di Nino Agnello
Dopo lunga e proficua gestazione, finalmente
nella primavera del 2013 ha visto la luce una nuova creazione editoriale, i Nuovi
Salmi a cura di Giacomo Ribaudo e Giovanni Dino,
per conto della rivista CNTN di Palermo.
Molti gli autori antologizzati e molti
anche gli assenti, meritevoli di questo gratificante onore perché attivi nel
campo della poesia, anche quella di ispirazione religiosa. Fatto che non suoni
strano o estravagante in un tempo e in
una società a prevalenza economistica e materialistica. Eppure è in tali periodi di nichilismo e di smarrimento dei punti-chiave
di riferimento che si è visto nel passato e si constata nel presente il
risveglio di un’autentica spiritualità.
Lo dimostrato tutti gli autori presenti
nella suddetta antologia, in cui il richiamo e la guida
del grande salmista sono serviti spesso per il recupero e l’approfondimento di
un dialogo a tu per tu con Dio Padre Creatore e Signore della Vita: la
revisione spirituale del grande David è l’emblema del nostro continuo stato
altalenante tra fede e paura, tra smarrimento e rappacificazione col Divino. E’
allora sì che la poesia diventa lo strumento più consono per guardarci dentro e
far luce e spazio nell’ intima cella della nostra interiorità. Allora la poesia
è verità, grido di amore e di liberazione, impegno di approfondimento contro
ogni vanificante attrazione del nichilismo. E si constata che la via del Sacro
è la via della certezza e della riqualificazione dei valori.
Da tale consapevolezza scaturisce il
nostro sincero apprezzamento per l’opera meritoria dei due curatori e autori al
contempo, a vantaggio di una riqualificazione della poesia che sa mirare in alto e lontano, nell’interiorità e nella umanità dei
credenti, come nell’universalismo creaturale che unisce e accomuna.
Nell’imbarazzo della scelta, mi sia
perdonata la debolezza umana di cominciare le inevitabili citazioni con il
testo dell’amico Giovanni Dino, perché esso ha un’attrazione irresistibile non
fosse per altro che per il suo inconsolabile dolore, causato dalla
perdita irrecuperabile della sua Anna.
E qui son tutto tuo, caro Giovanni,
fratello nel dolore e fratello nella gioia di un risultato poetico
straordinariamente vero sincero vissuto. Qui parla il tuo dolore, non la tua
bocca:
<<…non hai fatto nulla per Anna
non hai distratto il marmo che la chiamava
o messo rocce sul suo cammino
hai solo pianto con le sue lacrime
deglutito i suoi muti singhiozzi
porgendo latte ai suoi passi impervi
e alle notti che le restavano addosso
per affrontare i giorni che presto sarebbero
evaporati>> (p.17).
E non importa che tu ti sia allontanato
dal salmo 9 di riferimento: tu qui sei il nuovo David che
cammina coi passi del suo dolore e ubbidisce al flusso dei suoi sentimenti offesi:
<<La sua morte ha scoperchiato il tetto della
mia casa
la quiete della mia famiglia
una montagna ha schiacciato per sempre
la serenità dei miei figli>> (p.19).
Senza infingimenti, senza veli di falso
pudore: sgorga limpido il dolore con tutto il traino delle conseguenze
familiari. Sincerità e realtà, verità e intimità sono i cardini su cui girano i
battenti di questo nuovo salmo dell’amore ferito, del
padre e marito mortificato nella sua impotenza.
Altri versi dovrei riferire per essere
più convincente, ma devo contenermi pure io, per cui raccomando al probabile
lettore di leggere per conto suo tutto questo nuovo salmo
9 e sono certo che vi riconoscerà subito originalità e pregnanza, e forza
trainante d’immagini e di novità. Sì, anche novità, se una quartina s’impone
per la crudezza dell’eco della cronaca e di un linguaggio volutamente, qui,
prosastico e amareggiato:
<<Un computer spirituale monitora ogni operato
dal professore all’alunno dal sindacalista all’operaio
dal prete al catechista dal poliziotto al mafioso
dal disoccupato a un Silvio Berlusconi>> (p.18).
Chi mai si sarebbe aspettato una simile
sciabolata? Nessuno. Donde la mia sorpresa e il mio plauso; la citazione forse
stona con la vicenda personale, ma pure fa tutt’uno con la piena di un dolore
macerante e che abbraccia realtà sociale e situazione soggettiva. Unico salmo di dolore.
Su quanti altri salmi
dovrei soffermarmi? Su molti, moltissimi, almeno su quelli di amici e
personalità a me note: mi si impongono i testi di Angelo Manuali, di Domenico
Pisana, di Nino Aquila, di Elio Giunta, di Luigi De Rosa.
Il testo di quest’ultimo – La sorte dell’empio e del giusto – ha un fresco
sapore personale che mi fa sostare compiaciuto per la stima legata a conoscenza
diretta e che gli confermo di cuore. Luigi, recitiamo insieme:
<<Ero fin da ragazzo riflessivo e timido,
(sono cresciuto senza madre),
avido di conoscere, di vivere, di amare
e di essere amato,
di leggere e di scrivere poesie.
Mi ritrovo invecchiato
in
un mondo trasformato intono a me.
…….
Nella vita ho avuto gioie e dolori
ma, come raccomanda il Salmista,
non mi sono mai afflitto né esaltato,
non ho mai nutrito invidia per i “malfattori”
bene sapendo che “come il fieno appassiranno
e come il fumo svaniranno”,
in
ogni caso dovranno abbandonare,
morendo, anche quello che hanno arraffato
con l’imbroglio e l’arroganza, nonostante
codici leggi e tribunali
e solenni dichiarazioni universali>> (p.66).
