lunedì 29 febbraio 2016

Tommaso Romano, "Non Bruciate le carte" (Ed. Prova d'autore)

di Sandra Guddo

Non lasciatevi ingannare dalla dimensione quasi tascabile di questo libro che è una preziosa raccolta dei pensieri, aforismi, frasi di Tommaso Romano, selezionati  dalla sua vasta e variegata produzione letteraria, per mano di Maria Patrizia Allotta.
 “ Non bruciate le carte “ titolo del volumetto in questione, è anche un monito che proviene dallo stesso interessato che, come noto, assegna alla memoria un valore assoluto, in quanto soltanto attraverso il recupero delle opere è possibile salvare dall’oblio il ricordo di chi ha voluto testimoniare il suo contributo, grande o piccolo che sia, alla costruzione del sapere per consegnarlo ai posteri . Questa raccolta non asseconda soltanto tale scopo ma segue un progetto, un disegno, soppalca la complessa architettura atta a rendere più facilmente comprensibile il pensiero di Tommaso Romano e ne fornisce una chiave di lettura che può essere condivisa o no ma che ha anzitutto l’obiettivo di esplicitare le sue idee a chi lo  segue da tempo ma soprattutto a chi si accosta per la prima volta ai suoi scritti.
Esporre la propria filosofia di vita attraverso la raccolta di brevi frasi tratte dalle sue opere, rientra nella convinzione, già espressa da Edouard Manet, che la verbosità annoia il lettore mentre la sintesi ne favorisce la riflessione. T. Romano esalta la capacità di sintesi, considerata un vero e proprio dono, affermando il valore del ” linguaggio essenziale, espresso per sottrazione più che per abbondanza. “
 Interpretare il pensiero di Tommaso Romano, organizzato in sistema filosofico, non sarà un’impresa facile ma è la meta del nostro viaggio interpretativo, consentitemi la metafora, che si svolge attraverso tre tappe fondamentali: la prima si sofferma sul valore della parola che è “ universo molto più che verso”; la seconda tappa ci propone l’ arte che “come verità e stile, promuove e svela”. Alla fine del percorso T. Romano ci invita ad una profonda riflessione sul senso della vita che “ è già pienezza questa vita, già ora “.
Poeta colto e raffinato, T. Romano considera la parola un dono, quasi una magia che “ si appalesa perché nasce da un pensiero che si manifesta “. La poesia ha una forte connotazione ontologica e mistico- religiosa, nasce dall’Assoluto e a Lui ritorna, rinvigorita, attraverso un procedimento metanoico. La parola in quanto “versus “ è il veicolo privilegiato della verità trascendente, rin-salda il legame tra l’umano e il divino nella continua dialettica immanenza- trascendenza.
Il versus poetico perciò non può essere utilizzato nel “ segno di improduttivi appagamenti letterari e di ricercate parole ad effetto o di consolatori ebetismi o ancora clownesco esibizionismo dell’apparire. “ Non può essere ricondotto “ a proclama ideologico, a sciatteria, a nichilismo, perdendo ( … ) il valore alto della profezia, l’annuncio di un destino, il disegno di un viaggio decisivo.”  La parola è segno del segno, è un dono ricevuto impregnato di religiosità; come tale va trattata e rispettata.
La parte centrale di “ Non bruciate le carte “ costituisce una vera e propria teoria estetica in quanto da semplici frasi ed annotazioni è possibile rintracciare la sua convinzione che l’arte si esplica innanzitutto nei valori assoluti della Bellezza e della Verità. Ciò che caratterizza la nostra identità è proprio l’educazione artistica che deve avere, da parte dei governi, la stessa attenzione che si rivolge alla scienze economiche o politiche perché, proprio attraverso l’arte, un popolo può essere più consapevole e più libero. L’arte, in tutte le sue manifestazioni, consente al genio creativo di esprimersi e di operare nella tradizione, le innovazioni che si pongono “ aldilà del giudizio estetico che ciascuno di noi può esprimere.”
“ L’arte è altro dalla natura e dalla vita anche se da esse viene e si riferisce.”  Utilizzando termini kantiani, è possibile affermare che l’arte rappresenta la perfetta sintesi che mette in contatto il mondo fenomenico con il noumeno, realizzando la più compiuta operazione trascendentale il cui risultato è, appunto, l’opera d’arte: non soltanto immanente né solo trascendente ma fusione di entrambe che conferiscono all’arte così intesa valore universale. L’arte ha anche una funzione liberatoria e catartica che aiuta l’uomo a superare le inquietudini e le passioni che travagliano il nostro vivere quotidiano, guidandoci infine, come affermava anche Aristotele, alla purificazione e allo svelamento della Verità.
Il nostro viaggio si conclude con un  mosaico di riflessioni che mostra al lettore la sintesi della ricerca poetica-letteraria di T. Romano che potrebbe costituire, nel suo complesso, le fondamenta per una teoria sull’Etica, tema che è stato da sempre oggetto di speculazione filosofica che ha accompagnato l’uomo nel suo faticoso cammino verso la conoscenza e la verità.
Il problema etico rimanda necessariamente al problema della libertà di coscienza e quindi del “ libero arbitrio”. Come scrive T. Romano: “ Dio crea anche le nostre libertà, da non immiserire nella costruzione delle teologie “, in nome delle quali, vengono predicati da politici indegni nella “ retorica di un ordine mondiale, valori assoluti come  giustizia, pace, uguaglianza, solidarietà e amore”. Ebbene “ quel Cristo non è Gesù Cristo. E’ un’altra cosa”. Le costruzioni teologiche innalzate per nascondere altri interessi ben più contingenti e miserabili, vanno abbattute per “ ricostruire il senso che è essenzialmente religio. “
Come aveva affermato il filosofo e teologo tedesco F. Schleiermacher (  1768/ 1834 ) nella sua opera “ Grundilien einer kritik “ la religiosità “ est una in  rituum  varietate  ”.
Essa non è conoscenza né moralità né fede perché altrimenti scadrebbe nel dogma; la religiosità spogliata dalle forme, dai riti che l’hanno accompagnata nell’evoluzione storica è musica che accompagna l’uomo nella vita del Tutto.
Per certi aspetti, il pensiero  di T. Romano è molto vicino alle posizioni di Scheiermacher in quanto anche per lui è indispensabile “ ricostruire il senso che è essenzialmente religio “ per cui diventa prioritario per l’uomo contemporaneo, immerso in una società piena di falsi idoli, “ non smarrire mai la centralità dell’essere, la profondità del pensiero , la capacità di affrontare senza paure il non conosciuto.
Innumerevoli sfaccettature arricchiscono l’impianto del pensiero filosofico del nostro autore grazie ad una serie di considerazioni che costituiscono una sorta di vademecum che può accompagnare l’uomo nel suo viaggio terreno ed aiutarlo a comprendere che  questa vita è già pienezza, già ora . A patto che egli comprenda che “ anche l’uomo comune, milite ignoto dell’ordinario ( … ) ogni pur piccola tessera del mosaico che comprende l’esistenza, diventa importante, determinante per l’ historia di ogni uomo “. Egli è “ tassello vivo “ che contribuisce alla costruzione del complessivo  disegno di quel mosaico di cui è corresponsabile senza alcuna differenza tra il Napoleone e il piccolo raccoglitore di lattine: entrambi, ognuno a modo proprio , trovano posto nel  mosaicosmo  , neologismo da lui ideato per indicare la sua visione del Disegno. Ed è  in quest’ottica che T. Romano rifiuta energicamente l’etica utilitaristica, basata sul  do
ut des,  ma riqualifica la vita quotidiana come “ palestra per  applicare l’etica su cui confrontarci “.
Al di fuori di ogni atteggiamento di superomismo, di negazionismo o di nichilismo occorre sapere confrontarsi, con moderazione, “ sulle culture altre “ . Occorre rivalutare “ l’ascolto e il dialogo con tutti e l’attitudine al plurale, evitando però il sincretismo, nemico principe dell’autentica universale sintesi “.

