di Giuseppe La Russa
«Rivelami ciò che ami veramente, ciò che cerchi e a cui aspiri con tutto il tuo desiderio quando speri di trovare il tuo vero godimento, e con ciò mi avrai spiegato qual è la tua vita. Quello che tu ami, tu lo vivi».
Questa citazione estrapolata da Fichte, mi pare, il vero fil rouge attraverso cui corre l’ultimo saggio di Vito Mancuso, Io amo, piccola filosofia dell’amore, testo edito da Garzanti nel settembre 2014.
Una frase, questa di Fichte, che mi ha richiamato – quasi per naturale analogia – la parte finale di un dialogo di un capolavoro cinematografico, Nuovo cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore. Quando il protagonista sta per lasciare la Sicilia, il suo amico/guida, il cieco Alfredo, così gli dà l’addio: «Qualunque cosa farai nella tua vita, amala».
Ora, le due citazioni, una sovrapposte all’altra, una compendio dell’altra, rappresentano davvero il fuoco che arde nello spirito umano ogni qualvolta esso desidera, ogni qualvolta esso percepisce una spinta più grande del suo stesso sentire, ogni qualvolta esso voglia obbedire alla Vita. E la parola ‘desiderio’ sottende a tutto il saggio di Mancuso, tanto che forte campeggia la frase «Non esiste uomo senza desiderio».
Si tratta dunque di un testo, Io amo, che guarda all’amore da ogni possibile prospettiva, nell’assunto – comunque - che è certamente impossibile dirimere esaustivamente la questione.
Il punto di partenza, la base su cui Mancuso costruisce il suo ragionamento – e su cui, a dire il vero, erige la sua filosofia – è la certezza inoppugnabile che l’uomo sia un essere relazionale, che vive di relazioni, nelle relazioni, per le relazioni. L’amore, ora, si trova ad essere in assoluto la relazione più grande, perché crea un ordine nuovo nella vita di un individuo, è caos (poiché rompe una situazione originaria) che si trasforma in logos, la nuova vita relazionale, per l’appunto, una vita che tende all’ordine, alla verità e al bene.
Amore come costitutivo dell’essere quindi, come verità; amore come “mezzo” per partecipare a quella forza di espansione cosmica originata dal Big Bang e che secondo gli scienziati è sempre in atto, infatti c’è coincidenza «tra l’universo-macrocosmo e l’uomo micro-cosmo, ciascun essere umano riproduce nel suo piccolo la medesima dinamica dell’universo nel suo insieme. […] L’universo non solo è là fuori, ma è anche qui dentro». E l’amore è, appunto, la forza che ci fa partecipi di questa millenaria relazione, «in particolare nella sua forma di eros, concepibile nella sua fisicità come riproduzione in ogni essere vivente della forza cosmica primordiale che tende all’espansione». E questa espansione, la legge fisica che sottende all’universo, è la stessa che alberga dentro di noi e l’eros, la pulsione erotica, è proprio il modo attraverso il quale questa legge fisica si manifesta nell’essere umano. In questa densissima parte così chiosa Mancuso: «Eros introduce caos nel sistema ordinato dell’individuo, originariamente concepito come monade unica e solitaria, e da questo caos si origina un più altro livello di organizzazione della materia. Così procede tra i viventi quell’espansione quantitativa e qualitativa dell’universo che chiamiamo evoluzione. L’impulso erotico è il caos che bussa alla porta e sconvolge l’ordine esistente al fine di crearne uno nuovo, più complesso».
L’amore è quindi l’esperienza che più di tutte sconvolge l’ordine, quella che anche Leopardi, nei suoi Pensieri, definiva l’esperienza madre, quella che Cosimo di Rondò, il “Barone rampante” per intenderci, risolveva come quella che più di tutte danno il senso delle cose, quell’esperienza che produce, secondo Mancuso, come abbiamo appena visto, una «rivoluzione integrale» tale che un uomo si lega ad un altro per produrre un qualcosa di qualitativamente diverso, poiché «l’amore maturo conduce il singolo a sussistere fuori di sé, ma non nell’altro, bensì in qualcosa di più alto di sé e dell’altro».
Così, nella consapevolezza di una forza del tutto naturale e come tale connaturata alla nostra vita, prendono campo nel libro le prese di posizione su controverse questioni come l’omosessualità, il divorzio, con discussioni che prendono spunto dalla Bibbia, ma che cercano sempre di affrontare criticamente il testo sacro: ma ogni aspetto è esaminato alla luce dei concetti sempre vivi e colonne portanti del pensiero di Mancuso, ossia ‘bene’ e ‘verità’. In ogni aspetto della nostra vita va seguita la verità: è questo il modo per essere fedeli alla Scrittura, essere fedeli alla vita. Anche l’amore per Dio assume, ovviamente, questa direzione, la prospettiva del bene e della giustizia: tra amore per Dio e amore per sé viene ad instaurarsi un profondo legame, per amando Dio, scrive Mancuso, «si ama la luce dell’uomo interiore che è in noi, in quanto è solo amando la propria interiorità come custodia di una certa dimensione dell’essere che prende senso l’amore per Dio».
Nella natura e tra le cose naturali, dunque, trova luogo l’amore, ed esso è relazione ed in quanto tale costitutivo dell’essere. L’amore abbraccia allora la nostra esistenza, la avvolge, la indirizza verso la direzione del bene, della verità: ecco, dunque, che si spiega la nostra premessa. Mostrando di voler legare la nostra libertà a qualcosa di più grande di noi (perché secondo Mancuso la nostra libertà, paradossalmente, sente la necessità di legarsi, ma a qualcosa che è più grande, qualitativamente), mettiamo a nudo il nostro animo, sveliamo la nostra identità. Mostrando il fuoco che dentro di noi arde e che ci spinge, che ci fa tendere ad una espansione del nostro spirito, microcosmo specchio del macrocosmo, apriamo il cuore alla Vita che ogni giorno si affaccia a noi, ad essa obbediamo e manifestiamo ciò che siamo, perché l’uomo ciò che ama lo vive.
E se riusciremo – come il cieco Alfredo ci urla - ad amare qualunque cosa ci toccherà fare nella vita, non avremo forse indirizzato il senso della nostra esistenza?
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