di Domenico Bonvegna
Senza la cultura cristiana il nostro mondo sarà destinato a fallire lo sostiene con forza il grande studioso e storico delle civiltà inglese Christopher Dawson, nel suo “La crisi dell’istruzione occidentale”, pubblicato da D’Ettoris Editori (Crotone 2012). Attraverso l’istruzione e quindi rendendo integrante del nostro sistema educativo lo studio della cultura cristiana, potremmo far ripartire la nostra società. Ma questo vale non solo per i cattolici, ma anche per quelli che non lo sono, “dal momento che sono eredi della stessa tradizione culturale, benché non siano più consapevoli della sua relazione con l’attuale crisi della società occidentale sotto la pressione esterna delle ideologie totalitarie e delle forze dissolvitrici del materialismo secolarista”. Dawson è convinto che occorre riorientare gli studi superiori verso gli studi umanistici attraverso la cultura cristiana, trovando i modi di studiarla, e non tanto verso gli studi classici o quelli della scienza della tecnologia.
Negli ultimi due secoli siamo stati educati a pensare allo Stato-nazione e quindi anche l’istruzione è stata progressivamente nazionalizzata e diretta allo studio della cultura nazionale. Oggi questo tipo di cultura sta scomparendo, e lo scrittore inglese lo scriveva nel 1961, si sta sviluppando una organizzazione mondiale. Però né la prima, né la seconda, sono capaci sono capaci di dare una base soddisfacente per la comunità culturale. Certo rimangono le sei religioni mondiali che costituiscono le unità sociali: tre sono in Occidente e tre in Oriente. Ognuno di esse ha la sua storia, la sua letteratura, la sua filosofia.
Per Dawson la civiltà moderna non può ignorare queste società culturali che hanno avuto una influenza enorme. “Eppure l’istruzione moderna le ha trascurate e ha ignorato la loro importanza fondamentale, cosicché la tradizione spirituale del mondo moderno si è sconvolta e persa”. Impossibile per chiunque conoscerle tutte, ma questo non è una ragione perché “non dobbiamo studiare la nostra tradizione spirituale, che ha creato la nostra civiltà e specialmente i valori spirituali superiori da cui siamo moralmente dipendenti”.
La civiltà moderna, per Dawson, “è moralmente debole e spiritualmente divisa”, tuttavia, “la scienza e la tecnologia sono in sé moralmente neutrali e non forniscono alcun principio guida spirituale”, qualsiasi potere può usarle per i propri fini, per controllare la società. Lo fanno gli Stati totalitari, ma anche quelli democratici. Tutte le società hanno bisogno di qualche principio superiore, anche il nostro mondo moderno, nonostante rifiuti le religioni tradizionali e neghi la verità o il sistema teologico. Eppure il nostro cristianesimo, anche se è stato gradualmente privato d’influenza intellettuale e sociale sulla cultura moderna, può offrire moltissimo alla nostra moderna società tecnologica, che ha una disperata necessità di “un principio di coordinamento spirituale e un principio di unità(…)”.
Dawson afferma una verità fondamentale, i cristiani hanno conservato la fede nella verità teologica, sono una comunità spirituale, però “l’accettazione teorica di questi principi non è sempre accompagnata dalla loro realizzazione culturale”. Infatti i cristiani di oggi, soprattutto i più istruiti, oltre ad essere influenzati dalla concezione secolare della cultura moderna, “la maggior parte di noi è scandalosamente ignorante e immemore della ricchezza della nostra eredità”. Oggi il cristiano ha diviso l’intera sua vita in due parti: il mondo comune secolare e la sfera ristretta della Chiesa, della religione. Nel passato non era così, nel Medioevo, ma anche fino a qualche secolo fa, la religione, nei paesi cattolici, giocava ancora un ruolo nella vita comune, vi era una ricca cultura religiosa, sia nell’arte che nella musica. Dawson di questa scissione dà la colpa a quella tendenza “medievale a fare dello studio un monopolio del clero, cosicché il laico non aveva spazio nell’università medioevale e nell’organizzazione del sapere superiore”. E così di questo passo si arrivò ad una divisione della cultura e la divisione sociale tra laici e clero.
Pertanto Dawson auspica per i cristiani, “una riforma radicale dell’istruzione cristiana, una rivoluzione intellettuale che restauri l’unità interna della cultura cristiana”, piuttosto che combattere semplicemente un’azione difensiva di spirito puramente conservatore. Anche se è consapevole che il cambiamento è lungo e difficile, perché ci sono molte resistenze.
Dobbiamo riprendere la consapevolezza della “comunanza della cultura cristiana come base della storia europea(…)Dobbiamo ricuperare l’idea di ‘popolo cristiano’. Forse occorre riprendere, “l’idea cristiana della ‘terza razza’, oppure l’idea medioevale di Cristianità.
Per colpa della separazione della storia ecclesiastica da quella politica, per Dawson, “non vi è stato fino a ora uno studio comprensivo della cultura cristiana come la realizzazione storica, quantunque parziale, di queste idee chiave. L’immensa ricchezza della cultura cristiana come una tradizione universale vivente non è stata compresa, eccetto che dagli specialisti che ne hanno utilizzato qualche parte per i loro fini”. Ma qualcuno potrebbe obiettare, “che lo studio della cultura cristiana - scrive Dawson -, è inadatto alle necessità attuali, in quanto distrarrebbe le menti degli studenti dallo studio della cultura contemporanea e tenderebbe a immergerle nella contemplazione del passato, o, peggio ancora, nella idealizzazione di porzioni limitate del passato”. Comunque sia per lo scrittore inglese, questo studio, deve avere un “processo dinamico che non appartiene ad alcun singolo periodo”.
Nella terza parte del libro Dawson analizza come l’uomo occidentale si è allontanato dalle tradizioni religiose su cui si era appoggiato per tanti secoli. “Non possiamo permetterci di essere ottimisti”, sostiene Dawson, che tra l’altro, aveva conosciuto quelle forze diaboliche, come il nazismo e il comunismo, che si erano schierate apertamente contro il cristianesimo. Ma già nel 1961, quando è stato scritto “The Crisis of Western Education”, Dawson, facendo riferimento a una inchiesta, individua la vera causa dell’irreligione moderna nell’indifferenza pura, e nel paganesimo pratico della gente che non ha mai riflettuto in profondità su questi temi. Pertanto l’accademico inglese può affermare che “la vera minaccia al cristianesimo e anche al futuro della cultura occidentale, come mostrato nell’inchiesta, non è l’ostilità razionale di una risoluta minoranza, ma l’esistenza di una grande massa d’opinione che non è antireligiosa ma subreligiosa, così da non essere più consapevole di alcun bisogno spirituale che il cristianesimo possa soddisfare”.
Infatti secondo lo storico inglese la Chiesa è ritenuta superflua dall’uomo moderno perché è un’organizzazione volontaria e non obbligatoria come quelle “unità artificiali altamente organizzate”- fabbrica, sindacato, ufficio, pubblica amministrazione, partito. Sarebbe interessante proseguire per analizzare la malattia del vuoto spirituale che affligge l’uomo secolarizzato di oggi, ma non intendo stancarvi più del necessario. Alla prossima.
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