Nelle liriche di Anima all’alba (Thule Ed. Palermo 2012) Maria Patrizia Allotta accoglie il riverbero dei momenti più intensi della sua esperienza esistenziale e della sua limpida spiritualità. L’Autrice, già nota ai lettori di questa rivista, è apprezzata docente di liceo ed è stata curatrice dei volumi Luce del pensiero (biografie di siciliani illustri); collaboratrice del periodico “Spiritualità e Letteratura”, componente della Giuria di vari Premi letterari e saggista, ha curato, tra l’altro, il volume Essere nel mosaicosmo, dialoghi con Tommaso Romano, ha raccolto alcuni suoi interventi critici nel volume La stella azzurra e la chimera d’oro, ed è socia dell’Accademia Siciliana Cultura Umanistica.E’, quindi, naturale che nei 33 lacerti lirici della silloge, distinti in due sezioni, Riverberi e Bagliori, si manifesti il segno di un ampio e profondo retroterra culturale e di una sapiente metabolizzazione della produzione letteraria novecentesca. In una con essa, l’Allotta rivela un’acuta virtù introspettiva, attenta ad analizzare i moti più reconditi del fitto tramaglio del suo animo oltremodo sensibile. Non senza ragione l’illustre prefatore Nino Aquila trova “assolutamente significativa” la scelta del sostantivo “alba”, in quanto “sa di purezza, di innocenza, di volontà di affrontare il mondo, così com’è, in assoluta serenità di spirito, addirittura con il rischio di portarsi indifesi alla ribalta della vita”. La magia dell’alba, che ci fa cogliere la bellezza cosmica e fa rinascere l’anima, è già significata dalla lirica iniziale, Maestro. E in Chiarore all’alba si disegna la carezza del vento, che abbraccia la vegetazione della sua terra “amatissima” e suscita speranza nel cuore che “gode del suo stesso esistere / in felicità di festa felicitante / per un Amore che ha saputo amare”. Un sentimento alla cui soavità fa riscontro il distacco dal “labirinto terreno”, che è ricerca di silenzio, preludio all’approdo al Mistero, pur se permane la difficoltà di percorrere il “ponte”, transito necessario per vincere la titanica sfida di un’esistenza minacciata da “resti di invidia / malevolenza non contenibili / avanzi di rabbia / menzogna in nome di male”.Un itinerario dell’anima che si rispecchia nelle iridescenti parvenze della natura, nell’ombra solitaria come nelle nuvole minute, nel tremolar della marina come nell’afa agostana, e al linguaggio poetico affida il compito di esprimere l’ansia di tradurre la materialità del contingente in purezza di spiritualità, di cogliere nel fulgore della natura il sorriso di Dio. Questo percorso conosce alternanza di situazioni psicologiche, che si traduce talora in reiterazione di anafore: “Ora / come statua di sale / rivedo pensieri in cammino / tra cieli e abissi / sospesi per sempre // ora / come corolla sfaldata / riconosco /acuti segni / di viventi / fantasmi defunti // ora / come scheggia di lava / in brandelli d’anima / giostra malinconica / mi riporta ad eterno destino…”. O cede a “sciami di pensieri in scintille”, a sogni fiabeschi, all’ebbrezza di “lacci di passione / che legano, comunque, / in oceano d’amore”; mentre il tempo dissipa, per incanto, ogni amaro inganno. In questa temperie si inserisce, senza stridori, la poesia degli affetti familiari: “fiato di cari antenati”, “bisbigli di parole d’incanto / protezione di sguardo affettuoso” dall’aldilà, sospiri di memorie; il desiderio di “irripetibili carezze / forse mai avute”; gioia di accarezzare con lo sguardo l’esistenza di una creatura da lei generata, “ancora in erba / ma chiara nel suo essere”. Una dolcezza che mitiga il faticoso andare dell’esistenza (Cupore), il montaliano “male di vivere” che scopre il vuoto, e le lacrime amare testimoni “di silenziosa tristezza”, di “ inaspettate angosce”; pur se “indicibili gioie” costellano le “continue pene”. Sul cangiante panorama di questa inquietudine domina l’anelito all’Eterno, la tensione verso una superiore quiete, verso l’approdo alla Verità e al Divino, l’ansia di attingere una condizione di innocenza primigenia atta a penetrare il Mistero.Una tensione accompagnata dalle “nitide e assai significative” fotografie della stessa Autrice, memore forse della lezione del Rovani sulla fusione delle arti sorelle. Il susseguirsi delle immagini poetiche