di Franco Trifuoggi
Con questo elegante volume (“A buela è”, Thule, Palermo 2014) Giusi Lombardo si propone – come scrive Biagio Scrimizzi nella lucida e dotta introduzione – di “concorrere a conservare, divulgare, tramandare un prezioso patrimonio di cultura popolare”: opportunamente egli cita, al riguardo, giudizi del filologo Ernesto Monaci (“…la favella appresa nel seno della nostra famiglia non è meno degna di rispetto che la lingua da apprendersi nelle scuole…”) e del demopsicologo Giuseppe Pitré (“Nel dialetto è la storia del popolo che lo parla…”). Per tale finalità il libro appare non solo un testo gradevole e interessante, ma anche un atto di amore per la sua Sicilia dell’autrice, convinta che perdere “le proprie tradizioni linguistiche, i dialetti, sia in ogni modo una menomazione”, che alcune forme dialettali “rendono l’idea solo quando siano espresse nella lingua madre”, e studiosa di esortare i lettori a “mantenere integre le tradizioni del popolo siciliano”. Non senza ragione, quindi, al volume è stato assegnato il Premio “Asprazzurra 2014” per la difesa dell’identità siciliana.
Il titolo si ispira a un gioco di bambini, il nascondino, e costituisce un invito a “cercare, a scavare forse, nelle nostre origini” per ritrovare conoscenze che il passare del tempo rischia di far dimenticare. E Giusi Lombardo, palermitana, appassionata cultrice della letteratura di tutti i tempi, e responsabile di agenzia di Poste Italiane, trasfonde nel libro, in una con il frutto dei suoi studi – dichiarati nella nota bibliografica -, anche l’ esperienza della sensibilità della gente acquisita attraverso il quotidiano contatto con le persone.
L’opera, impreziosita dalle riproduzioni di cartoline degli inizi del Novecento e di pregevoli dipinti di Giovanni Campo, Attilio Guccione, Girolamo Di Cara e Pippo Madè, è articolata in sei sezioni, la prima delle quali dedicata ai proverbi e motti popolari, “frasi e arguzie…dettate dall’esperienza dei nostri progenitori” - di cui fornisce anche la traduzione italiana –, precedute da una sobria presentazione. Sono tra i più noti, come “Fare aricchia di mercanti” o “Cu pecura si fa, lupu s’à mancia”. Nella seconda parte l’ autrice traccia una breve storia della lingua siciliana, raccordandola alla storia delle varie dominazioni straniere, per concludere circa la facilità di riscontrare parole siciliane che hanno origine dall’arabo, dal francese, dallo spagnolo etc., e ne offre una significativa esemplificazione: sciarra – dall’arabo sciarrah, rissa,litigio; cantaru – dal greco kantharos, vaso,brocca; accattari - dal francese acheter; addunarisi – dallo spagnolo adonar-se, accorgersi. Ad essa fa seguire alcune espressioni tipiche, che nella loro intonazione (“ironica, garbata, insolente, etc.”) ci dànno “l’esatta misura di ciò che s’intende dire e di come lo si vuole dire”: è il caso di lemmi come sabbinirica!, salutamu!, antura, ammucciuni, cacciu muschi, vagnarici li manu.
Il terzo comparto ci presenta filastrocche e poesie, alcune delle quali – precisa la Lombardo – “opportunamente musicate, sono diventate piacevolissime ninne-nanne”. Il repertorio si apre con il ritornello che accompagna il girotondo: “Oggi è duminica / tagghiamu la testa a Minica, / Minica un c’è, / tagghiamu la testa o re, / u re è malatu, / tagghiamu la testa ’o surdatu, / u surdatu va a la guerra, / tutti giù in terra”. E si adorna di liriche di autori come Nino Martoglio, Ignazio Buttitta e Linda Lombardo. In un testo di questo genere non può mancare il personaggio di Giufà, semplicione e insieme non privo di furberia, che è protagonista dlela quarta sezione, con varie saporose novelle, alcune tradotte in italiano (come Giufà e la luna, Giufà acquista il suo asino, Giufà e i ceci), altre in dialetto (come Giufà, tirati a porta e Giufà e la ciocca). Ma non mancano, nella quinta sezione, altri grandi scrittori siciliani, come Luigi Capuana e Giuseppe Pitrè, presenti con alcune celebri fiabe e racconti: Spera di sole; La figlia del re; L’albero che parla; Le arance d’oro, del primo; Il vecchio avaro; Le nozze della principessa e del ladro; La gobbetta; Le mie tre belle corone, del secondo: delle quali quasi ognuna caratterizzata da una popolaresca clausola a sorpresa, in rima (“… sposò il re di Francia. E noi restiamo a grattarci la pancia”).
L’ultimo comparto, poi, è consacrato a miti e leggende di Sicilia. Ed ecco tre miti che “parlano…della Sicilia come qualcosa che è sorta per volere degli dei”: Palikos; Deli e Plutone; La leggende del gigante Tifeo. Conclude il libro la leggende di Colapesce, “protagonista di innumerevoli storie tramandate poi di padre in figlio”.
È, dunque, questa, un’opera organica, ben calibrata, in cui la Lombardo accompagna il lettore con garbo e discrezione, disposando opportunamente la sobrietà delle note storiche alla dovizia dell’esemplificazione, e non lo aduggia con ingombranti argomentazioni critico-filologiche, ma preferisce lasciare a chi legge il pieno, personale godimento dei testi presentati e insieme la facoltà di ricavarne consapevolezza ed orgoglio della sua sicilianità. Un libro veramente meritorio, quindi, che può essere particolarmente utile – come nota il prefatore – ai giovani che ignorano quelle tradizioni, e non conoscono il “colorito quanto vivace e melodioso dialetto” siciliano; così come può giovare “a tutti coloro che, lontani dalla nostra terra, ne hanno nostalgia”. Ma che può suscitare vivo interesse, apprezzamento e divertito consenso anche in lettori non siciliani, contribuendo parimenti a far loro meglio conoscere le tradizioni e la lingua di un popolo schietto e generoso.
Il gioco abuela o BUELA (nascondino)a che fare con abuela?(nonna in spagnolo?)
RispondiEliminaBello conoscere le origini di un popolo e la lingua .
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