sabato 20 febbraio 2016

"Scrivere degli altri e di sé" (Fondazione Ignazio Buttitta) a cura di Tommaso Romano

di Corrado Camizzi

L'elegante volumetto contiene gli Atti di un Convegno sul tema La Biografia come scienza arte e memoria, tenutosi a Bolognetta (PA) il 16 Ottobre 2010. Un tema quanto mai originale e attuale, anzi proiettato al futuro. “Rilevo anzitutto – dice Elio Giunta nel suo intervento - l'aspetto meritorio di questa iniziativa culturale, giacché riunirsi a livello scientifico per discutere sul tema “biografie” mi torna come cosa rara, anzi a mio giudizio, qui si colma una lacuna”. Infatti, finché si parla di biografia come memoria e arte, biografia tra storia e letteratura, siamo tutti abituati e d'accordo, ma arrivare a parlare di attività scientifica in questo campo significa riconoscere l'esistenza di un “metodo”  oggettivante e condiviso nonché di risultati capaci di integrazione con altre discipline come la storia, l'antropologia, la pedagogia, la sociologia, la letteratura, il cinema… Anche se sottrarre del tutto alla  soggettività la narrazione di una vita (di altri o di sé) è cosa non difficile ma impossibile, come ben sottolinea Ignazio E. Buttitta nella sua relazione fondativa, affermando che “l'aderenza al presupposto dell'assoluta oggettività di ogni scrittura scientifica è viziato ab origine”, ciò non vuol dire che la ricerca della verità, come obiettivo finale seppure non interamente raggiungibile, non debba essere alla base di ogni biografia o autobiografia. E, come ricorda Salvatore Di Marco, già un'impostazione approfondita di questa riflessione è stata data da Tommaso Romano “il quale in alcuni suoi saggi specifici, tende a dotare la historia vitae, il racconto di un'esistenza, la biografia, di uno statuto scientifico proprio, da cui discende, ovviamente, il profilo deontologico del biografo”.
            Ovviamente, in questa prospettiva scientifica, è l'indagine sul rapporto tra verità e  historia vitae che informa di sé tutte le relazioni qui contenute,  in una varietà (ben 21) di voci e di argomenti che formano un mosaico complesso ed organico, in cui ogni relatore porta il suo arricchimento al dibattito. Conclude, infatti il Di Marco: “la biografia o è verità o non è tale”.
            L'impostazione scientifica non risulta restrittiva: la Biografia è e resterà sempre “la descrizione di una vita, il profilo cronologico fatto dal vissuto”, “una storia umana individuale che entra nella storia”, “operazione di verità che serve per imparare dalla vita degli altri” (Vito Mauro), incontro con un'esistenza umana unica e irrepetibile, luce che mette “l'individuo e il suo libero arbitrio al centro dell'evoluzione epocale”, scelta e trasmissione di valori, occasione di riflessione, indagine storica, psicologica e sociale, conservazione per i posteri. Il tutto vagliato da carica emotiva e passione e motivato dal bisogno di memoria per sopravvivere al tempo, come ricorda Piero Vassallo, narrando (Sulla biografia dei proscritti) l'allucinante esperienza della non mortale fucilazione del giovane fascista valdostano Piero Sassara da mano partigiana.
            L'indubbio interesse oggi esistente sull'argomento (forse non tutti sanno che esiste anche una Libera Università dell'Autobiografia, ad Anghiari) è documentato dal proliferare di Dizionari biografici, magari legati al territorio o ad  una specifica disciplina, che tendono a far emergere dall'oblio esistenze di pubblico interesse, altrimenti a rischio di essere oscurate. In particolare, due relazioni documentano questo settore: quella di Marinella Fiume, curatrice del Dizionario biografico Italiane e del Dizionario Siciliane, e quella di Maria Patrizia Allotta, su un interessante progetto che, da alcuni anni, coinvolge studenti di una Scuola Superiore di Palermo ed ha prodotto varie pubblicazioni contenenti numerose schede biografiche di Siciliani culturalmente rilevanti (letterati, filosofi scienziati, musicisti, …).
            Al proposito, da diversi relatori viene sottolineata la funzione educativa e pedagogica che può avere una biografia, a iniziare da quella del Padre Cornelio Fabro, scritta da Rosa Goglia, che Annamaria D'Ambrogio definisce “pedagogica per antonomasia”, “per il suo ricco contenuto, per il metodo adottato nella sua stesura e per il suo protagonista” che ella chiama “maestro in umanità”.
            Il sottogenere Autobiografia ha, in più, caratteristiche sue proprie. Francesco Paolo Calvaruso afferma che “l'autobiografia non è solo il piacere di ritrovarsi, di ripercorrere la propria storia, ma soprattutto è un'occasione auto-formativa”. “Dal lavoro di ri-scrittura di sé emerge il passaggio dall'autobiografia all'autoanalisi”. Scrittura di memorie, di diari, narrazione della propria vita, quindi, come momento di maggior consapevolezza di sé, attività formativa, terapeutica e consolatoria, capace di riappacificarci con noi stessi, che induce in chiunque ne faccia esperienza una dimensione autopedagogica, autoanalitica e introspettiva. “In definitiva parlare e scrivere di sé costituisce sia un momento autoconoscitivo che socializzante” (Antonella Colonna Vilasi).
            Non manca neppure, tra i contributi, una significativa finestra sull'antichità, con un breve, ma sintetico ed incisivo, excursus sulla biografia nel mondo antico, dove Maurizio Massimo Bianco  fa il debito accenno anche all'agiografia e all'epistolografia. Alcune poesie siciliane, lette durante  l'incontro -particolarmente toccante quella dedicata alla popolana guaritrice Donna Lunarda- evidenziano la potenza espressiva dell'idioma dell'Isola, arricchendo e potenziando l'anima siciliana che ha ispirato e sostenuto tutto il convegno.
            Nell'ottica quindi della stimolante galleria di interventi che ci si presenta in questo libro, la Biografia acquista un'identità propria, di genere non minore, dotato di specificità autonome, connesso  alle altre arti e discipline, radicato nel passato e denso di prospettive per il futuro. 