non risulta, peraltro, un ornamento, una concessione a un mero descrittivismo estetizzante, ma coincide con il discorso stesso (secondo il brocardo di Pound): questo suo singolare “imagismo”, quindi, mira a porre in rilievo l’essenziale, pur senza ridurre la misura del percorso lirico alla estrema brevità dell’ haiku giapponese. Il che spiega il prevalere di cadenze impressionistiche (di “impostazione telegrafica” parla il prefatore) avare di interpunzione, di sensazioni allineate ove si celebra la frantumazione dei nessi sintattici, o la loro riduzione al minimo, con il conseguente rischio (peraltro non frequente) che tale contrazione, quando indulge all’oltranza analogica, renda meno trasparente la semanticità. Questo ductus espressivo, libero dal “capestro” delle forme metriche chiuse e della rima, nell’accumulo di immagini e sensazioni (che mi fa pensare ai Ritmi astrali del poeta e filosofo calabrese Domenico Antonio Cardone) rivela l’inallentata tensione morale verso la meta, che gode di effetti di climax (“Dolce battito momentaneo / allontanamento dal labirinto terreno / distacco concreto dal quotidiano contingente / separazione / assoluta cancellazione antropica”; “Adesso / sorrisi a cascate di gioia / avventure di magici sogni / meraviglie di sacro e profano / allegria di una storia infinita”;“Profumo del vivere / effluvio d’intesa / odore d’eternità”), e l’ebbrezza della gioia spirituale attinta, che traluce anche nell’ardito ritmo allitterante: “felicità di festa felicitante”. E nel lampeggiare intermittente di sensazioni ed emozioni mi ricorda gli “sprazzi” e le “illuminazioni” care a Rimbaud, laddove la reiterazione dell’infinito in anafora, presente in qualche lirica (come Nell’ombra) echeggia Montale: allusioni e suggestioni che non infirmano l’originalità del discorso, ma confermano la sapienza letteraria dell’Autrice, che si evidenzia altresì nel fervore inventivo, nella callida iunctura verbale di oraziana memoria, nella raffinata dosatura dei toni e dei ritmi. Un’ispirazione sostanzialmente unitaria affratella, quindi, i vari lacerti lirici, che testimoniano la ricchezza dell’universo lirico allottiano, e insieme la duttilità nell’esprimerne i motivi, ora (come in Metamorfosi, Battito materno, Salmo 130) reiterando le emozioni in un più disteso tessuto, ora (come in All’ombra, La belva, Attimo intenso, Infingimenti, Lacrima amara) concentrandone i segni in una misura efficacemente parca ed essenziale.Anima all’alba è, insomma, un personale ed intenso tributo alla poesia, che appare davvero – come scrive acutamente Tommaso Romano nella lucida postfazione – “un canto di salvazione per la poetessa palermitana”: voce genuina di un’inquietudine che si accende e illumina di speranza, boccata d’aria pura in un tempo imbarbarito come il nostro.
domenica 4 gennaio 2015
Anima all'alba di Maria Patrizia Allotta
di Franco Trifuoggi
Nelle liriche di Anima all’alba (Thule Ed. Palermo 2012) Maria Patrizia Allotta accoglie il riverbero dei momenti più intensi della sua esperienza esistenziale e della sua limpida spiritualità. L’Autrice, già nota ai lettori di questa rivista, è apprezzata docente di liceo ed è stata curatrice dei volumi Luce del pensiero (biografie di siciliani illustri); collaboratrice del periodico “Spiritualità e Letteratura”, componente della Giuria di vari Premi letterari e saggista, ha curato, tra l’altro, il volume Essere nel mosaicosmo, dialoghi con Tommaso Romano, ha raccolto alcuni suoi interventi critici nel volume La stella azzurra e la chimera d’oro, ed è socia dell’Accademia Siciliana Cultura Umanistica.E’, quindi, naturale che nei 33 lacerti lirici della silloge, distinti in due sezioni, Riverberi e Bagliori, si manifesti il segno di un ampio e profondo retroterra culturale e di una sapiente metabolizzazione della produzione letteraria novecentesca. In una con essa, l’Allotta rivela un’acuta virtù introspettiva, attenta ad analizzare i moti più reconditi del fitto tramaglio del suo animo oltremodo sensibile. Non senza ragione l’illustre prefatore Nino Aquila trova “assolutamente significativa” la scelta del sostantivo “alba”, in quanto “sa di purezza, di innocenza, di volontà di affrontare il mondo, così com’è, in assoluta serenità di spirito, addirittura con il