, a una platea.”Voi, intima platea di visi sconosciuti/ lettori consapevoli di sillabe assemblate”. E a questa consapevolezza di rivolgersi a un pubblico, si intreccia un altro aspetto della sua poesia, la universalità. “Grazie, intima platea di voci modulate/…sbirciate tra i cassetti che contengono poesie/ poesie che all’origine erano pensieri/ pensieri che sbocciano per essere parole/ parole libere…personali/ obbligate a divenire intimamente plateali.” E qui in una strofe soltanto c’è compendiata tutta una concezione sull’origine della poesia.  E la poesia è universale, tutti ci si possono riconoscere. Come pure nei pochi versi che formano la poesia “Tulipano”(Storia di un’idea). “Alta e fiera nasce dal nulla/ guizzo di un istante che arguisce la mente/ lampo insistente che …come fosse niente/ realizza e crea un’idea splendente.” C’è in sintesi tutta una poetica.
Tante cose ancora si potrebbero dire sulla poesia di Giovanna Fileccia, ma allora più che una recensione si potrebbe fare un saggio, perché altri temi ancora ella introduce e sviluppa, (la labilità della vita, i danni della lingua…) e tanti aspetti ancora sarebbero da esaminare (la sicilianità, l’umorismo…).
Ma mi vorrei soffermare ancora sullo stile della sua espressione poetica.  E’ uno stile
che esprime un grande pregio che è dello scrivere: la sintesi. E oltre a questo, si tratta di un  linguaggio nitido, trasparente; è la trasparenza dell’idea che espone.   Elegante nella sua semplicità. E rispecchia la naturalezza del suo porgersi. Nel vernacolo, pur mantenendo le stesse prerogative, il linguaggio si fa più colorito  e pittoresco mantenendo sempre una squisita eleganza.

1 commento:

  1. Tra luci e ombre, come in un gioco di specchi deformanti, la poesia comunica in poliedrici versi.
    Ringrazio la prof.ssa Maria Elena Mignosi Picone, e il prof. Tommaso Romano.
    Giovanna Fileccia

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