giovedì 18 febbraio 2016

Giovanni Dino, "I poeti e la crisi" (Ed. Thule)

di Elio Giunta

Vien di pensare a Salvatore Quasimodo che, in uno dei suoi testi più noti, cantava così lo smarrimento dei poeti difronte ai tragici fatti della resistenza: “Come potevamo noi cantare/ con il ferro straniero sopra il cuore…Alle fronde dei salici, per voto/…le nostre cetre erano appese …”. Cioè, per Quasimodo, uzQuasimodo,Qyasimoessendo sconvolti come testimoni del male, i poeti non si sentivano di scrivere poesie.  Oggi, non siamo proprio col ferro straniero sopra il cuore, benché quasi, ma in una società oppressa dalle ferree leggi dei mercati, sì.  Viviamo tempi di indifferenza o di misconoscenza difronte all’ingiustizia di chi ricco si fa più ricco e di chi povero non ha prospettive, a causa di una crisi che ha le sue ragioni storiche ma soprattutto ha le colpe umane, figlie di una globalizzazione dominata dal criminale affarismo finanziario, contro il quale si fa poco o nulla.
Ebbene, difronte a questo male, che in fondo sa di conseguenza di una guerra permanente tra poteri e potentati diversi, i poeti questa volta, invece di appendere le cetre ad oscillare al triste vento, le hanno innalzate, dimostrando con i loro canti una partecipazione consapevole alle vicende del tempo. E’ accaduto infatti che, ad un appello di un poeta di Villabate, Giovanni Dino, si sono prestati in gran numero da tutta Italia per dire la loro, a modo loro, recriminando o ironizzando, rendendo possibile la pubblicazione di una originale antologia di poesia d’impegno civile, che non dovrebbe mancare di essere presa in debita considerazione e di far discutere.
Intanto da registrare come notevole, oltre alla bella veste editoriale data dalla Fondazione Thule cultura di Palermo, il fatto che i firmatari provengano da tutte le parti della penisola e di essi più di qualche nome è alquanto noto per sicuro prestigio nel mondo letterario. Segno che le motivazioni dell’invito erano alquanto convincenti e la spinta problematica parte viva dell’umanità della poesia.
Il volume ha dunque una prima motivazione in quanto costituisce una denuncia di peso. E lo è intanto allorché il curatore e ispiratore stesso, nella postfazione, sciorina in una specie di litania l’analisi della realtà attuale contro la quale va presa coscienza. Ecco: la povertà diffusa, con i pensionati, le famiglie che non arrivano alla fine del mese e sono oppresse da tasse ingiuste; l’impoverimento del commercio, con botteghe che chiudono, aziende indebitate, piccoli imprenditori che falliscono; i bambini che tornano da scuola a casa e trovano lo squallore della disoccupazione; i precari e i part-time senza speranze; i laureati con i loro master inutili; il senso di malinconia e di sconfitta di quanti si sono rassegnati ad essere poveri.
Da tutti questi elementi si evidenzia in modo chiaro cosa comporta questa crisi, che è soprattutto crisi del ceto medio e che quindi prevede l’inesorabile scivolare della collettività tutta verso il declino: una crisi dunque di civiltà che, sia detto a chiare lettere, significa regresso.
Allora, se le voci dei poeti si sono lasciate raccogliere dietro tale tematica, il che vuol dire condivisione, ne consegue che i poeti aderiscono ad una clamorosa presa di coscienza, con l’intento di costituire forte voce di protesta. In altre parole, con questo libro, i poeti innalzano il grido degli intellettuali contro il cattivo andazzo delle cose: insomma loro, i poeti, che conoscono bene la funzione della parola, non disdegnano affatto di piegarla anche alla cronaca o all’immagine di un reale pratico per estrarne un coro, a più e svariate intonazioni, magari questa volta fuori dall’usuale liricità, perché risulti epopea di un’attuale ansia di giustizia.
Difficile, quasi impossibile, riferire delle troppe impressioni ed emozioni che questi ben 179 poeti disseminano in questo libro; difficile riportare una sintesi circa le immagini di verità umana che da esso emergono: anche da un semplice sfoglio delle pagine si colgono figure, luoghi e sentimenti quali a noi noti attraverso le cronache, per esempio, quelle del Festino tra i vicoli poveri, i capannoni chiusi per dismessa attività, l’espressione dei nonni che trepidano per la sorte dei nipoti, il disdegno del negro sudato con gli abiti lisi, il macabro spettacolo delle bare allineate a Lampedusa; ed ancora: il disoccupato che porta in giro la sua depressione, l’anatema contro il dio denaro, e i lavoratori che vanno alle adunate senza entusiasmo o quelli che non osano nemmeno entrare al supermercato per le scarpe rotte.
C’è dunque nelle voci dei poeti, di alcuni in particolare, un esprimersi con acuto senso della realtà e un toccarne le cause senza infingimenti. Vige in essi chiarezza e semplicità di parola, giacché, come scrive il Dino quasi a fornire una sintesi: “La povertà è voluta dalle mafie/ da multinazionali e religioni/protette da politici di turno/ da compiacenti camici colletti divise/ con esperti mangiauomini/ dagli occhi angelici e parlantina gentile/ che tengono operosi sazi docili/ legati ai fili della loro logica/ che generano oscure reti di complicità, servilismo e omertà.” C’è di tutto, come aspro rinfaccio.
Si dirà: ma, a che vale? Cosa contano, che possono fare i poeti?  Intanto svegliare le coscienze. Quindi, con la singolarità della loro parola rendere più visibile il tipo di disagio in cui si dibatte la nostra epoca; infine, e soprattutto, difendere l’uomo, infatti se è vero che la povertà umilia l’uomo, è persino doveroso che il poeta si erga a difesa dell’uomo.
Non deve poi sfuggire il significato di questa straordinaria operazione letteraria. Essa costituisce da un lato una specie di campionario dell’Italia che pensa fuori da interessi e compiacenze e, trattandosi di interventi di scrittori, campionario di un’Italia che vanta prestigio; dall’altro, ben rappresenta una sfida alla politica. Se infatti la politica suole trattare le condizioni umane dell’epoca secondo il suo sistema della paroleria furba ed effimera, ecco che ci sono coloro che di contro usano la parola che incide. I poeti appunto.
Si legga, ad esempio, “Lo chiamano progresso/ questo sciame di politici corrotti/ che ammorbano le nostre città…nel mondo capovolto/solo i poeti si aggirano/ come anime spettrali/ recando un lumino tra le mani.” Oppure: “ I poeti nel silenzio loro/fanno ben più rumore/ di una dorata cupola di stelle.”
E per concludere, questo libro potrebbe anche essere inteso come un ruggito storico inteso ad investire le sorti dell’epoca e quindi valere anche da invito a rivedere la storia della poesia dei nostri giorni. Sarebbe un tornare a ridiscutere il tema dell’impegno o del disimpegno della letteratura nel tempo. Certo, come si sa da sempre, se si tratta di affrontare gravi accadimenti e combattere qualche battaglia, i poeti, in quanto poeti, non imbracciano certo i fucili, ma è importante che, quando occorre, facciano sapere che comunque ci sono. La loro scrittura partecipativa è importante per definire la loro non distaccata presenza. E’ quanto può forse costituire il valore essenziale di quest’antologia.
Siamo stufi di parole artificiose, di una ripetitività fatua e stucchevole di termini come crescita e pil, congiuntura, concertazione e flessibilità; di una logorrea politica televisiva e autocelebrativa; siamo stufi del senso diffuso di approssimazione su tutto. Ben vengano dunque con qualsiasi forma e cadenza le parole dei poeti, che sono esattamente il contrario. Le parole dei poeti costruiscono e determinano, anche quando solo alludono o interpretano o denunciano. Ed oltretutto hanno l’effetto di risuonare a lungo come monito, di non essere facilmente cancellate. Resistono infatti sulla carta, a volte a commuovere, ma spesso anche ad infastidire beneficamente e sempre a illuminare la ricerca di verità.