rischio di portarsi indifesi alla ribalta della vita”. La magia dell’alba, che ci fa cogliere la bellezza cosmica e fa rinascere l’anima, è già significata dalla lirica iniziale, Maestro. E in Chiarore all’alba si disegna la carezza del vento, che abbraccia la vegetazione della sua terra “amatissima” e suscita speranza nel cuore che “gode del suo stesso esistere / in felicità di festa felicitante / per un Amore che ha saputo amare”. Un sentimento alla cui soavità fa riscontro il distacco dal “labirinto terreno”, che è ricerca di silenzio, preludio all’approdo al Mistero, pur se permane la difficoltà di percorrere il “ponte”, transito necessario per vincere la titanica sfida di un’esistenza minacciata da “resti di invidia / malevolenza non contenibili / avanzi di rabbia / menzogna in nome di male”.Un itinerario dell’anima che si rispecchia nelle iridescenti parvenze della natura, nell’ombra solitaria come nelle nuvole minute, nel tremolar della marina come nell’afa agostana, e al linguaggio poetico affida il compito di esprimere l’ansia di tradurre la materialità del contingente in purezza di spiritualità, di cogliere nel fulgore della natura il sorriso di Dio. Questo percorso conosce alternanza di situazioni psicologiche, che si traduce talora in reiterazione di anafore: “Ora / come statua di sale / rivedo pensieri in cammino / tra cieli e abissi / sospesi per sempre // ora / come corolla sfaldata / riconosco /acuti segni / di viventi / fantasmi defunti // ora / come scheggia di lava / in brandelli d’anima / giostra malinconica / mi riporta ad eterno destino…”. O cede a “sciami di pensieri in scintille”, a sogni fiabeschi, all’ebbrezza di “lacci di passione / che legano, comunque, / in oceano d’amore”; mentre il tempo dissipa, per incanto, ogni amaro inganno. In questa temperie si inserisce, senza stridori, la poesia degli affetti familiari: “fiato di cari antenati”, “bisbigli di parole d’incanto / protezione di sguardo affettuoso” dall’aldilà, sospiri di memorie; il desiderio di “irripetibili carezze / forse mai avute”; gioia di accarezzare con lo sguardo l’esistenza di una creatura da lei generata, “ancora in erba / ma chiara nel suo essere”. Una dolcezza che mitiga il faticoso andare dell’esistenza (Cupore), il montaliano “male di vivere” che scopre il vuoto, e le lacrime amare testimoni “di silenziosa tristezza”, di “ inaspettate angosce”; pur se “indicibili gioie” costellano le “continue pene”. Sul cangiante panorama di questa inquietudine domina l’anelito all’Eterno, la tensione verso una superiore quiete, verso l’approdo alla Verità e al Divino, l’ansia di attingere una condizione di innocenza primigenia atta a penetrare il Mistero.Una tensione accompagnata dalle “nitide e assai significative” fotografie della stessa Autrice, memore forse della lezione del Rovani sulla fusione delle arti sorelle. Il susseguirsi delle immagini poetiche non risulta, peraltro, un ornamento, una concessione a un mero descrittivismo estetizzante, ma coincide con il discorso stesso (secondo il brocardo di Pound): questo suo singolare “imagismo”, quindi, mira a porre in rilievo l’essenziale, pur senza ridurre la misura del percorso lirico alla estrema brevità dell’ haiku giapponese. Il che spiega il prevalere di cadenze impressionistiche (di “impostazione telegrafica” parla il prefatore) avare di interpunzione, di sensazioni allineate ove si celebra la frantumazione dei nessi sintattici, o la loro riduzione al minimo, con il conseguente rischio (peraltro non frequente) che tale contrazione, quando indulge all’oltranza analogica, renda meno trasparente la semanticità. Questo ductus espressivo, libero dal “capestro” delle forme metriche chiuse e della rima, nell’accumulo di immagini e sensazioni (che mi fa pensare ai Ritmi astrali del poeta e filosofo calabrese Domenico Antonio Cardone) rivela l’inallentata tensione morale verso la meta, che gode di effetti di climax (“Dolce battito momentaneo / allontanamento dal labirinto terreno / distacco concreto dal quotidiano contingente / separazione / assoluta cancellazione antropica”; “Adesso / sorrisi a cascate di gioia / avventure di magici sogni / meraviglie di sacro e profano / allegria di una storia infinita”;“Profumo del vivere / effluvio d’intesa / odore d’eternità”), e