Il recente libro di Vanni Teodorani – ‘Quaderno’ 1945-1946 (Ed. Stilgraf. Cesena, 2014) – dovrebbe essere letto da tutti gli Italiani, in particolare da quelli nati dopo la fine del secondo conflitto mondiale, perché, in tale maniera, essi comprenderebbero le intere implicazioni che portarono l’Italia alla sconfitta al termine del menzionato scontro. Nato, nel 1916, a Torino, ma romagnolo purosangue, l’Autore del lavoro di cui ci stiamo occupando fu un esponente politico importante sia durante il regime, sia nel dopoguerra, periodo in cui cercò di orientare il MSI in direzione di una linea nazionale-cattolica.
Giornalista, Direttore di diverse testate – ‘Asso di Bastoni’ e ‘Rivista Romana’, per fare qualche esempio - ed eminente uomo di cultura, come si evince dalla lettura dell’intero libro, Teodorani fu anche legato al Capo del fascismo essendosi unito in nozze con la figlia di Arnaldo, fratello di Mussolini, mettendo in evidenza tutte le sue qualità di soldato, di scrittore e di diplomatico anche se, in quest’ultima veste, non gli arrise la fortuna per una serie di circostanze avverse indipendenti dalla sua volontà e dai suoi evidenti meriti. Il tutto fortificato, altresì, dall’esperienza delle patrie galere.
Curato e presentato dai figli Anna e Pio e introdotto da Giuseppe Parlato, l’attraente ‘Diario’ del conte si fa oltremodo apprezzare non solo per la scioltezza della forma e la puntualità delle argomentazioni, ma anche per la grande dose di ‘veridicità, presente dalla prima all’ultima pagina dato, a detta dei Presentatori, che “richiamare tradizioni ed eventi lontani può contribuire a raddrizzare vecchie e nuove storture, e soprattutto ad impostare un generale ripensamento ideale della nostra società e della nostra storia”.
E la prima impressione, suffragata da tutto il volume, che si prova al cospetto di questa testimonianza - imprescindibile per capire la storia d’Italia più recente – consiste, appunto, nell’osservazione che tale “documento umano”, parole dell’Autore, possiede la presunzione di dire tutta la verità, come, tra l’altro, alla fine del volume, egli ribadisce e cioè che “è tutto vero”.
Il lavoro teodoriano, dopo tante pagine confidenziali, corroborate dal supporto di intensi e dolorosi ricordi, vissuti in prima persona, ma sempre nell’ossequio dei fatti nudi e crudi, al momento opportuno entra “in medias res” mercé reminiscenze non solo di carattere familiare, bensì pure di ordine storiografico vero e proprio in quanto esso passa in rassegna gli eventi più vicini all’Autore; non esclusi gli uomini politici più in vista di quel tempo.
Ed sebbene, talvolta, l’Autore indulga a qualche affermazione come quella secondo cui “tutto quest’odio che c’è tra comunisti e fascisti è per me una riprova della stretta parentela che c’è fra noi”, resta pur vero che per lui “i veri italiani che possono trattare da pari a pari con i generali russi, i laburisti inglesi, i nazional socialisti tedeschi sono i fascisti rivoluzionari nei quali ho sempre avuto l’onore di militare”. Del resto i fascisti hanno sempre cercato di venire ad accordi con la Russia”. E, non a caso, egli continua, “l’ultimo leninista italiano è apparso a Piazzale Loreto vicino a Mussolini”. Cioè Bombacci.
Ora, è vero, d’accordo con Teodorani che “extrema tanguntur”, ma è altrettanto certo che non sempre i comunisti, nell’immediato dopoguerra – al momento della vendetta – utilizzarono la menzionata parentela in maniera solidale. Tutt’altro! Ad onta di qualche fugace opportunismo togliattiano, i cosiddetti ‘giorni dell’ira’, furono tremendi, considerata l’immane strage di ben 300.000 fascisti, numero riportato dallo stesso Teodorani.
E, in merito, l’Autore non ha nessuna tenerezza per gli americani i quali - considerati “i più umani soldati del mondo” - sganciarono bombe atomiche a dimostrazione che essi iniziarono la guerra da statunitensi e la terminarono da tedeschi. Su tale osservazione non sembrano esserci dubbi. Anche in occasione della ricerca di Mussolini, gli stessi si fecero giocare dai servizi segreti di Sua Maestà Britannica, a conferma del loro dilettantismo e del loro infantilismo.
