Recentemente sono stato invitato dalla segreteria della Sugarcoedizioni di leggere un testo sulla droga, un invito che ho preso con poco entusiasmo. Infatti il tema mi sembra logoro, e per certi versi di poco interesse. Non siamo alla fine degli anni settanta, subito il “68”, quando Alleanza Cattolica, organizzava affollati convegni per sensibilizzare nella lotta contro gli effetti devastanti della droga. Il testo che ho ricevuto è “Libertà dalla droga”, scritto a sei mani da Alfredo Mantovano, Giovanni Serpelloni e Massimo Introvigne, di recente pubblicato da Sugarcoedizioni (aprile 2015 Milano)Dopo averlo letto però devo ricredermi. Il testo è una buonissima sintesi di tutto quello che bisogna sapere sull’emergenza droga, e potrebbe essere un ottimo strumento di studio, soprattutto di sostegno per tutti quelli che operano nel sociale, a cominciare dagli operatori sociosanitari, i docenti nelle scuole, ma anche i genitori che devono educare quei pochi figli, soprattutto adolescenti, sempre a rischio di essere intrappolati dal fascino mortale della droghe.
Il libro, anzi il manuale, si divide in tre sezioni: il diritto, la scienza, e la sociologia. Curate in ordine da Mantovano, Serpelloni e Introvigne.
Nel primo capitolo l’ex sottosegretario ora magistrato, Alfredo Mantovano fa la storia dell’ordinamento italiano sulla droga: 40 anni di successi e di sconfitte. In particolare Mantovano si sofferma sulla legge n.49/2006, che ha contribuito personalmente a compilare. Una riforma che ha eliminato la distinzione fra droghe cosiddette “leggere” e droghe cosiddette “pesanti”, ponendo tutte le droghe sullo stesso piano. Una riforma peraltro che intendeva riassumere in tre termini il sistema sanzionatorio, amministrativo e penale: prevenzione, repressione e recupero. In pratica lo Stato non resta indifferente rispetto alla diffusione della droga e manifesta il suo giudizio negativo. Infatti secondo la normativa del 2006,“drogarsi non è un esercizio di libertà nel quale non si ha titolo per interferire, ma è un atto di rifiuto dei più elementari doveri del singolo nei confronti delle diverse comunità nelle quali concretamente vive: rispetto a tale atto lo Stato ha il dovere di rispondere con un complesso di interventi, il cui presupposto è una chiara manifestazione di contrarietà”.
Per Mantovano era una riforma che non aveva impeti proibizionistici, come era stata bollata, ma intendeva collocarsi al di fuori della “dialettica fra proibizionisti e antiproibizionisti: l’antiproibizionismo aggrava il dramma della droga,- scrive il magistrato - favorendone la più ampia diffusione, come confermano tutte le esperienze, più o meno estese, di legalizzazione; il proibizionismo, cioè la scelta di puntare esclusivamente sul sistema sanzionatorio, rendendolo più severo, in sé non risolve nulla: la questione droga non è riducibile esclusivamente a un problema di diritto penale”. Infatti per Mantovano, la riforma del 2006, “immagina una via diversa che, senza trascurare il richiamo alla responsabilità, derivante da un chiaro giudizio negativo sulla droga, a cominciare dal suo semplice uso, investe sulla prevenzione e spinge con decisione verso il recupero”. Consapevole che la legge dello Stato, non ha la bacchetta magica, indubbiamente però i risultati dell’applicazione delle norme sono attestati da dati obiettivi: “contrazione del consumo complessivo di droga, riduzione dei decessi e diminuzione degli ingressi in carcere di tossicodipendenti”.
A differenza di quello che scrivono i radicali che la legge del 2006 vada abolita perché ha riempito le carceri di drogati, la realtà è diversa: i decessi per droga sono scesi da 1002 nel 1999 a 344 nel 2013, mentre è diminuito il consumo totale di droghe e il numero di tossicodipendenti in carcere, con parallelo incremento dei recuperi. Nonostante tutto questo nella primavera 2014 una sentenza della Corte costituzionale, un decreto del governo Renzi e poi il Parlamento, hanno preso di mira la riforma sulla droga del 2006 e ne hanno cancellato i tratti più significativi, riportando indietro l’Italia di 40 anni.
