di Gianandrea de Antonellis
La casa editrice Rizzoli, nella storica collana Bur, sta
riproponendo i romanzi storici, di argomento religiosi, scritti da Louis de
Wohl (1903-1961). Quelle dello scrittore tedesco (ma naturalizzato inglese)
sono biografie di uomini illustri (L’ultimo
crociato, su don Giovanni d’Austria, l’eroe di Lepanto), di filosofi (La liberazione del gigante, su San
Tommaso – il “gigante” è Aristotele, liberato, cioè cristianizzato
dall’Aquinate), di santi (La mia natura è
il fuoco su Santa Caterina, La città
di Dio su San Benedetto, La gloriosa
follia su San Paolo, Il gioioso
mendicante su San Francesco), tutti personaggi dalla biografia ben nota. In
questo caso, invece, l’autore si confronta con un soggetto quasi “mitologico”: il
centurione che assisté alla crocifissione di Nostro Signore ed affondò la
lancia nel Suo costato per constatarne la morte. Di lui, storicamente, sappiamo
ben poco: ci è stato tramandato solo il nome, Cassio Longino, e nulla più. Quasi
tutto il resto di quanto ci è noto proviene dalla duecentesca Legenda Aurea di Jacopo
da Varazze, che è alla base dell’agiografia corrente e la quale, peraltro,
dedica al Santo (ricordato dalla Chiesa il 16 ottobre) solo poche righe, quasi
tutte incentrate sul suo martirio, avvenuto alla fine di ventotto anni di vita
monastica intrapresa dopo la conversione sul Golgota e la decisione di lasciare
l’esercito.
Louis de Wohl – che peraltro decide di incentrare il suo
romanzo sulla vita di Longino precedente
all’incontro con Cristo – parte quindi da questi scarni spunti per costruire
quello che, pur essendo rispettoso dei tratti essenziali dei principali
personaggi storici presenti in primo piano (a partire da Ponzio Pilato, naturalmente,
e da sua moglie Claudia Procula fino ad Erode e ai membri del sinedrio) e sullo
sfondo (Tiberio e il suo intimo ed infido consigliere Seiano), è un lavoro in
massima parte di fantasia. Forse proprio per questo, per non essere costretto
da troppi “paletti”, riesce a tessere una trama estremamente coinvolgente, che
affascina il lettore fin dalle prime pagine e che s’incastra perfettamente nella
narrazione dei Vangeli.
Così seguiamo le vicende di un giovane dal brillante
avvenire militare e sociale (i Longini erano una conosciuta famiglia dell’aristocrazia
romana) che per salvare il padre dalla prigione per debiti decide di offrirsi
come schiavo, rinunciando a tutto per pagare gli esosi creditori. Purtroppo il
vecchio sarà presto ucciso dal suo persecutore e Cassio vivrà il resto della
propria esistenza con l’impressione dell’inutilità del suo gesto e, quindi, con
l’unico scopo di riuscire a vendicarsi dei nemici della sua famiglia. Ma su di
lui esiste un disegno divino che lo porterà alla redenzione: l’atto di amore
nei confronti del padre, lungi dall’essere un sacrificio senza senso – degno di
una vita altrettanto senza senso, in cui l’elemento religioso è una pura
formalità fatta di sacrifici a divinità che palesemente non esistono – è invece
un momento fondamentale per il suo cambiamento esistenziale.
Con una “leggerezza” ante
litteram alla Calvino (nel senso di Italo, non di Giovanni!), l’autore fa
passare tra le sue pagine alcuni fondamentali insegnamento evangelici che fanno
del romanzo un’opera educativa che non rischia mai, però, di essere didascalica
(tra parentesi, va notato come questo sia un errore frequente e dal quale poche
opere narrative riescono ad essere esenti: tra queste, in Italia, i capolavori
di Carlo Alianello). Così seguiamo il protagonista in un percorso di crescita
al termine del quale, dopo essersi liberato dalla schiavitù fisica, si libererà
da quella morale e religiosa, abbracciando con piena coscienza la vera Fede.
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