lunedì 12 gennaio 2015

"La luna crollerà" di Vito Mauro

di Franco Trifuoggi

“Dovizia di linguaggio, / gentilezza armoniosa, / profondità passionale, / smisurato affetto, / per il creato e le creature. / Incanti e miraggi / che compensano afflizioni, / con un mondo di chimere / che regala / anche, quel che non hai sognato”. Questa lirica mi pare l’ideale sfraghìs della silloge La luna crollerà. Pensieri in versi (Thule, Palermo 2012) di Vito Mauro, Socio dell’Accademia Siciliana di Studi Umanistici, autore di varie pubblicazioni, tra cui: il volume fotografico di Eduardo Paladino Orme del tempo. Un racconto per immagini; Mosaicographia. Guida bibliografia essenziale del’Opera di Tommaso Romano; la ricerca ecologica Distinti rifiuti (Premio Due Sicilie).
La raccolta, infatti, impreziosita dalla copertina riproducente un’opera di Pippo Madè, prima di rivelarsi come un “diario intimo” che copre un ampio arco di tempo, dal giovanile ardore dei venti anni alla sicura saggezza dell’attuale maturità, si configura come un inno alla poesia: lo mostra già la lussureggiante serie di definizioni di essa presentata in esergo, quasi ad avvalorare, con giudizi di autori come Borges, Goethe, Leopardi, Neruda, il genuino tributo di lode e di amore di cui il discorso poetico la gratifica. “La poesia – scrive infatti nella Premessa – “se scritta con il cuore è terapeutica. Alletta, appassiona, avvince, commuove, desta interesse, diverte, incuriosisce ma soprattutto addolcisce la nostra, spesso, amara esistenza… mi sono convinto che la poesia è fatta per essere donata al lettore… in ogni caso rappresenta un’ancora di salvezza, un sicuro rifugio, un porto”. “Una / poesia - scrive più innanzi, – un libro ti danno tanto, forse quello che non trovi altrove… / sono conoscenza e fantasia, / compagnia e vita… / La poesia vince la solitudine / … / …ha ali e motore per farci volare…”.
È, dunque, naturale che Mauro affidi alla poesia l’espressione dei più svariati moti del suo animo, la descrizione della ricchezza di motivi caratterizzanti il suo itinerario esistenziale, che svaria dall’amore al dolore al sogno alla speranza all’ansia di comunicazione e conoscenza, di elevazione spirituale. È, il suo, un canto sorgivo, specchio dell’anima, che non indulge ad artifici tecnicistici e parla al lettore con semplicità e immediatezza colloquiale. Lo alimenta una profonda fede nella vita e nel suo valore, vissuta “con l’entusiasmo di un momento” e “con l’armonia del cuore”, a cui fa riscontro il senso dell’acronìa degli ideali che “non cambiano con l’età, / non invecchiano insieme al corpo”. E se talora cede al pessimismo riconoscendo che “siamo tutti foglie d’autunno”, riesce, tuttavia, a mitigare la tristezza dell’elegia di Mimnermo sulla labilità della condizione umana pur se paragona i “sogni effimeri” alle foglie che “ingialliscono / cadono ad una ad una”: “Rimane sempre / un’ultima foglia / che resiste / e non si vede cadere / è un sogno che / si muta in speranza”.
Accanto ai vari sentimenti si accampa l’amore, nelle sue varie forme ed accezioni, dall’affetto per i genitori (“io vi vedo in tutti i posti / quando chiudo gli occhi”) all’amore per la donna nelle sue varie sfumature, i cui poli sono i lucori stilnovistici e i fervori del senso, peraltro mitigati dal pudore: sentito, dunque, come qualcosa che si cerca “per far sbocciare le emozioni / e far volare l’anima”, o come “un nodo in gola”; come “sofferenza del cuore / inquietudine della mente”; o come bene di cui egli si sente “mendicante”: “… uno sguardo, una parola, un bacio, / che ti costa, / un po’ di affetto…”; tenerezza o rimpianto: “Sai farmi sentire, / alba e tramonto, / speranza e delusione. / Mentre tu sei / ricordo e assenza”; timore angoscioso di staccarsi da lei. O fremito sensuale: “Vorrei essere il tuo sudore, / quando bagnata dal sole, / ti filtra e t’inonda di lacrime”. È, comunque, ansia di trovare “corrispondenza d’amorosi sensi” e insieme gioia di sentirsi pensato (“Quando mi pensi / mi liberi dalla solitudine”), gaudio dell’attesa coronata da successo: “Or ci sei tu / … / Ti potrò telefonare come / ogni giorno, ci diremo tante cose”. Opportunamente Tommaso Romano, commentando la lirica epònima nella sua mirabile prefazione, osserva che “anche se la luna crollerà, la sua risalita potrà avvenire solo attraverso un puro afflato d’amore, perché anche la luna è sensibile attaccamento passionale”.
Non manca, comunque, la vena giambica, che gli ispira la risentita deplorazione dei ciarlatani che “giudicano e mandano”, e dei colonizzatori dell’Africa, “vandali, sfruttatori, egoisti”, come la sonora squalifica dei politici imbonitori e corrotti, esaltata dal saporoso dialetto siciliano: “L’avissimu a chiuriri / ‘nta ‘na càmmara / ‘jttari ‘a chiavi / e macari pi ‘na vota / un ghiri a vutari”. Così come in Rassegniamoci si dipana una rassegna vigorosamente sarcastica dei miti e delle decezioni della società di oggi, dall’egoismo al materialismo al nichilismo al trionfo dell’apparire, fornendo, a margine, l’alternativa: “oppure reagiamo”. E si fa strada, qua e là, la vocazione gnomica dell’autore, che si rivela in vari lacerti aforistici ed epigrammatici, contesti di pochissimi versi, talora di numero inferiore alla misura dell’haiku, e culmina nella pagina finale, interamente consacrata a una vivace prosa di riflessioni etico-psicologiche: “Soli con i propri pensieri, si incontra se stessi”.
Questa sentita presenza di una Musa gnomica – giustificata dalla sua idea di una poesia fautrice di riflessione e di conoscenza – spiega anche il non raro indulgere del poeta al livello “basso” che richiama il Montale di Satura. Donde il verso, che conosce levità aerea di stilemi e soavità di accenti nei canti ispirati all’amore, sa pure attingere il vigore kerigmatico o fissarsi nella plasticità dell’epigramma. Lo caratterizza, comunque, una libera polimetria, che si adorna, disinvoltamente, di rime, assonanze e consonanze, e si avvale della frequenza dell’anafora per ribadire i concetti e le immagini che l’autore privilegia.
Una pluralità di contenuti e di toni, in definitiva, che non lede la sostanziale unità della silloge, il cui senso ultimo risiede, a mio avviso, nell’anelito, autentico e fervido, al sublimarsi dell’animo, attraverso una poesia liberatrice dalle strettoie del contingente: itinerario di amore e di pace che dal buio della barbarie contemporanea muove ad elevare, con l’autore, il lettore fino alla luce dell’Assoluto.

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