di Francesco Cuva
Dobbiamo ringraziare i fratelli, Domenico e Vittorio Lo Iacono, che ci danno l’opportunità di parlare di artigiani e di artigianato anche se il loro scopo principale, con le rispettive pubblicazioni, è quello di dare lustro al proprio antenato Pasquale Azzolina, artista di fama ed uomo di cultura. Per capire l’opera dell’Azzolina, è necessario fare riferimento al ruolo politico, economico, sociale e culturale, che hanno avuto gli artigiani in Sicilia e, soprattutto, a Mistretta nel corso dei secoli. Con certezza, si può affermare che senza gli artigiani il potere politico sarebbe stato più ingiusto e più rapace. Infatti, fin in dal 1406, gli artigiani amastratini non solo sedevano sui banchi del consiglio comunale, ma si assunsero l’onere di difendere la legalità assolvendo all’impegno di controllare l’ordine pubblico, soprattutto di notte, quando sulla città si riversavano gruppi di facinorosi. Tale incarico fu espletato, con rettitudine, fin al 1838.
Altro principio benemerito di cui se ne deve dare atto, fu l’elaborazione del concetto di lavoro, inteso come fatto naturale e come riscatto umano e sociale: il lavoro allontana l’uomo dalla “lagnusia” ossia dalla noia, dal vizio e dal bisogno. Tale idea fu ripresa, in seguito, da Voltaire nel suo “Candido”. Su tale fondamento si innesta il diritto del lavoratore a migliorare la propria esistenza, a godere della propria libertà, a partecipare alla gestione della cosa pubblica. Non mancò il braccio di ferro con il baronaggio e con la corona , ma tale lotta aspra e dura sortì la nascita dell’associazionismo prima religioso e poi laico. Di fronte alle ingiustizie perpetrate in nome della casta, i contadini non fecero altro che ribellarsi, gli artigiani, invece, ricercarono la via del dialogo per costruire regole in seno alla società. E, nel momento i cui la ragion di stato e il privilegio s’imposero come norma, solo allora si passò alle lotte. Lo scontro e la rivolta durarono a lungo ed ebbero la loro epopea nel 1860 con la cacciata dei Borbone.
A livello economico, l’artigianato ha sempre rappresentato ciò che oggi viene definita la piccola industria con una produzione costante di ciò che la società ha richiesto per il soddisfacimento dei bisogni quotidiani.
La bottega, inoltre, è stata sempre una fucina e punto d’incontro perché l’artigiano non può lavorare mai da solo; egli cerca cooperazione, crea società, aspira a un metodo di lavoro sempre più qualificato. E, quando a Mistretta, nel 1629, nella bottega dei frati riformati, a Santa Maria, sostò fra Umile da Petralia, molti giovani amastratini ne carpirono i segreti del fare scultura. Stesso interesse si ebbe con lo scultore Biffarella
Il desiderio di rendere meno faticoso il mestiere trova conferma nella scelta di tanti amastratini di mandare i propri figli a Palermo o a Messina ad apprendere nuovi metodi di lavoro. Anche Gaetano Scaglione, falegname, a proprie spese, mantiene a Palermo il figlio Giuseppe che diverrà un famoso pittore e professore di disegno. E Noè Marullo, che appartiene ad una famiglia che non paga censo, trova sostegno per studiare a Palermo e a Roma da parte delle autorità comunali. In questo clima di aspirazioni, tensioni, e qualificazioni si inserisce l’attività della famiglia Azzolina che opera, in città, con una bottega fin dal ‘700. Michele, padre di Pasquale, nel 1868, siede sui banchi del civico consesso, anzi n’è il consigliere più anziano. Paga censo ed è l’espressione di un ceto sociale dinamico ed aperto verso una società che sta cambiando velocemente attraverso la seconda rivoluzione industriale. E nel clima di rinascita sociale e culturale che si registra a Mistretta dopo l’unità d’Italia, desidera che Pasquale acquisisca conoscenze tecniche tali da garantire una professionalità adeguata ai tempi. Si dice che lo abbia mandato a studiare disegno a Palermo. In realtà, anche a Mistretta esiste la possibilità di acculturarsi in quanto la società operaia, con la scuola serotina e la scuola di disegno gestita dagli insegnanti Lo Cascio e Marullo, la parrocchia e il comune, con la Scuola Normale Tecnica, e professionisti come l’architetto Gaetano Bavisotto, offrono a tanti giovani la possibilità di maturare esperienze in diversi campi del lavoro.