Il volume, ricchissimo di riferimenti storici e culturali, colpisce, in modo duro, non solo i voltagabbana che il 25 aprile si presentarono con una sedicente verginità, ma anche i cosiddetti ‘fuoriusciti’, non senza un singolare elogio per Mussolini considerato come “uno degli uomini più buoni che siano mai esistiti e, caso mai, un po’ troppo buono tanto da diventare debole”; talmente debole, così continua, da accorgersi solo il 25 luglio “che un re di corona, nato re, figlio di re, poteva macchiare il suo focolare con atti di fellonia”.
Notevole, inoltre, la stima per Croce e per Gentile; quest’ultimo, parole di Teodorani, “Presidente dell’Accademia d’Italia, e degno successore di Marconi e d’Annunzio”, pagò “col martirio la sua lealtà, la sua fede e soprattutto il suo devoto amore per Mussolini”. Anche nei riguardi di Churchill, l’Autore del libro si esprime in termini positivi, segnatamente laddove egli scrive che lo statista inglese “ha sempre stimato Mussolini da quel che risulta, e credo che lo stimi di più dopo le sue recenti disavventure elettorali. Bravo Winnie!”.
Nessun avvenimento, remoto o recente, e nessun personaggio storico – a lui attuale o dell’antichità - sfugge all’occhio vigile di Vanni Teodorani; egli discute, ad esempio, di Nitti e di Giolitti dimostrando comprensione per il primo e stima per il secondo - definito “grande tecnico della psicologia italiana” - sebbene ripudiati dal fascismo “per rispetto al nostro santone numero uno l’adorabile poeta Gabriele che morto a tempo e ricongiunto ai fratelli arcangeli si può dire che oggi è beato”.
Un’altra persona stimata, non a torto, dall’Autore, è Ferruccio Parri definito bravo, onesto e retto per i meriti acquisiti per la sua moderazione mentre non può sottrarsi ad un franco giudizio nei riguardi di Mussolini reo, secondo lui, in buona fede, di aver creduto che “gli italiani erano tutti ritornati antichi romani” quando, invece, gli stessi sono e restano, in fondo, un po’ traditori.
E sempre a proposito di Mussolini, nel ricordare la comprensione evidenziata da Nenni alla notizia dello scempio di Piazzale Loreto, Teodorani ha espressioni di biasimo nei confronti di Alcide De Gasperi il quale, durante una riunione, a Roma, a Palazzo dei Marescialli, di fronte alla tragica morte di Mussolini, fu il solo a commentare:”Meno male! Così non parla!”. Verso la fine del suo lavoro, l’Autore ribadisce la propria professione di fede politica proclamando: “sono fascista, perché sono socialista” e liberale, non senza aggiungere, significativamente: “mi piacciono i comunisti”.
Teodorani prende posizione anche intorno alla “vexata questio” dell’eccidio delle Fosse Ardeatine addebitato ai fascisti, precisando, altresì, di aver “conquistato una nuova concezione della giustizia” visto che essa non esiste e dato che è meglio “ripiegare sulla pietà”. L’Autore, ricostruisce, in Appendice, le complesse vicende, vissute in prima persona, tese a salvare la vita di Mussolini vittima, purtroppo, delle divergenze fra gli Alleati, ponendo anche l’accento, infine, sulla volontà omicida di Togliatti espressa in un sedicente discorso del 26 aprile, ma riportato dall’’Unità’ solo il 7 maggio!
Un altro episodio riferito, dall’Autore, concerne una curiosa richiesta di scarpe del gen. Castellano agli Alleati; questi non sapeva che la Wehrmacht, da due anni, camminava con milioni di paia sottratte ai magazzini del Regio Esercito di cui “a quanto pare lo Stato Maggiore Generale ignorava l’esistenza e consistenza”! Chiudono il considerevole volume, alcune poesie – in cui è ognora presente la patria - tratte da alcuni volumi dell’Autore: evidentemente poeta oltreché scrittore.
Che dire, in conclusione, della bella fatica di Vanni Teodorani? Che essa rimane un documento fondamentale per comprendere, nella loro interezza, le intricate vicende di un periodo storico ancora tutto da scoprire e da studiare prima di pronunciare sentenze definitive di fronte al tribunale della storia. Dopo settant’anni dalla fine della guerra non è possibile, infatti, emettere verdetti con obbiettività visto, inoltre, che la storia la fanno i vincitori.