mercoledì 17 febbraio 2016

Giancarlo Licata, "Il volo dell'allodola" (Ed. Thule)

di Sandra Guddo

Con la crisi del postmodernismo si apre, in Italia e nel mondo, una nuova stagione  narrativa in cui si registra una rinnovata attenzione verso l’analisi della società umana sia a livello locale che globale. L’intellettuale riacquista la sua autorevolezza proponendo alla nostra attenzione temi che ci riguardano da vicino e di fronte ai quali non possiamo più permetterci di restare indifferenti  ma risulta necessario, se non urgente,  prendere consapevolezza dei problemi  che mettono a rischio i fondamentali della nostra stessa civiltà: terrorismo internazionale, immigrazione clandestina, traffico di stupefacenti, inquinamento, smaltimento dei rifiuti tossici e quella miriade di attività illegali che favoriscono la corruzione di una classe dirigente sempre più lontana dai valori più pregnanti delle ideologie che le sottendono.
In particolare nel nostro paese, proprio in quella realtà che Giancarlo Licata descrive magistralmente, c’è in atto un vero e proprio golpe strisciante che ha cambiato in peggio il volto del paese, assicurando la vittoria del nichilismo sui valori fondamentali tra i quali vanno, innanzitutto, recuperati la rettitudine morale ed il senso del dovere.
 Sulla scia di grandi scrittori e giornalisti come Walter Siti e Roberto Saviano, a mio parere, si pone l’opera di Giancarlo Licata “ Il volo dell’allodola “ , che, con toni meno sanguigni ma altrettanto efficaci, pone il lettore di fronte al dramma di una società malata che ha dimenticato i più elementari valori della convivenza civile.
In particolare, Egli si sofferma ad esaminare le nostre periferie degradate e dimenticate, prive di centri di aggregazione sociale e culturale; la mancanza di centri di recupero e di integrazione per  sbandati, bulli  e  “ teppistelli “ di borgata, favorisce la criminalità organizzata che arruola, ancora giovanissimi, questi ragazzi, divenuti  facile preda e li  invischia nelle loro attività illecite, regalando loro il sogno di una vita facile, piena di soldi, di potere  e di quell’effimera evasione dallo schifo in cui si trovano a vivere, attraverso l’uso sempre più devastante degli stupefacenti.
Alla borgata, divenuta così vero e proprio quartiere dormitorio, che si limita ad offrire ai residenti soltanto i servizi essenziali, si contrappone la città “ indifferente “ ai disagi dei borgatari, a cui mancano gli stessi servizi assicurati agli altri cittadini, creando una disuguaglianza inaccettabile da parte dello Stato, in questo caso assente.
A Borgo S. Fedele, nome quanto mai stridente con la realtà che rappresenta, la situazione è particolarmente grave perché non è neanche assicurata la regolare fornitura dell’acqua. Se poi a questo si aggiunge la temuta soppressione della linea dell’autobus “ Centidiciannove “, l’unica che collega il borgo al centro città, la situazione può diventare esplosiva ed è quello che accadrà nella borgata determinando, di conseguenza, un salto di qualità in negativo tramite l’intervento di una potente organizzazione malavitosa, rappresentata, nel romanzo, da un misterioso uomo in doppiopetto blu  che, utilizzando la microcriminalità presente nel territorio, tenterà di trasformare quella parte della periferia in una zona franca dove sarà possibile curare affari oscuri ed interessi illeciti, come il traffico della cocaina proveniente dal Sudamerica, il traffico dei clandestini anziché di armi o della prostituzione ed anche lo smaltimento di rifiuti tossici ospedalieri. Una fitta trama di affari oscuri dove le forze malavitose del luogo, sempre più allargate, si coniugheranno con gli affari internazionali e la globalizzazione. In tal modo, il bulletto di borgata verrà utilizzato come fattorino  alla dipendenze dell’organizzazione che va, in giro,  trasformato in un crudele venditore di morte , con la sua “ Alfa romeo coupé rossa ritoccata, ma non troppo in modo da non solleticare l’attenzione della polizia “ ed il boss della borgata diventerà un intoccabile.
Su questo scenario narrativo si muove la storia di un povero ragazzo di borgata: Giovanni, un sedicenne con una particolare  disabilità cognitiva compensata dalla geniale capacità di calcolo , che, nei momenti di difficoltà e di incomprensione di una realtà di cui non riesce a leggere tutte le righe, vola come l’allodola verso il cielo, in alto per ritrovare la serenità insieme al suo compagno immaginario “ Valentino “ a cui si aggrappa per trovare la giusta risposta ai suoi quesiti irrisolti o con cui si diletta nel difficile gioco della fantasia.
Il  gioco  diventerà sempre più arduo e complicato da gestire, quando Giovanni entrerà in contatto con la città indifferente : le due realtà che, fino ad allora si erano ignorate, daranno vita ad uno scontro aperto che culminerà in tragedia. Lo sconfinamento di territorio nella borgata di S. Fedele di due giovani amici e compagni di scuola di Giovanni, appartenenti al mondo dorato della città, dovrà essere punito in modo esemplare dai teppisti locali. Una tragedia annunciata  che Giovanni aveva intuito ma a cui non riuscirà a porre rimedio.
Sembra quasi uno scontro di civiltà dove il controllo del territorio, divenuto “ giostra delle impunità “ appare prioritario rispetto al valore stesso della vita e progettare un omicidio, per quei  “ teppistelli “, elevati ormai al rango di spietati delinquenti , diventa banale come dare ”  la caccia ai gatti.”
Ecco allora che il nostro scrittore si mostra un profondo conoscitore del disagio giovanile che racconta in modo magistrale in una delle pagine più convincenti della sua opera.
Altrettanta maestria Giancarlo Licata rivela nella descrizione di Antonella Valenti, madre di Giovanni e voce narrante del libro: è una donna sciatta e delusa, costretta da un incomprensibile senso del dovere, ad un matrimonio con un uomo molto più grande di lei e con cui non ha progetti da condividere, condannata ad una squallida esistenza dove la sua femminilità appare mortificata. Anche lei, come un’allodola cerca altrove, in un mondo parallelo, una via di fuga che realizza attraverso l’amore adulterino  verso Giorgio detto “ Spina “, boss della borgata. Il mondo segreto di Antonella, con le sue inquietudini e le sue passioni, è raccontato da Giancarlo Licata con estrema efficacia e colpisce la sua straordinaria conoscenza dell’animo femminile, diviso, in tal caso, tra senso del dovere, trasgressione e amore incondizionato verso il figlio. Anche la figura di Franco, il marito, rappresenta per lo scrittore un’occasione imperdibile per tuffarsi nella realtà italiana ed analizzarne le patologie, in quel delicatissimo passaggio tra la prima e la seconda  repubblica dove tutte le ideologie, di destra o di sinistra, sono in una forte crisi di identità e di credibilità a causa della corruzione dilagante. Un uomo disincantato e disilluso, fortemente consapevole dei limiti della politica e dei sindacati di cui pure, un tempo, era stato un convinto sostenitore.
La narrazione veloce e puntuale nella ricostruzione dei fatti cronologicamente attestati, non rinuncia a soffermarsi su alcune tematiche care all’autore come la dissertazione sul valore assoluto della memoria senza la quale un popolo sarebbe “ un popolo senz’anima “ o il significato del pentimento etico degno di perdono e del pentitismo. L’amore giovanile che, in un libro di denuncia civile ed intellettuale come questo, sembrerebbe non potere trovare spazio, viene invece trattato ampiamente e sapientemente attraverso il racconto delicato, quasi elegiaco, dell’innamoramento tra Walter e Martina, tale da avvicinare la sua prosa alla più alta poetica dei sonetti del dolce stilnovo.
 La scrittura per il nostro autore è il modo migliore per tuffarsi nelle patologie del nostro tempo ed analizzarle ma anche per ridarci, attraverso le parole del professore Diacono, la speranza che la cultura ci può salvare dalla dissoluzione totale, quando, rivolgendosi ai suoi studenti, ripete che “ dovete sapere, sapere, sapere. Solo alla fine del percorso sarete in grado di decidere con la vostra testa e fare le vostre scelte. E non dimenticate ( … ) la voglia di sognare. Se sarete abili, potrete conoscere, per poco tempo, o per molti anni, cosa sia la felicità. “

