di Giuseppe La Russa
Il futuro è sempre eventuale, per citare una delle sue massime predilette; il domani è da scrivere, da inscrivere, da inventare, da attendere, costruire; il futuro costa di incertezza, di infinite possibilità, è dubbio. Ma nella sua vita, nella sua opera, nella sua attività di ricerca il dubbio si è trasformato in Desiderio, in un amore viscerale di una domanda sempre aperta. Ecco la vita di Tommaso Romano, autore, poeta, pensatore, saggista, declinata nel dubbio e nella domanda, elementi consustanziali alla ricerca di Senso che è e dovrebbe essere di ogni uomo. Ecco l’opera di Maria Patrizia Allotta che nel volumetto Nel buio aspettando l’alba, speranza che non muore riporta vari tasselli di un enorme tutto, vari pezzettini di un insieme vasto e ampio quaranta anni di attività. Le pagine che formano questo piccolo volumetto, infatti, riproducono l’opera di Romano attraverso i suoi momenti più forti, più significativi, attraverso le sue pagine più dense e cariche: ogni pagina è un indumento indossato nei suoi sessanta anni di vita, ogni lacerto di testo è un attimo, un frammento, una scheggia. Schegge dal Mosaicosmo di Tommaso Romano è, infatti, il sottotitolo.
De-finire un testo del genere, un impegno che tenta di riprodurre un’attività di ricerca lunga una intera vita è compito estremamente complicato, ma come in ogni uomo, come in ogni cuore è giusto cercare un cardine, andare alla ricerca del centro di propulsione, provare a scovare il “motore immobile” di ogni azione. Il libro, presentato per la prima volta il 20 aprile 2015 presso l’Officina di studi medievali di Palermo, ha visto la luce insieme alla raccolta ad opera di Vito Mauro che racchiude tutta la bibliografia di e su Tommaso Romano: questo testo è stato intitolato Continuum, ed è su questo punto che dobbiamo necessariamente riflettere.
La tendenza, o meglio, la vocazione alla ricerca per Romano è stato un dato naturale: si badi bene che non utilizzo a caso il termine ‘naturale’. Il termine ‘natura’, infatti, deriva dal verbo latino ‘nascor’, più precisamente dal participio futuro ‘nascituro’: poi, per contrazione, di ha (declinato al femminile) il termine ‘natura’. Quando si vuole andare al nocciolo delle cose, credo che fare un’analisi etimologica dei termini sia la via più profonda e più veritiera. Nulla di più vero, infatti, nel definire naturale la chiamata alla ricerca, al continuo studio, al continuo domandare e domandarsi: ciò che è ‘natura’, infatti, sta sempre per nascere, è in continuo divenire, in continuo evolversi. Da qui l’eterogeneità degli aspetti della vita, essa stessa movimento continuo, essa stessa continuo e perpetuo viaggio. Obbedire alla vita significa, dunque, obbedire a questa sua insita e congenita forza che la vedrà sempre dinamica e mai statica. È la fisica che ce lo insegna, la scienza che ce lo mostra: il mondo evolve, la vita è un processo in avanti; orientare questo processo verso l’ordine, verso il bene, verso la verità è il compito che ogni esistenza dovrebbe perseguire.
Così Romano ha fatto della domanda perpetua il suo leit motiv. Ricordo nel 2010 un convegno presso l’Università di Palermo tenuto da Davide Rondoni, tra l’altro amico e conoscitore di Tommaso Romano. Il poeta e studioso bolognese ragionava sulla Poesia come domanda (questo il titolo del convegno) e riflettendo sul tema affermava come non può esistere aspetto della vita non sottoposto ad una domanda continua: così è un rapporto d’amore, fondato su basi solide e stabili, ma sempre alla ricerca del “nuovo” per ri-scoprire ogni giorno la bellezza della prima volta. E mi raccontava proprio Romano come all’interno della Fondazione Thule ogni oggetto non ha una precisa collocazione, infatti quadri, statue e oggetti di vario tipo trovano sempre nuova collocazione perché, come lui stesso mi ha detto, bisogna andare sempre alla ricerca della perfezione, consapevoli che la perfezione non è di questo mondo.
Conscio di questo assunto, la ricerca esistenziale e culturale di Romano è stata, per l’appunto, un continuum, un perpetuo divenire che nelle pagine curate da Maria Patrizia Allotta trova assolutamente piede; anzi, mi pare proprio il fondamento su cui il volumetto si costruisce, il centro nevralgico su cui si dipana questa sintesi del pensiero di Romano. Il centro ordinatore di Romano è stato proprio il dubbio, la domanda, il tendere sempre alla ricerca dell’inaspettato, dell’eventuale, eventuale proprio come quel futuro che è da scrivere, sempre da inventare. «Oh! più felice, quanto più cammino/ m’era dinanzi; quanto più cimenti/ quanto più dubbi, quanto più destino»: così il personaggio di Alessandro Magno in un noto testo di Giovanni Pascoli: il dubbio è il desiderio di Romano, perché il dubbio genera il piacere della scoperta, una scoperta sempre nuova ed inaspettata. Ecco che l’eventualità del futuro si carica di una valenza positiva, si fa matrice della Bellezza, della Verità, binomio indissolubile ed inscritto col fuoco nell’animo del poeta ed uomo Romano. Quello stesso fuoco che divampava nel cuore dell’Ulisse dantesco, quello stesso ardore di divenire del mondo esperto sta alla base di una attività che non può, congenitamente, concludersi.
Da qui il concetto di Mosaicosmo, concetto assolutamente dinamico ed in divenire, perché se ogni uomo sa essere unico ed irripetibile, allo stesso tempo è specchio e riflesso del divenire del cosmo: «La vita di ogni uomo va intesa come una scheggia, frammento, una tessera del grande mosaico che diviene nel suo farsi e che, comunque, non è mai avulsa dal contesto e quindi né dalla vita reale né dalla vita di relazione. La nostra sintesi, dunque, viene a iscriversi non in modo statico ma in modo dinamico nell’economia del Cosmo».
La vita diviene ricerca di senso, di una direzione, indagine continua su se stessi e sul mondo, attesa di un’alba nel buio: significativo, tra l’altro, che Maria Patrizia Allotta initoli Anima all’alba una sua raccolta poetica e nel sottotitolo al volume in questione giochi nuovamente sullo stesso termine. L’alba è il momento in cui l’animo si affaccia a vita nuova dalle tenebre della notte, ma quella notte è stata trascorsa in un’attesa non vana, non fin e a se stessa, ma caricata di una forza capace di indagare, interrogare e di smuovere la coscienza. Soltanto così il buio ha un perché e può aprisrsi alla speranza, termine che ha connaturata in sé l’idea di futuro, l’idea di un domani.
Un domani speso ancora così, nel desiderio del dubbio, nell’ardore di una domanda sempre aperta, nella certezza di un futuro, per fortuna, eventuale.
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