Il libro di Teodorani, ad ogni modo, colma una parte delle attuali lacune storiografiche rimanendo una testimonianza considerevole per procedere sulla strada della verità.
Giornalista, Direttore di diverse testate – ‘Asso di Bastoni’ e ‘Rivista Romana’, per fare qualche esempio - ed eminente uomo di cultura, come si evince dalla lettura dell’intero libro, Teodorani fu anche legato al Capo del fascismo essendosi unito in nozze con la figlia di Arnaldo, fratello di Mussolini, mettendo in evidenza tutte le sue qualità di soldato, di scrittore e di diplomatico anche se, in quest’ultima veste, non gli arrise la fortuna per una serie di circostanze avverse indipendenti dalla sua volontà e dai suoi evidenti meriti. Il tutto fortificato, altresì, dall’esperienza delle patrie galere.
Curato e presentato dai figli Anna e Pio e introdotto da Giuseppe Parlato, l’attraente ‘Diario’ del conte si fa oltremodo apprezzare non solo per la scioltezza della forma e la puntualità delle argomentazioni, ma anche per la grande dose di ‘veridicità, presente dalla prima all’ultima pagina dato, a detta dei Presentatori, che “richiamare tradizioni ed eventi lontani può contribuire a raddrizzare vecchie e nuove storture, e soprattutto ad impostare un generale ripensamento ideale della nostra società e della nostra storia”.
E la prima impressione, suffragata da tutto il volume, che si prova al cospetto di questa testimonianza - imprescindibile per capire la storia d’Italia più recente – consiste, appunto, nell’osservazione che tale “documento umano”, parole dell’Autore, possiede la presunzione di dire tutta la verità, come, tra l’altro, alla fine del volume, egli ribadisce e cioè che “è tutto vero”.
Il lavoro teodoriano, dopo tante pagine confidenziali, corroborate dal supporto di intensi e dolorosi ricordi, vissuti in prima persona, ma sempre nell’ossequio dei fatti nudi e crudi, al momento opportuno entra “in medias res” mercé reminiscenze non solo di carattere familiare, bensì pure di ordine storiografico vero e proprio in quanto esso passa in rassegna gli eventi più vicini all’Autore; non esclusi gli uomini politici più in vista di quel tempo.
Ed sebbene, talvolta, l’Autore indulga a qualche affermazione come quella secondo cui “tutto quest’odio che c’è tra comunisti e fascisti è per me una riprova della stretta parentela che c’è fra noi”, resta pur vero che per lui “i veri italiani che possono trattare da pari a pari con i generali russi, i laburisti inglesi, i nazional socialisti tedeschi sono i fascisti rivoluzionari nei quali ho sempre avuto l’onore di militare”. Del resto i fascisti hanno sempre cercato di venire ad accordi con la Russia”. E, non a caso, egli continua, “l’ultimo leninista italiano è apparso a Piazzale Loreto vicino a Mussolini”. Cioè Bombacci.
Ora, è vero, d’accordo con Teodorani che “extrema tanguntur”, ma è altrettanto certo che non sempre i comunisti, nell’immediato dopoguerra – al momento della vendetta – utilizzarono la menzionata parentela in maniera solidale. Tutt’altro! Ad onta di qualche fugace opportunismo togliattiano, i cosiddetti ‘giorni dell’ira’, furono tremendi, considerata l’immane strage di ben 300.000 fascisti, numero riportato dallo stesso Teodorani.
E, in merito, l’Autore non ha nessuna tenerezza per gli americani i quali - considerati “i più umani soldati del mondo” - sganciarono bombe atomiche a dimostrazione che essi iniziarono la guerra da statunitensi e la terminarono da tedeschi. Su tale osservazione non sembrano esserci dubbi. Anche in occasione della ricerca di Mussolini, gli stessi si fecero giocare dai servizi segreti di Sua Maestà Britannica, a conferma del loro dilettantismo e del loro infantilismo.