giovedì 11 febbraio 2016

Emilio Casalini, "Fondata sulla bellezza. Come far conoscere l'Italia a partire dalla sua vera ricchezza" (Ed. Sperling & Kupfer)

di Domenico Bonvegna

Dopo quasi un mese di pausa riprendo a scrivere, sempre consapevole di essere uno scrittore dilettante e che probabilmente i miei eventuali lettori non aspettano il mio contributo per essere informati, tanto meno formati. Ho appena finito di leggere un agile volumetto scritto molto bene dal giornalista Emilio Casalini, “Fondata sulla bellezza. Come far conoscere l'Italia a partire dalla sua vera ricchezza”, pubblicato da Sperling & Kupfer. Il tema della bellezza dell'arte mi seduce da tempo, soprattutto da quando ho letto il bellissimo testo di Giovanni Fighera, “La bellezza salverà il mondo”, edito da Ares, mi sono convinto che attraverso l'arte, la storia e la cultura potremmo forse salvare anche il nostro Paese. Anche perchè riscoprendo la bellezza del nostro patrimonio artistico, impregnato quasi totalmente di cristianesimo, forse potremmo arrivare a riscoprire anche la nostra identità cristiana, visto che “non possiamo non dirci cristiani”, come scriveva Benedetto Croce.
Anche Casalini, giornalista di Report, parte da questa idea e cerca di convincere il lettore che in Italia, nonostante la crisi, si potrebbe vivere di turismo, sfruttando per bene il nostro grande patrimonio artistico, culturale e storico.“Potremmo vivere della bellezza che abbiamo”, afferma  Casalini, per convincerci ha studiato il problema, leggendo montagne di documenti, parlando con esperti, analizzando le criticità e proponendo delle soluzioni.
Ne è nato un testo, che io ho trovato nella solita libreria dei navigli milanesi, che affronta questo mare magnum in ottica trasversale, cercando di unire non in un calderone, ma in una fascina, i vari elementi critici: dal sistema di accoglienza alla governance, dal rapporto con i cinesi ai passaggi pedonali di Roma, musei, segnaletiche stradali in giro per l’Italia, comunicazione digitale.
Il testo di Casalini pone domande e tante questioni, la più importante è quella quando auspica per il nostro Paese una nuova identità, fondata sulla bellezza. Al punto che paradossalmente sogna sul passaporto italiano come “segni particolari”, una sola parola: bellezza. Ogni popolo ha la sua identità, noi no.“Gli italiani e l'Italia viaggiano su due binari paralleli: la nostra realtà sembra dissociata dalla nostra terra e dalla nostra storia”. Casalini spera in un cambio di passo, una rivoluzione, che dovrebbe coinvolgere tutti, in una visione condivisa,“in un progetto finalizzato anche alla creazione di una propria identità di popolo, un'identità di cui essere fieri e che ci renda riconoscibili nel contesto internazionale”. E’ un percorso aperto, da condividere. Lungo e complesso.
Occorre forse un vero cambiamento di genere, qui auspicabile, un progetto politico e sociale, ampio, che si proietti nei decenni futuri legandosi indissolubilmente alla cultura, al turismo e ai frutti della nostra terra. Un progetto che parta dal basso, soprattutto dalla scuola, dall'educazione, dal pensiero di un'intera società, cosciente del valore di cui dispone. Perchè non potenziare le lezioni di Storia dell'Arte, o addirittura farla diventare una materia trasversale alle altre. Occorre secondo Casalini, “Una pianificazione che vada ben oltre la vita di una o due legislature, oltre l'esistenza di molti di noi”. Il giornalista sa che questo è un tema, abbastanza discusso, si è scritto e parlato molto in tanti libri, convegni, trasmissioni televisive: “potremmo vivere di questo”, Ah, se sfruttassimo quello che abbiamo!”, frasi sentite milioni di volte, ma alla fine tutto rimane come prima.
Eppure sembra che il settore economico che gode più salute, che è più in crescita è  quello del turismo. E' qui dove tutti investono e guadagno, mentre noi non lo facciamo, siamo al 78° posto nel mondo. Peraltro, il settore turistico è ecocompatibile, visto che non provoca emissioni dirette di sostanze nocive nell'ambiente.“Ha un'etica sociale, perchè è fondato sulla valorizzazione di ciò che esiste e sul rispetto delle persone. E' diffuso sul territorio, sul quale ridistribuisce i benefici in modo più ampio rispetto ai grandi gruppi aziendali”.
I turisti partono, sempre più numerosi, ma per dove? Innanzitutto per la Francia, gli USA, la Cina, la Spagna e perfino per la Grecia. Da noi ne arrivano 46 milioni, la metà della Francia, un dato che sarebbe nettamente inferiore se non ci fosse il Vaticano di Papa Francesco. E poi certi signori si permettono di infangare la Chiesa e i suoi ministri.
Interessante il raffronto che il testo presenta tra la nostra Sicilia e le isole Canarie e Baleari, appartenenti alla Spagna, che hanno una lunghezza di coste simili. Sommando i pernottamenti le isole spagnole arrivano a 136 milioni di pernottamenti, la Sicilia alla misera cifra di 6 milioni. E qui si aprono i soliti discorsi sui servizi che mancano, i pochi voli aerei internazionali, low cost. Stiamo parlando della Sicilia che certamente non offre soltanto il mare, ma possiede un immenso patrimonio artistico e culturale, dai monumenti antichi alle feste patronali, oltre a una popolazione pari al doppio delle Canarie. Ricordiamo che la disoccupazione in Sicilia ha raggiunto il 20%, quale potrebbe essere questo dato se, invece di 6 milioni, le notti passate sull'isola dai non residenti fossero 100 milioni (ben distribuiti)? E che non c'è solo mare in Sicilia, lo ha capito pure Casalini, quando scrive che a novembre, in manica di camicia, puoi passeggiare nella Valle dei Tempi di Agrigento con in mano un delizioso cannolo.