Di fatto la riforma del 2006 viene stravolta calpestando ogni conclusione scientifica e i dati oggettivi. Ma quello che sottolinea Mantovano, che la depenalizzazione di fatto dello spaccio e la reintroduzione della erronea distinzione “fra droghe “leggere” e “pesanti” sono state decise con un decreto d’urgenza, non preceduto – come invece era accaduto prima della stesura del disegno di legge del governo Berlusconi – da alcun confronto con addetti ai lavori e con periti di varia formazione ed esperienza”. In pratica il governo Renzi, ha posto la fiducia e ha “blindato” la legge, all’insegna del “non si cambi nulla”. Altro scandalo è che la legge è passata tra l’indifferenza sostanziale di tutte le forze politiche, comprese quelle che avevano approvato la riforma del 2006.
In conclusione Mantovano scrive che la cancellazione della buona riforma del 2006 è “una rivincita dell’ideologia post-sessantottina. L’approvazione delle nuove norme sulla droga costituisce il primo obiettivo tangibile conseguito dal fronte sessantottino nella XVII Legislatura, ed è il primo concreto segnale di inversione di tendenza rispetto a un orientamento che, quanto a leggi e ad azione di governo, sembrava in anni passati aver frenato la deriva libertaria”.
Pertanto il campo di battaglia non sono tanto i pur importanti articoli e commi o i milligrammi in più o in meno di ciascuna sostanza riportata nelle tabelle della nuova legge, ma il confronto o meglio lo scontro culturale. “Ciò che ci divide rispetto ai teorici della legalizzazione delle droghe, è il modo di intendere la libertà e la responsabilità, scrive Mantovano.. Infatti per quelli che hanno riscritto la legislazione sulla droga nel 2014, il termine libertà significa fare quello che si vuole, incluso darsi la morte, porre se stessi nelle condizioni di non essere più se stessi, e di vivere nel “vuoto” e tra i “fantasmi”.
Nei prossimi interventi affronterò l’aspetto dei dati scientifici illustrati dal dottor Serpelloni, dati oggettivi aggiornati a giugno 2014, sullo stato della diffusione delle droghe in Italia. Ma soprattutto sui danni e la pericolosità dell’uso delle sostanze stupefacenti a cominciare dalla cannabis, che non ha nulla di “leggero” e che sta producendo effetti pesantemente negativi, soprattutto fra i giovani. Infine gli aspetti sociologici della rivoluzione drogastica e della “filosofia chimica”, illustrati dal professore Introvigne.
Il libro, anzi il manuale, si divide in tre sezioni: il diritto, la scienza, e la sociologia. Curate in ordine da Mantovano, Serpelloni e Introvigne.
Nel primo capitolo l’ex sottosegretario ora magistrato, Alfredo Mantovano fa la storia dell’ordinamento italiano sulla droga: 40 anni di successi e di sconfitte. In particolare Mantovano si sofferma sulla legge n.49/2006, che ha contribuito personalmente a compilare. Una riforma che ha eliminato la distinzione fra droghe cosiddette “leggere” e droghe cosiddette “pesanti”, ponendo tutte le droghe sullo stesso piano. Una riforma peraltro che intendeva riassumere in tre termini il sistema sanzionatorio, amministrativo e penale: prevenzione, repressione e recupero. In pratica lo Stato non resta indifferente rispetto alla diffusione della droga e manifesta il suo giudizio negativo. Infatti secondo la normativa del 2006,“drogarsi non è un esercizio di libertà nel quale non si ha titolo per interferire, ma è un atto di rifiuto dei più elementari doveri del singolo nei confronti delle diverse comunità nelle quali concretamente vive: rispetto a tale atto lo Stato ha il dovere di rispondere con un complesso di interventi, il cui presupposto è una chiara manifestazione di contrarietà”.