E per amore e bisogno culturale di
“storicizzare”, il poeta di Rapallo così vola fino a Gesù e ce lo pone davanti
per adorarlo insieme:
<<……..un ebreo
che avrebbe parlato d’amore a tutti gli uomini
dal primo all’ultimo,
un rivoluzionario universale,
venuto a predicare non l’odio o lo sterminio
ma la dolcezza dell’amore e del perdono,
e il trionfo del bene sul male>> (ivi).
E’ confortevole il richiamo, fa sempre
bene al poeta e al lettore, a chi ha titoli e a chi non ne ha: De Rosa è un
generoso come il suo Maestro.
Originale mi appare anche il testo del carissimo
don Vincenzo Arnone con quattro strofe di versi liberi, che iniziano tutte con
la stessa titubanza umana o sentimentale, non etico-religiosa, ascrivibile a
sincerità e alla terrena fragilità e insicurezza dell’essere. Mi piace
rileggere almeno l’ultima strofa:
<<Io non so
se dovrò camminare
tra sentieri contorti,
se dovrò ascoltare
bocche untuose,
stringere mani “sinistre”,
vedere sguainare
pugnali veloci,
trafiggere spalle…
non so…
ma tu, Signore,
sei la mia roccia,
in
te confido,
in
te pongo la mia speranza
allorquando la voce amica,
all’alba e al tramonto,
diffonde l’eco divina>> (p.103).
La fede del credente rafforza la
debolezza del poeta davanti alle mani “sinistre” (in
doppio o multiplo significato) e al moltiplicarsi dei tanti casi d’incertezza
(“Io non so”), specialmente si si tratta di “voce amica” che fa eco a quella
divina. Fede e poesia qui coincidono perfettamente sia nell’incertezza sia nel
soccorso ricevuto da ogni dove.
Poi mi soffermo su quanto scrive Mariella
Bettarini, Lucio Zinna, Franca Alaimo, Vito Mauro, Ester Monachino, la quale
incanta con le sue fresche e toccanti immagini:
<<Il nome di Dio incensa
il mistero dell’aria, si sparge come un canto
gregoriano nella saggia bellezza del risveglio.
Là dove fu notte, ora, la principessa dell’alba
inciampa sul primo vagito del pettirosso
che si è bagnato nel liquido rubino d’oriente>> (p.137).
Leggo ancora con simpatia Anna Maria
Bonfiglio, Elio Andriuoli, Eugenio Giannone, Antonio Spagnuolo, Silvano
Demarchi, Melo Freni, Pietro Civitareale, Lia Bronzi, Margherita Rimi, la quale
mi blocca con la sua ermetica stringatezza:
<<E si faceva giorno di notte
e di notte giorno
E gli occhi non bastavano.
E si faceva freddo. Freddo oltre il freddo
senza limite la terra
e senza limite la parola
La vanità senza correzione>> (p.239).
E un’altra brava poetessa come Maria
Patrizia Allotta e sottolineo questi versi:
<<Come in antico salmo
di pellegrino errante
anche il nostro odierno canto
supplica l’Eterno
s’innalza dai luoghi più profondi
la voce disperata
che prega ascolto
per esser consolata>> (p.242).
La sua, è la nostra, è quella di
moltissime anime afflitte in questi anni difficili e
pericolosi in cui è facile smarrire il “Divino” per colpa
dell’effimero, dell’ingiusto, del pedestre, del volgare e perfino del blasfemo.
Chi ci conforterà? Chi ci salverà? Attenzione a non perdere i giusti
riferimenti dei punti cardinali e della infallibile triade nostra bandiera”Fede
Speranza Carità”.
Ci incoraggia a tale scopo don Giacomo Ribaudo,
il poeta che assieme a Karol Wojtyla chiude la lunga schiera dei 162 poeti
antologizzati, lui che <<si è sempre adoperato, come parroco, come
direttore spirituale e come scrittore, per valorizzare nell’uomo l’aspetto
culturale e artistico oltre la crescita religiosa>> (p.353). Così egli
canta a nostra guida e conforto:
<<Eppure tutto lassù è Musica.
Eco celeste arriva
fino a noi, se danziamo al ritmo
dei tuoi passi
strumenti docili
percuotono le mani
insufflano le bocche,
vibrano le dita
fatte ali e piume
da cuori
sulla terra celesti…>> (p.271).
Ed è tanta la sua speranzosa fede che può
dire per tutti noi con voce corale:
<<Se non sei ancora stanco,
Gran Dio mirabile,
da nuova polvere
impasterai
Nuova Creazione>> (ivi).
Assieme al poeta Ribaudo e a tutti i
poeti autori di questi “Nuovi Salmi” ripetiamo in unica voce l’invocazione del grande Salmista per un’unica
conclusione:”Tutto ciò che respira celebri il Signore”.
E poiché gli uomini non possono fare a
meno della parola, tanto che un vecchio detto recita “il bue per le corna e
l’uomo per la parola”, così come per tutti i poeti la parola è il veicolo della
loro creazione, non facciamo torto a nessuno se adottiamo il pensiero del
grande Slavo Karol Wojtyla “nelle parole s’incarna la delizia e l’ardore
delle generazioni” (p.281).
Grande impresa quella affrontata dai due
curatori dei Nuovi Salmi Giacomo Ribaudo e
Giovanni Dino, faticosamente portata avanti e a compimento, e non solo per
ridare nuova linfa e nuovi stimoli alla odierna poesia d’ispirazione religiosa,
ma di più per avere stretto in un ideale e pure concreto
affratellamento poeti di diversa età e diversa provenienza locale e culturale,
che considerano ancora la poesia un inno alla Bellezza e all’Armonia del mondo,
un costante impegno per la civilizzazione dell’uomo di ogni razza e colore.
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