Proprio in quegli anni una ricca borghesia, l’on. Lorenzoni parla di un numeroso gruppo di milionari, che è collegata con quella di Palermo, di Roma, di Milano, ma anche quella di Parigi e Londra, richiede nuovi conforti per le loro abitazioni, per loro aziende, per i loro empori. E gli Azzolina come i Bavisotto, i Catania, i Marchese fanno di tutto per soddisfarla.
In questo clima fervoroso, s’innesta la figura di Pasquale Azzolina che assolve al suo ruolo di artista lasciando, sia a Mistretta sia Nicosia ma anche Palermo, opere di grande valore artistico.
Pasquale Azzolina, assieme a Noè Marullo, e prima di Picasso, dei futuristi, in particolare di Fortunato Depero, e di Valter Cropius, fonde in un’unica esperienza le attività legate al fare artistico, sanando la frattura tra arte e artigianato. Infatti, dopo aver amalgamato l’uso della prospettiva intuitiva e l’individuazione dei piani di luce, principi antichi ma sempre attuali, passa all’intarsio e poi alla scultura, dando valore artistico anche alle piccole cose, firmandole: una sedia, una cornice, una panca, un comò sono oggetti che suscitano emozioni, rendono salda la memoria, sviluppano il senso del futuro. Il mobile è un compagno di vita, è un componente della famiglia, come tale emana luce rendendo la casa accogliente, calda, misteriosa. Essendo elemento vivo della dimora ha bisogno continuamente di essere spolverato, accarezzato, curato, protetto. E come soggetto vivo, col tempo, purtroppo, invecchia e muore.
Ecco perché Pasquale Azzolina era orgoglioso delle sue creature e tale sentimento lo ha tramandato ai suoi familiari, ma anche agli amici e ai conoscenti.
Varia è la produzione dell’artista che ha avuto la sensibilità di aprirsi al mondo dell’arte scegliendo il confronto continuo con gli altri artisti del luogo, in una stagione, a Mistretta, dinamica e ricca di innovazioni , e ricercando nuove tecniche di soluzione.
Osservando bene il mobilio della farmacia Di Dino (Azzolina), ma anche quella del dottor Di Salvo (Bavisotto), si ha l’impressione che gli artisti amastratini, a fine ottocento, siano attenti ai vantaggi che la tecnologia mette a disposizione, anche perché, a Palermo, tante botteghe cominciano ad usare trapani e torni elettrici. Tale esigenza nel mondo del lavoro è recepita dal cavaliere Vincenzo Salamone che nel 1908 inaugura l’officina elettrica a Santa Rosa. Penso che anche Pasquale Azzolina ne sia rimasto soddisfatto. Lo documentano i numerosi fogli che si stampano in città in cui si evince che le botteghe e le officine rappresentano una nuova realtà economica tanto da aprirsi al mondo della pubblicità. Si sviluppa pure la concorrenza con prodotti provenienti dall’Austria e dalla Francia.
Ci sembra che i lavori di Vittorio e Domenico Lo Iacono mirino a questo. In particolare, Domenico presenta la figura artistica del nonno con un linguaggio corale e colloquiale, rendendo protagonisti della sua ricerca la madre Vincenza, la moglie Carmela, i figli, il genero, il fratello,l’artista Mario Biffarella, i redattori del “Centro Storico”, gli amici, i religiosi. A dimostrazione della grandezza di Pasquale Azzolina invita anche il lettore alla scoperta di ciò che il nonno ha lasciato a beneficio del popolo: basta entrare nella chiesa di Santa Maria degli Angeli per ammirare il fercolo dell’Ecce Homo con le sue statue.
