di Ninni Radicini
Da
alcuni anni la questione del riconoscimento del genocidio subito dal popolo armeno
(1894-96, 1915-23) incontra un interesse crescente sia in ambito di politica
internazionale sia in un contesto più ampio di storia, diritto, cultura, etica.
Nonostante la notevole pubblicistica, alla domanda «Che cosa è stato il
genocidio armeno?» in tanti tuttora potrebbero non saper dare una risposta
precisa. Sostanzialmente rimossa nei 50 anni successivi, è riemersa nel 1974
quando, in risposta a una denuncia del Tribunale permanente dei popoli, la
Turchia - in modo molto generico e senza alcuna attribuzione di responsabilità
- ammise che il 1915 e il 1918 "il popolo armeno aveva subito un certo
numero di vittime" attribuibile alle "contingenze storiche del tempo
di guerra".
La realtà fu ben più terrificante e quanto accaduto è considerato il primo
genocidio del Novecento. Il termine stesso - genocidio - fu coniato con questo
preciso riferimento. La documentazione, i resoconti degli ambasciatori e dei
consoli in Turchia, le fotografie, rappresentano la testimonianza
incancellabile del tentativo di annientamento di un intero popolo ideato ed
eseguito scientificamente. L'Olocausto armeno, di Alberto Rosselli, pubblicato
da Mattioli 1885, condensa gli elementi necessari al lettore per avere le
coordinante storiche, religiose, sociali di quanto accaduto.
Dalle origini della nazione armena, secondo la leggenda con radici bibliche,
alla formazione del regno. Dal trattato di amicizia con Roma, alla
dichiarazione del re Tiridate III che nel 301 istituì il cristianesimo
religione ufficiale del popolo armeno. Dalle invasioni di persiani e arabi,
alla tragica sconfitta dei bizantini a Manzikerk nel 1071 contro i turchi
selgiuchidi, che determinò la caduta dell'Armenia sotto il giogo turco e la
riduzione del suo popolo al rango di minoranza. Nonostante varie restrizioni,
come ad esempio l'impossibilità di utilizzare la propria lingua, gli armeni
convissero all'interno dell'impero turco-ottomano fino alla fine
dell'Ottocento, quando il sultano Hamid II scaricò su di essi le responsabilità
della crisi economica e politica che ormai da decenni avevano indebolito la
struttura statale. Durante quella prima ondata di repressione furono rasi al
suolo 2.500 villaggi e uccisi non meno di 200mila armeni. Tra i momenti più
atroci, la strage di Urfa quando le milizie turche incendiarono una cattedrale
dove era stati richiusi 3000 armeni. In quella occasione si segnalarono
rapimenti in massa di donne e conversione forzati di armeni all'islam.
La crisi irreversibile dell'impero ottomano culminò di lí a pochi anni con
l'esautorazione del sultano e la presa del potere da parte del partito dei
"Giovani Turchi". Considerata inizialmente laica e progressista,
questa formazione abbandonò presto le idee mutuate dal liberalismo e dal
socialismo per far posto alla ideologia panturanista, che voleva la
costituzione di un impero su base etnico-religiosa dal Bosforo fino ai confini
con la Cina. A quel punto tutte le minoranze (insieme costituivano il 30%
dell'intera popolazione) furono considerate un corpo estraneo, soprattutto
quelle cristiane - armeni e greci - che nel processo di turchizzazione pagarono
il prezzo più alto.
Il massacro degli armeni si sviluppò con modalità scientifiche. Prima vennero
decimati quelli arruolati nell'esercito, mandandoli in avanscoperta nei fronti
caucasici della Prima guerra mondiale. Poi fu sterminata l'elite intellettuale
e imprenditoriale. Quindi si passo alle deportazioni di massa verso territori
isolati in cui si veniva lasciati a morire di fame e di sete, non prima di aver
subito angherie di ogni genere lungo il percorso. Crudeltà spaventose, inflitte
senza distinzione di età e genere. Il numero delle vittime fu nell'ordine di
circa un milione e mezzo di morti. A questa catastrofe si aggiunse la diaspora
dei sopravvissuti. La tante comunità armene nel mondo sono l'effetto di quando
avvenuto tra il 1915 e il 1923. In Europa, quella più numerosa è in Francia e
conta 300mila cittadini. Forti presenze anche negli Usa, in Canada, Sudamerica.
Coloro che scamparono a quella ferocia inaudita e i discendenti hanno cercato
di tenere viva la memoria storica. E' stata - ed è tuttora - un opera difficile
poiché vi si oppongono spesso cosiddette "ragioni di realpolitik",
che hanno determinato a volte l'impossibilità del riconoscimento del genocidio
armeno per via parlamentare, altre volte un riconoscimento senza precisi
riferimenti nell'attribuzione della responsabilità.
Il libro di Alberto Rosselli contiene anche – in appendice - due capitoli
dedicati alla Letteratura e alla Musica amene e un capitolo sulla attualità
dell'Armenia, indipendente dal 21 settembre 1991. Di particolare rilevanza la
questione del Nagorno Karabagh, regione a maggioranza armena in territorio
azero, per la quale Armenia e Azerbaijan hanno combattuto un conflitto costato
decine di migliaia di morti. I rapporti con l'Azerbaijan sono soggetti a una
doppia lettura, poiché lo stato azero è sostanzialmente orbitante nella sfera
turca per comune etnia e religione. L'Armenia, nonostante la Turchia abbia
chiuso la frontiera decretandone un pesantissimo isolamento, è riuscita con
molta tenacia avviare un percorso di sviluppo economico e con altrettanta
abilità politica ha saputo ritagliarsi spazi di movimento nel quadro
euroasiatico. Dal 3 ottobre 2005, con l'inizio del negoziato tra Ankara e
Bruxelles per l'ingresso della Turchia nella Ue, i rapporti tra Turchia e
Armenia sono diventati automaticamente oggetto di valutazione da parte della
Parlamento europeo, del Consiglio della Ue e della Commissione. Tra le
richieste della Ue alla Turchia vi è infatti la normalizzazione dei rapporti
con Jerevan e la necessità che Ankara riconosca il genocidio del popolo armeno.
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