Il volume, ricchissimo di riferimenti storici e culturali, colpisce, in modo duro, non solo i voltagabbana che il 25 aprile si presentarono con una sedicente verginità, ma anche i cosiddetti ‘fuoriusciti’, non senza un singolare elogio per Mussolini considerato come “uno degli uomini più buoni che siano mai esistiti e, caso mai, un po’ troppo buono tanto da diventare debole”; talmente debole, così continua, da accorgersi solo il 25 luglio “che un re di corona, nato re, figlio di re, poteva macchiare il suo focolare con atti di fellonia”.
Notevole, inoltre, la stima per Croce e per Gentile; quest’ultimo, parole di Teodorani, “Presidente dell’Accademia d’Italia, e degno successore di Marconi e d’Annunzio”, pagò “col martirio la sua lealtà, la sua fede e soprattutto il suo devoto amore per Mussolini”. Anche nei riguardi di Churchill, l’Autore del libro si esprime in termini positivi, segnatamente laddove egli scrive che lo statista inglese “ha sempre stimato Mussolini da quel che risulta, e credo che lo stimi di più dopo le sue recenti disavventure elettorali. Bravo Winnie!”.
Nessun avvenimento, remoto o recente, e nessun personaggio storico – a lui attuale o dell’antichità - sfugge all’occhio vigile di Vanni Teodorani; egli discute, ad esempio, di Nitti e di Giolitti dimostrando comprensione per il primo e stima per il secondo - definito “grande tecnico della psicologia italiana” - sebbene ripudiati dal fascismo “per rispetto al nostro santone numero uno l’adorabile poeta Gabriele che morto a tempo e ricongiunto ai fratelli arcangeli si può dire che oggi è beato”.
Un’altra persona stimata, non a torto, dall’Autore, è Ferruccio Parri definito bravo, onesto e retto per i meriti acquisiti per la sua moderazione mentre non può sottrarsi ad un franco giudizio nei riguardi di Mussolini reo, secondo lui, in buona fede, di aver creduto che “gli italiani erano tutti ritornati antichi romani” quando, invece, gli stessi sono e restano, in fondo, un po’ traditori.
E sempre a proposito di Mussolini, nel ricordare la comprensione evidenziata da Nenni alla notizia dello scempio di Piazzale Loreto, Teodorani ha espressioni di biasimo nei confronti di Alcide De Gasperi il quale, durante una riunione, a Roma, a Palazzo dei Marescialli, di fronte alla tragica morte di Mussolini, fu il solo a commentare:”Meno male! Così non parla!”. Verso la fine del suo lavoro, l’Autore ribadisce la propria professione di fede politica proclamando: “sono fascista, perché sono socialista” e liberale, non senza aggiungere, significativamente: “mi piacciono i comunisti”.
Teodorani prende posizione anche intorno alla “vexata questio” dell’eccidio delle Fosse Ardeatine addebitato ai fascisti, precisando, altresì, di aver “conquistato una nuova concezione della giustizia” visto che essa non esiste e dato che è meglio “ripiegare sulla pietà”. L’Autore, ricostruisce, in Appendice, le complesse vicende, vissute in prima persona, tese a salvare la vita di Mussolini vittima, purtroppo, delle divergenze fra gli Alleati, ponendo anche l’accento, infine, sulla volontà omicida di Togliatti espressa in un sedicente discorso del 26 aprile, ma riportato dall’’Unità’ solo il 7 maggio!
Un altro episodio riferito, dall’Autore, concerne una curiosa richiesta di scarpe del gen. Castellano agli Alleati; questi non sapeva che la Wehrmacht, da due anni, camminava con milioni di paia sottratte ai magazzini del Regio Esercito di cui “a quanto pare lo Stato Maggiore Generale ignorava l’esistenza e consistenza”! Chiudono il considerevole volume, alcune poesie – in cui è ognora presente la patria - tratte da alcuni volumi dell’Autore: evidentemente poeta oltreché scrittore.
Che dire, in conclusione, della bella fatica di Vanni Teodorani? Che essa rimane un documento fondamentale per comprendere, nella loro interezza, le intricate vicende di un periodo storico ancora tutto da scoprire e da studiare prima di pronunciare sentenze definitive di fronte al tribunale della storia. Dopo settant’anni dalla fine della guerra non è possibile, infatti, emettere verdetti con obbiettività visto, inoltre, che la storia la fanno i vincitori.
Il libro di Teodorani, ad ogni modo, colma una parte delle attuali lacune storiografiche rimanendo una testimonianza considerevole per procedere sulla strada della verità.
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