Domenico ci fa sapere che lo studio preparatorio (1913) ossia il disegno del fercolo “ha avuto diverse modifiche all’idea originale”, ma anche la realizzazione (1913-1915) è stata vissuta in modo intenso in quanto l’artista ha voluto imprimere nel manufatto una sua ideologia umana ed artistica.
Apparentemente, sembra che il fercolo abbia una funzione di cornice cioè complementare rispetto alla figura dell’Ecce Homo. Invece, n’è strumento principale per comprendere la scena nella dimensione temporale e spaziale. Le due realtà, statua e fercolo, ad occhio creano una perfetta simmetria. L’osservatore attento, quindi, è portato ad immaginare l’antica scena drammatica allorché Ponzio Pilato consegna Gesù ai carnefici per farlo crocifiggere. Nello stesso tempo, focalizzando le due statue del fercolo, l’Addolorata e san Giovanni evangelista, ripercorre le vicende della crocifissione, mentre con Giuda, il traditore, e Pietro, il rinnegatore, si rivive la passione.
Alzando lo sguardo verso la cupola con la croce appare l’immagine della chiesa che tramanda il sacrificio di Cristo per la redenzione dell’umanità.
La macchina processionale di Pasquale Azzolina propone, perciò, il mistero del dolore e della pietà. Assistono alla scena, dall’alto, gli angeli, mentre i quattro archi e le quattro figure richiamo la perfezione del creato e del Creatore. Anche la finitura pittorica, “l’oro dei poveri”, oro-ocra spento, si adatta al clima mesto rappresentato dalla scena.
In conclusione, Pasquale Azzolina ha voluto trasmettere un messaggio sempre attuale sulla condizione umana che cerca protezione e trova conforto nella misericordia di Dio; tale conforto era rivolto ai contadini che ne sono stati, per altro,i committenti.
Il fercolo dell’Azzolina arricchisce la chiesa di Santa Maria degli Angeli che dovrebbe essere considerata come punto di riferimento per coloro che sentono il desiderio di confrontarsi col mondo dell’arte in quanto custodisce testimonianze importanti della tradizione amastratina: il Cristo patiens di fra Umile, la pala del trionfo di Maria di Scaglione, la madonna del Santo Aiuto di Marullo, che sono espressione di un’antica civiltà.
Inoltre, Domenico Lo Iacono ci invita a visitare il convento dei Padri Cappuccini in cui l’Azzolina dimorò per due anni, 1907-09, ricevendo committenze da altre chiese e confraternite. Per la chiesa del convento realizzò l’altare ligneo di san Felice, la cui statua, era stata scolpita, nel 1898, da Noè Marullo. La storia artistica del Marullo s’intreccia con quella dell’Azzolina. Per tale opera, padre Rosario da Valledolmo così si esprime: “la bellezza veramente artistica, maestosa e viva che si rivela in quest’opera del valoroso scultore Pasquale Azzolina da Mistretta di cui è nota abbastanza la grandezza e la forza del suo ingegno negli stupendi lavori delle cornici e del coro della Cattedrale. A lui l’espressione delle nostre vivissime lodi e delle vostre congratulazioni”.
Ai Cappuccini c’è un filo conduttore e di continuità, nata per caso, che accomunano l’arte del maestro con quella dell’allievo nell’urna che custodisce le reliquie di san Felice risparmiate dal fuoco che ne distrusse i resti. Tale urna, fatta in intaglio, fu portata a termine nel giro di pochi giorni da Giuseppe Maiorana, allievo dell’Azzolina, con la collaborazione di Giuseppe Cuva.
Pertanto, si può affermare che Domenico Lo Iacono con questo suo saggio ci invita a considerare l’arte come patrimonio di tutti per cui necessita educare l’occhio a vedere; a rivalutare l’arte applicata, in questo caso, il mobile, in una dimensione originale ed unitaria. Infine, ci ricorda che il nonno, Pasquale Azzolina, ha avuto come obiettivo di migliorare la qualità estetica degli oggetti che fanno parte della vita quotidiana contro la banalizzazione del gusto determinata dalla produzione in serie.
Allora, l’obiettivo che il Lo Iacono si è posto è stato raggiunto nella duplice veste: dare dignità artistica a Pasquale Azzolina e spronare il lettore ad amare il bello.
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