Il libro offre numerosi spunti per riflettere, interessante i casi di valorizzazione del territorio come quello di Arco in provincia di Trento, con soli 17 mila abitanti è riuscita a diventare la capitale del mondo dell'arrampicata sportiva. E poi c'è il settore dell'enogastronomico, che tira molto,“i distretti turistici che hanno investito nei percorsi enogastronomici sono stati ricompensati dalla soddisfazione dei turisti, che hanno aperto generosamente il portafoglio”.
Del resto in Italia abbiamo tanti prodotti di denominazione di origine controllata, specialità di vini e diverse aziende, un patrimonio straordinario. Per migliorare il prodotto, Casalini auspica una grande catena di distribuzione nostrana che“unisca in un marchio comune allo scopo di vendere i nostri prodotti in ogni angolo del globo”.Ecco perché occorre sviluppare la nostra agricoltura, che peraltro è l'unico settore dove oggi non si licenzia ma si assume, l'unico dove l'occupazione giovanile è cresciuta del 9% in un solo trimestre.
Pertanto una priorità assoluta dovrebbe essere la tutela del territorio, proprio nell'ottica turistica ed enogastronomica. Infatti,“l'inquinamento delle terre campane dove vengono prodotte le mozzarelle di bufala crea un danno immenso a uno dei simboli del nostro migliore “Made in Italy”.
Comunque sia non tutto è perduto, visto che ancora in certe classifiche specifiche, l'Italia mantiene nella percezione estera, una certa potenzialità, in riguardo al patrimonio culturale e storico, nonostante tutto ci siete ancora, avete un marchi speciale, Siete unici. Sfruttate questo vantaggio finchè potete.
Allora che valore economico dare alla cultura? Visto che possediamo il maggior numero di siti, 49, tutelati dall'Unesco. Aprendo il tema dei musei e del grande panorama artistico italiano, è veramente significativo e commovente il racconto di Casalini sul giovane africano che scappa dal nord del Mali, per arrivare in Italia e vedere la Pietà di Michelangelo. Dominique, aveva studiato in una missione dove un prete italiano gli aveva fatto vedere tante belle opere d'arte che l'uomo ha realizzato nella storia. “Il padre ci ha mostrato le foto di un libro con delle statue e ce n'era una con Gesù morto e sua mamma che lo teneva tra le braccia. Guardandola io mi sono commosso, perché non avevo mai visto una cosa così bella. Io riuscirò ad arrivare in Italia a vedere quella statua”. Dovrebbe farci riflettere molto questo racconto.

mercoledì 10 febbraio 2016

A cura del Movimento Missionario Mariano, "La Corredenzione di Maria nel trattato di Mariologia" (Ed. Pisanti)

di Vito Mauro

A fine 2015, accompagnata dai tradizionali canti della novena di Natale che avveniva davanti alla cappella di Maria SS. Addolorata, al Circolo Culturale “Paolo Amato” si presentava il primo volume, fresco di stampa, di La Corredenzione di Maria nel trattato di Mariologia, uno Studio a cura del Movimento Missionario Mariano, Edizioni Pisanti P., forse la prima presentazione del libro, che padre Vincenzo Rosario M. Avvinti ha voluto fare a Ciminna, nel proprio paese natio, che gli è rimasto sempre nel cuore.



martedì 9 febbraio 2016

Mauro Stenico, "La meraviglia Cosmica" (Ed. Solfanelli)


La scienza conduce l’uomo lontano dal concetto di “creazione” e dalla sfera della Trascendenza? I presupposti della filosofia scolastica sono crollati dinnanzi al suo progresso? Non v’è più spazio per la ricerca e per il rinvenimento di quel Più, di quell’eccedenza di significato che permea la realtà? Infine, ipotesi cosmologiche come quella del Big Bang e articoli di fede come quello della creazione dell’Universo dal nulla sono stati ormai posti in una contraddizione insolubile?

     Questi, ed altri, gli interrogativi affrontati nel testo. Sulla base di considerazioni filosofiche nonché con l’ausilio di alcune scoperte della scienza naturale del XX secolo e di geniali intuizioni di alcuni suoi protagonisti, è desiderio dell’Autore mostrare come l’uomo non solo non abbia ancora carpito il senso profondo, più misterioso e recondito, della Natura — ammesso che egli possa anche soltanto pretendere di farlo, come nel caso della tanto sospirata “teoria del tutto” (theory of everything) — ma come le molteplici questioni scientifico-naturali ancora (momentaneamente?) insolute rendano più che mai appassionante quell’approccio aristotelico di meraviglia e curiosità nei confronti dello studio della Natura, studio che nel contempo rende evidente l’inesauribile maestria del suo Artefice. Da qui, l’inevitabilità di un titolo che enfatizzasse la magnificenza della creazione e ponesse in risalto la razionalità e l’ordine in essa riscontrabili.