l’ebbrezza della gioia spirituale attinta, che traluce anche nell’ardito ritmo allitterante: “felicità di festa felicitante”. E nel lampeggiare intermittente di sensazioni ed emozioni mi ricorda gli “sprazzi” e le “illuminazioni” care a Rimbaud, laddove la reiterazione dell’infinito in anafora, presente in qualche lirica (come Nell’ombra) echeggia Montale: allusioni e suggestioni che non infirmano l’originalità del discorso, ma confermano la sapienza letteraria dell’Autrice, che si evidenzia altresì nel fervore inventivo, nella callida iunctura verbale di oraziana memoria, nella raffinata dosatura dei toni e dei ritmi. Un’ispirazione sostanzialmente unitaria affratella, quindi, i vari lacerti lirici, che testimoniano la ricchezza dell’universo lirico allottiano, e insieme la duttilità nell’esprimerne i motivi, ora (come in Metamorfosi, Battito materno, Salmo 130) reiterando le emozioni in un più disteso tessuto, ora (come in All’ombra, La belva, Attimo intenso, Infingimenti, Lacrima amara) concentrandone i segni in una misura efficacemente parca ed essenziale.Anima all’alba è, insomma, un personale ed intenso tributo alla poesia, che appare davvero – come scrive acutamente Tommaso Romano nella lucida postfazione – “un canto di salvazione per la poetessa palermitana”: voce genuina di un’inquietudine che si accende e illumina di speranza, boccata d’aria pura in un tempo imbarbarito come il nostro.
Nelle liriche di Anima all’alba (Thule Ed. Palermo 2012) Maria Patrizia Allotta accoglie il riverbero dei momenti più intensi della sua esperienza esistenziale e della sua limpida spiritualità. L’Autrice, già nota ai lettori di questa rivista, è apprezzata docente di liceo ed è stata curatrice dei volumi Luce del pensiero (biografie di siciliani illustri); collaboratrice del periodico “Spiritualità e Letteratura”, componente della Giuria di vari Premi letterari e saggista, ha curato, tra l’altro, il volume Essere nel mosaicosmo, dialoghi con Tommaso Romano, ha raccolto alcuni suoi interventi critici nel volume La stella azzurra e la chimera d’oro, ed è socia dell’Accademia Siciliana Cultura Umanistica.E’, quindi, naturale che nei 33 lacerti lirici della silloge, distinti in due sezioni, Riverberi e Bagliori, si manifesti il segno di un ampio e profondo retroterra culturale e di una sapiente metabolizzazione della produzione letteraria novecentesca. In una con essa, l’Allotta rivela un’acuta virtù introspettiva, attenta ad analizzare i moti più reconditi del fitto tramaglio del suo animo oltremodo sensibile. Non senza ragione l’illustre prefatore Nino Aquila trova “assolutamente significativa” la scelta del sostantivo “alba”, in quanto “sa di purezza, di innocenza, di volontà di affrontare il mondo, così com’è, in assoluta serenità di spirito, addirittura con il rischio di portarsi indifesi alla ribalta della vita”. La magia dell’alba, che ci fa cogliere la bellezza cosmica e fa rinascere l’anima, è già significata dalla lirica iniziale, Maestro. E in Chiarore all’alba si disegna la carezza del vento, che abbraccia la vegetazione della sua terra “amatissima” e suscita speranza nel cuore che “gode del suo stesso esistere / in felicità di festa felicitante / per un Amore che ha saputo amare”. Un sentimento alla cui soavità fa riscontro il distacco dal “labirinto terreno”, che è ricerca di silenzio, preludio all’approdo al Mistero, pur se permane la difficoltà di percorrere il “ponte”, transito necessario per vincere la titanica sfida di un’esistenza minacciata da “resti di invidia / malevolenza non contenibili / avanzi di rabbia / menzogna in nome di male”.Un itinerario dell’anima che si rispecchia nelle iridescenti parvenze della natura, nell’ombra solitaria come nelle nuvole minute, nel tremolar della marina come nell’afa agostana, e al linguaggio poetico affida il compito di esprimere l’ansia di tradurre la materialità del contingente in purezza di spiritualità, di cogliere nel fulgore della natura il sorriso di Dio. Questo percorso conosce alternanza di situazioni psicologiche, che si traduce talora in reiterazione di anafore: “Ora / come statua di sale / rivedo pensieri in cammino / tra cieli e abissi / sospesi per sempre // ora / come corolla sfaldata / riconosco /acuti segni / di viventi / fantasmi defunti // ora / come scheggia di lava / in brandelli d’anima / giostra malinconica / mi riporta ad eterno destino…”. O cede a “sciami di pensieri in scintille”, a sogni fiabeschi, all’ebbrezza di “lacci di passione / che legano, comunque, / in oceano d’amore”; mentre il tempo dissipa, per incanto, ogni amaro inganno. In questa temperie si inserisce, senza stridori, la poesia degli affetti familiari: “fiato di cari antenati”, “bisbigli di parole d’incanto / protezione di sguardo affettuoso” dall’aldilà, sospiri di memorie; il desiderio di “irripetibili carezze / forse mai avute”; gioia di accarezzare con lo sguardo l’esistenza di una creatura da lei generata, “ancora in erba / ma chiara nel suo essere”. Una dolcezza che mitiga il faticoso andare dell’esistenza (Cupore), il montaliano “male di vivere” che scopre il vuoto, e le lacrime amare testimoni “di silenziosa tristezza”, di “ inaspettate angosce”; pur se “indicibili gioie” costellano le “continue pene”. Sul cangiante panorama di questa inquietudine domina l’anelito all’Eterno, la tensione verso una superiore quiete, verso l’approdo alla Verità e al Divino, l’ansia di attingere una condizione di innocenza primigenia atta a penetrare il Mistero.Una tensione accompagnata dalle “nitide e assai significative” fotografie della stessa Autrice, memore forse della lezione del Rovani sulla fusione delle arti sorelle. Il susseguirsi delle immagini poetiche non risulta, peraltro, un ornamento, una concessione a un mero descrittivismo estetizzante, ma coincide con il discorso stesso (secondo il brocardo di Pound): questo suo singolare “imagismo”, quindi, mira a porre in rilievo l’essenziale, pur senza ridurre la misura del percorso lirico alla estrema brevità dell’ haiku giapponese. Il che spiega il prevalere di cadenze impressionistiche (di “impostazione telegrafica” parla il prefatore) avare di interpunzione, di sensazioni allineate ove si celebra la frantumazione dei nessi sintattici, o la loro riduzione al minimo, con il conseguente rischio (peraltro non frequente) che tale contrazione, quando indulge all’oltranza analogica, renda meno trasparente la semanticità. Questo ductus espressivo, libero dal “capestro” delle forme metriche chiuse e della rima, nell’accumulo di immagini e sensazioni (che mi fa pensare ai Ritmi astrali del poeta e filosofo calabrese Domenico Antonio Cardone) rivela l’inallentata tensione morale verso la meta, che gode di effetti di climax (“Dolce battito momentaneo / allontanamento dal labirinto terreno / distacco concreto dal quotidiano contingente / separazione / assoluta cancellazione antropica”; “Adesso / sorrisi a cascate di gioia / avventure di magici sogni / meraviglie di sacro e profano / allegria di una storia infinita”;“Profumo del vivere / effluvio d’intesa / odore d’eternità”), e l’ebbrezza della gioia spirituale attinta, che traluce anche nell’ardito ritmo allitterante: “felicità di festa felicitante”. E nel lampeggiare intermittente di sensazioni ed emozioni mi ricorda gli “sprazzi” e le “illuminazioni” care a Rimbaud, laddove la reiterazione dell’infinito in anafora, presente in qualche lirica (come Nell’ombra) echeggia Montale: allusioni e suggestioni che non infirmano l’originalità del discorso, ma confermano la sapienza letteraria dell’Autrice, che si evidenzia altresì nel fervore inventivo, nella callida iunctura verbale di oraziana memoria, nella raffinata dosatura dei toni e dei ritmi. Un’ispirazione sostanzialmente unitaria affratella, quindi, i vari lacerti lirici, che testimoniano la ricchezza dell’universo lirico allottiano, e insieme la duttilità nell’esprimerne i motivi, ora (come in Metamorfosi, Battito materno, Salmo 130) reiterando le emozioni in un più disteso tessuto, ora (come in All’ombra, La belva, Attimo intenso, Infingimenti, Lacrima amara) concentrandone i segni in una misura efficacemente parca ed essenziale.Anima all’alba è, insomma, un personale ed intenso tributo alla poesia, che appare davvero – come scrive acutamente Tommaso Romano nella lucida postfazione – “un canto di salvazione per la poetessa palermitana”: voce genuina di un’inquietudine che si accende e illumina di speranza, boccata d’aria pura in un tempo imbarbarito come il nostro.
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