Per Mantovano era una riforma che non aveva impeti proibizionistici, come era stata bollata, ma intendeva collocarsi al di fuori della “dialettica fra proibizionisti e antiproibizionisti: l’antiproibizionismo aggrava il dramma della droga,- scrive il magistrato - favorendone la più ampia diffusione, come confermano tutte le esperienze, più o meno estese, di legalizzazione; il proibizionismo, cioè la scelta di puntare esclusivamente sul sistema sanzionatorio, rendendolo più severo, in sé non risolve nulla: la questione droga non è riducibile esclusivamente a un problema di diritto penale”. Infatti per Mantovano, la riforma del 2006, “immagina una via diversa che, senza trascurare il richiamo alla responsabilità, derivante da un chiaro giudizio negativo sulla droga, a cominciare dal suo semplice uso, investe sulla prevenzione e spinge con decisione verso il recupero”. Consapevole che la legge dello Stato, non ha la bacchetta magica, indubbiamente però i risultati dell’applicazione delle norme sono attestati da dati obiettivi: “contrazione del consumo complessivo di droga, riduzione dei decessi e diminuzione degli ingressi in carcere di tossicodipendenti”.
A differenza di quello che scrivono i radicali che la legge del 2006 vada abolita perché ha riempito le carceri di drogati, la realtà è diversa: i decessi per droga sono scesi da 1002 nel 1999 a 344 nel 2013, mentre è diminuito il consumo totale di droghe e il numero di tossicodipendenti in carcere, con parallelo incremento dei recuperi. Nonostante tutto questo nella primavera 2014 una sentenza della Corte costituzionale, un decreto del governo Renzi e poi il Parlamento, hanno preso di mira la riforma sulla droga del 2006 e ne hanno cancellato i tratti più significativi, riportando indietro l’Italia di 40 anni.
Di fatto la riforma del 2006 viene stravolta calpestando ogni conclusione scientifica e i dati oggettivi. Ma quello che sottolinea Mantovano, che la depenalizzazione di fatto dello spaccio e la reintroduzione della erronea distinzione “fra droghe “leggere” e “pesanti” sono state decise con un decreto d’urgenza, non preceduto – come invece era accaduto prima della stesura del disegno di legge del governo Berlusconi – da alcun confronto con addetti ai lavori e con periti di varia formazione ed esperienza”. In pratica il governo Renzi, ha posto la fiducia e ha “blindato” la legge, all’insegna del “non si cambi nulla”. Altro scandalo è che la legge è passata tra l’indifferenza sostanziale di tutte le forze politiche, comprese quelle che avevano approvato la riforma del 2006.
In conclusione Mantovano scrive che la cancellazione della buona riforma del 2006 è “una rivincita dell’ideologia post-sessantottina. L’approvazione delle nuove norme sulla droga costituisce il primo obiettivo tangibile conseguito dal fronte sessantottino nella XVII Legislatura, ed è il primo concreto segnale di inversione di tendenza rispetto a un orientamento che, quanto a leggi e ad azione di governo, sembrava in anni passati aver frenato la deriva libertaria”.
Pertanto il campo di battaglia non sono tanto i pur importanti articoli e commi o i milligrammi in più o in meno di ciascuna sostanza riportata nelle tabelle della nuova legge, ma il confronto o meglio lo scontro culturale. “Ciò che ci divide rispetto ai teorici della legalizzazione delle droghe, è il modo di intendere la libertà e la responsabilità, scrive Mantovano.. Infatti per quelli che hanno riscritto la legislazione sulla droga nel 2014, il termine libertà significa fare quello che si vuole, incluso darsi la morte, porre se stessi nelle condizioni di non essere più se stessi, e di vivere nel “vuoto” e tra i “fantasmi”.
Nei prossimi interventi affronterò l’aspetto dei dati scientifici illustrati dal dottor Serpelloni, dati oggettivi aggiornati a giugno 2014, sullo stato della diffusione delle droghe in Italia. Ma soprattutto sui danni e la pericolosità dell’uso delle sostanze stupefacenti a cominciare dalla cannabis, che non ha nulla di “leggero” e che sta producendo effetti pesantemente negativi, soprattutto fra i giovani. Infine gli aspetti sociologici della rivoluzione drogastica e della “filosofia chimica”, illustrati dal professore Introvigne.
Nessun commento:
Posta un commento