venerdì 5 febbraio 2016

Giorgio Barberi Squarotti, "Le avventure dell'anima" (ed. Thule)

di Giuseppe La Russa

Il nome di Giorgio Barberi Squarotti è, per lo studente di letteratura, punto fermo, attraversamento ineludibile in campo critico: lo si incontra nelle sue interpretazioni dantesche, pascoliane, d’annunziane. Ma Barberi Squarotti è anche poeta da scoprire, da prendere in mano per conoscere la sua forte impronta che sin dagli anni ’60 arriva fino al nuovo millennio. Basterebbe questa dimensione temporale – oltre alla coscienza della sua militanza critica - per capire che la sua è una poesia di “attraversamento”, un’attività che consta di molteplici sguardi, di indefinite mani. Forse è proprio vero quanto affermava Eliot, ossia guardare alla «letteratura come sterminata valle di echi», alla poesia come qualcosa che non nasce dal nulla, ma diventa progenie di mille voci, un depositarsi di innumerevoli lustri e appare chiaro come per uno studioso della letteratura, questa stessa lasci forti sedimenti nella personalità, nel modo di sentire e intendere il reale, nei clamori e nei silenzi che fluiscono da ogni pagina; allo stesso tempo, un’attività che si estende per circa cinquant’anni è figlia del Tempo e del suo scorrere, risultato inevitabile di sguardi, sogni, pensieri, letture.
La poesia di Barberi Squarotti va letta proprio in questa direzione, ela silloge Avventure dell’anima appare figlia di questo continuo “accumulo” che spazio e tempo hanno contribuito a formare. Ciò si denota nell’attento sguardo sull’esistenza, sui vari particolari, anche minimi, della realtà, nell’esigenza forse pascoliana di nominare ogni cosa, affinché la parola poetica possa essere significante pienamente aderente al suo significato, pur sfumata nella sua indeterminatezza e vaghezza: oggetti, paesaggi che balzano vividi sulla pagina, realizzati nella loro concretezza, ma che al tempo stesso profumano di ricordi, di  evanescenti e diafani pensieri, che si sfumano nella loro immaterialità.
Da queste poche osservazioni si può evincere la matrice stilistica che avvolge Avventure dell’anima, ultimo testo poetico di Barberi Squarotti ed edito da Thule e in cui avvistiamo questi forti sedimenti, questi piccoli detriti depositati dal fiume inarrestabile della letteratura, classica e moderna,in cui scorgiamo brevi scintille capaci di esplodere, di informare la pagina di un forte lirismo capace, però, di vivere – si diceva - attraverso ogni oggetto più quotidiano, di ogni depositarsi del reale; nasce così – bene esplicitato nella prefazione al libro di Vanessa Ambrosecchio – quella «incontenibile urgenza di teatralizzare a ogni pagina il dramma tra finzione e realtà, fra presente e possibile, fra reale e vero», si plasma una poesia che è al contempo concretezza e distacco, realtà e sogno, sfuggevole spiritualità e carnale concretezza: binomi opposti, ma che sulla pagina trovano spazio e si traducono nell’onnipresente immagine della donna, cerniera tra anima e corpo, cielo e terra, spesso rappresentata nuda, come nel testo L’aquila che vede una ragazza svestita affermare tra quattro filologi che discutono del Cielo: «Io sono la messaggiera degli dei, o , meglio, devo dire di Dio in terra». Come appare ancora nella prefazione di Vanessa Ambrosecchio, il risultato è di una realtà certamente «riscontrabile ma allucinata: non a caso le visioni di Barberi Squarotti sono sempre circoscritte con diaristica precisione dall’indicazione di data e luogo, proprio come se si trattasse di annotare eventi reali».
Si potrebbe dedurre, a questo punto, che è questa l’idea di poesia che Barberi Squarotti promuove, ossia di una attività creatrice, di una forza primigenia capace di leggere e plasmare la realtà, capace di rendere visibili e tangibili, tramite «l’alta fantasia», situazioni oniriche, lande trasognate, lacerti di tempo mai vissuti. Sarà proprio per questo che i testi che leggiamo siano densi di riferimenti puntuali, che descrivano con precisione momenti e luoghi: la parola diventa così chiave di accesso ad una realtà, è via conoscitiva, è poesia essa stessa.
E per manifestarsi nella sua gloria, la parola poetica deve farsi densa, vivida, nitida, corposa: ecco, la corporalità appare come tratto peculiare di questa poesia.
Se il sugello di un momento conoscitivo – cui la poesia conduce – è il nutrimento dello spirito, quel nutrimento stesso non può che passare prima dal corpo, dagli occhi, dallo sguardo, dall’esperienza tattile. Viene in mente un verso di una celebre poesia dell’amato D’Annunzio, La pioggia nel pineto, in cui il poeta fa letteralmente ”vedere” la pioggia che cade e che si schianta sulle “mani ignude”: il contatto con il corpo, espresso in una poesia dall’architettura fonico e semantica mirabile,  è la conditio sine qua non per arrivare al contatto estremo e panico con la natura, è quello il primo passo per l’accesso la mistero.
Si prenda un testo di Barberi Squarotti, Apparsa, all’alba: è il racconto di un sogno, di una visione, ma di un sogno fatto «nell’ora in cui i sogni sono veri» e racconta di una ragazza che entra in stanza, dalla finestra e rappresenta, probabilmente, varie immagini di donna che al poeta si sono offerte e che, si offriranno. Cerniera tra passato e futuro, quell’immagine di donna, lungi dall’essere evocata per sfuggevoli tratta, è figura oltremodo tangibile, si offre nuda nel suo colore bruno di pelle, calda come dopo una corsa.
Ma questa che è la cifra stilistica, si diceva, che sottende al libro, è allo stesso tempo immagine esistenziale, celebrazione vitale: elencare, nominare, toccare e far toccare con mano significa osannare il miracolo del quotidiano, è la presa di coscienza de L’eternità del mondo: «Oh tu che domandi quale senso/ abbia il tuo tempo del passato e adesso/ la piazza di Monforte sotto il sole/ trionfante, i ciclisti che si abbeverano/ al bar e acquistano focacce e ambrosia/ per il viaggio verso l’erta cima/ di Mombarcaro, la ragazza parla/ fittamente col farmacista, trema,/ si fa pallida, alza le mani al cielo/ […] Tutto/ questo e tanto ancora guarda: bastano/ a fare che continui il mondo,/ in ogni/ istante altro si aggiunge, e, stupefatto,/ il Creatore ne è, e con ansia e affanno/ si affretta a registrare (o forse teme/ o è felicità?)//».
Eternità del mondo, eternità di sguardi, volti e azioni dall’infinita prole, infinito attraversamento: ecco celebrato il miracolo della vita, ecco celebrato il miracolo della poesia.

martedì 2 febbraio 2016

Stefano Fabei,"La grande guerra e la rivoluzione proletaria" (Ed. Edibus)

Un secolo fa, tra l’agosto del 1914 e il maggio del 1915, mentre in Europa già infuriava lo scontro tra gli eserciti delle più importanti potenze, l’Italia fu teatro al suo interno di contrapposizioni spesso drammatiche che riguardarono fronti compositi, uno favorevole all’entrata in guerra, l’altro contrario. In questo libro si ricostruiscono le fasi attraverso cui il sindacalismo rivoluzionario italiano – o meglio, alcune delle sue più rappresentative componenti – passò dal campo neutralista a quello interventista e quanto pesò tale contributo. Un’approfondita analisi permette, inoltre, di comprendere le condizioni critiche in cui si trovava il movimento rivoluzionario nel nostro Paese – socialisti, anarchici, sindacalisti e repubblicani – al momento dell’attentato di Sarajevo (28 giugno 1914) e all’inizio delle agitazioni in favore dell’entrata dell’Italia nel Primo conflitto mondiale a fianco delle forze dell’Intesa. Un ulteriore apporto alla comprensione delle origini del fascismo.
Per approfondimenti: www.stefanofabei.it

Micol e Pierfranco Bruni, "Cinque Fratelli" (Ed. Pellegrini)

Quando la testimonianza diventa nobiltà.  Dal mondo borbonico e nobiltà rinascimentale alla religiosità dei Bruni Gaudinieri nel racconto affascinante di Micol e Pierfranco Bruni che ricostruiscono una storia - destino
Una storia del Sud nella nobiltà del Regno di Napoli. È la storia di una famiglia borghese, nobile e militare da fine Ottocento ai giorni nostri. È un raccontare uno spaccato del Regno di Napoli attraverso la tradizione della famiglia Gaudinieri-Bruni, una famiglia stemmata, che ha segnato un percorso, in quella civiltà aristocratica e nobiliare, che ha visto come riferimento alcuni centri del Sud Italia e in particolare: San Lorenzo del Vallo, Spezzano Albanese, Cosenza, Terranova da Sibari, Acri oltre che Cagliari.
A scrivere Cinque fratelli. I Bruni-Gaudinieri nel vissuto di una nobiltà sono stati Micol e Pierfranco Bruni, i quali hanno tracciato un viaggio narrativo, completamente documentato da ricerche d’archivio, da un apparato storiografico e correlato da materiale fotografico appartenente alla famiglia Bruni. Il libro ha la collaborazione del Sindacato Libero Scrittori Italiani.
Del libro è stato realizzato un interessante Video curato da Anna Montella visibile cliccando qui.
Micol e Pierfranco Bruni hanno ricostruitola storia di una famiglia attraversandola con un linguaggio narrativo. I cinque fratelli sono Adolfo (commerciante), Mariano (matematico e intellettuale), Virgilio Italo (commerciante e possidente terriero), Luigi (segretario comunale) e Pietro (geometra ed esperto di fotografia d’arte).
Si parte però dalla famiglia d’origine, ovvero da Francesco Ermete (Alfredo) Bruni di San Lorenzo del Vallo e da Giulia Gaudinieri di Spezzano Albanese.
Il commercio e la nobiltà incontrano due famiglie che sono possidenti agrarie. È il mondo delle professioni che apre prospettive sia culturali che tecnico-amministrative.
La nobiltà militare è stata testimoniata dal colonnello Agostino Gaudinieri, più volte decorato nella Grande Guerra, che è parte integrante tra le pagine del libro.
Si parla di una famiglia, quella dei Gaudinieri-Bruni, ma si propone uno scavo meticoloso e speculare e una interpretazione nell’evoluzione delle risorse, delle economie e delle nuove forme aristocratiche nella Calabria del Nord e del Regno di Napoli.

Il libro si chiude con uno studio che lega la famiglia al culto paolano, documentato, grazie alla attestazione della Platea Gaudinieri dalla quale si evince il segno tangibile della comunanza tra l’Ordine dei Minimi e i Gaudinieri in una profonda visione cristiana.

lunedì 1 febbraio 2016

Giorgio Barberi Squarotti, "Le avventure dell'anima" (ed. Thule)

di Francesca Luzzio

Realtà e sogno, esperienza concreta ed immaginazione onirica si fondono insieme ne le “ Avventure dell’anima” di Giorgio Barberi Squarotti. Descrizioni paesaggistiche, nomi propri di fiumi e paesi si collegano alla realtà, al quotidiano vissuto dall’autore, ma nello stesso tempo la precisazione descrittiva tende a trascolorare in un immaginifico che supera il concreto per eternarsi in una significazione e in una funzione altre, per trasvolare dall’hic et nunc  ed immergersi in un altrove valoriale  che nella difficoltà dell’esserci,  tuttavia non manca di esistere  e  “non importa se sono solo immagini \ se così io moltiplico il mio tempo \ e anche la vostra vita” ( Autoritratto, pag.33), se insomma, grazie ad esse si riesce a vivere più a lungo perché alla vita danno significazione. Ma chi è l’io che moltiplica il  tempo del poeta e anche il nostro, descrivendo se stessa che descrive il suo “ritratto”come in un”...gioco dello specchio \ che si rispecchia in altro specchio...?”( Idem).         
E' non una, ma la donna nuda.                                                               
La natura innevata o verdeggiante, il gioco con il pallone e la fatica dell’agire umano, biblico, arcaico, moderno, contemporaneo e tecnologico insieme, tutto converge intorno a lei e la sua nudità  è candore e bellezza e perciò emblema di arte e poesia, è libro le cui parole acquistano consistenza, poiché "l'arte (Idem).
Creatura ancestrale, mitica  dea, angelo, la sua nudità è poesia, cultura e sapere, amore, purezza e pietà, ma è ed è stata anche demone e  strega, prostituta e peccato da punire, oggetto impudico: “... Poi mi ordinò \ di salire sul tavolo fra tazze \... \ e lì ballare....”.  ( La fedele, pag. 88)
Insomma la donna è il bene e il male che c’è nel mondo, è il mondo, è il tutto da sempre , è l’essenza motrice : Iride  e Leda, o ancora ariostesca Angelica e attuale Agelina poco importa, lei è il tutto, da sempre e non fugge in cielo come la Clizia montaliana , di fronte alla massificazione omologante, allo sfaldarsi dei valori, ma resta in terra perché lei non è donna- angelo, ma angelo-nudo, essenza ispiratrice e motrice, pur nel discendere e risalire, secondo il variare dei contesti storico-culturali, delle valutazioni delle eterogenee essenze che in sé racchiude.                         
Lo stile si caratterizza per una tendenza lirico- narrativa che si esplica anche attraverso il dialogo, consentendo al lettore di fruire e godere, pur nell’incisiva brevità  espressiva  che caratterizza la poesia, dello sviluppo logico di eventi e situazioni che liricamente vengono proposti; la versificazione è libera, anche se non mancano assonanze e consonanze che alimentano insieme agl’ictus la musicalità dei versi.