venerdì 5 febbraio 2016

Giorgio Barberi Squarotti, "Le avventure dell'anima" (ed. Thule)

di Giuseppe La Russa

Il nome di Giorgio Barberi Squarotti è, per lo studente di letteratura, punto fermo, attraversamento ineludibile in campo critico: lo si incontra nelle sue interpretazioni dantesche, pascoliane, d’annunziane. Ma Barberi Squarotti è anche poeta da scoprire, da prendere in mano per conoscere la sua forte impronta che sin dagli anni ’60 arriva fino al nuovo millennio. Basterebbe questa dimensione temporale – oltre alla coscienza della sua militanza critica - per capire che la sua è una poesia di “attraversamento”, un’attività che consta di molteplici sguardi, di indefinite mani. Forse è proprio vero quanto affermava Eliot, ossia guardare alla «letteratura come sterminata valle di echi», alla poesia come qualcosa che non nasce dal nulla, ma diventa progenie di mille voci, un depositarsi di innumerevoli lustri e appare chiaro come per uno studioso della letteratura, questa stessa lasci forti sedimenti nella personalità, nel modo di sentire e intendere il reale, nei clamori e nei silenzi che fluiscono da ogni pagina; allo stesso tempo, un’attività che si estende per circa cinquant’anni è figlia del Tempo e del suo scorrere, risultato inevitabile di sguardi, sogni, pensieri, letture.
La poesia di Barberi Squarotti va letta proprio in questa direzione, ela silloge Avventure dell’anima appare figlia di questo continuo “accumulo” che spazio e tempo hanno contribuito a formare. Ciò si denota nell’attento sguardo sull’esistenza, sui vari particolari, anche minimi, della realtà, nell’esigenza forse pascoliana di nominare ogni cosa, affinché la parola poetica possa essere significante pienamente aderente al suo significato, pur sfumata nella sua indeterminatezza e vaghezza: oggetti, paesaggi che balzano vividi sulla pagina, realizzati nella loro concretezza, ma che al tempo stesso profumano di ricordi, di  evanescenti e diafani pensieri, che si sfumano nella loro immaterialità.
Da queste poche osservazioni si può evincere la matrice stilistica che avvolge Avventure dell’anima, ultimo testo poetico di Barberi Squarotti ed edito da Thule e in cui avvistiamo questi forti sedimenti, questi piccoli detriti depositati dal fiume inarrestabile della letteratura, classica e moderna,in cui scorgiamo brevi scintille capaci di esplodere, di informare la pagina di un forte lirismo capace, però, di vivere – si diceva - attraverso ogni oggetto più quotidiano, di ogni depositarsi del reale; nasce così – bene esplicitato nella prefazione al libro di Vanessa Ambrosecchio – quella «incontenibile urgenza di teatralizzare a ogni pagina il dramma tra finzione e realtà, fra presente e possibile, fra reale e vero», si plasma una poesia che è al contempo concretezza e distacco, realtà e sogno, sfuggevole spiritualità e carnale concretezza: binomi opposti, ma che sulla pagina trovano spazio e si traducono nell’onnipresente immagine della donna, cerniera tra anima e corpo, cielo e terra, spesso rappresentata nuda, come nel testo L’aquila che vede una ragazza svestita affermare tra quattro filologi che discutono del Cielo: «Io sono la messaggiera degli dei, o , meglio, devo dire di Dio in terra». Come appare ancora nella prefazione di Vanessa Ambrosecchio, il risultato è di una realtà certamente «riscontrabile ma allucinata: non a caso le visioni di Barberi Squarotti sono sempre circoscritte con diaristica precisione dall’indicazione di data e luogo, proprio come se si trattasse di annotare eventi reali».
Si potrebbe dedurre, a questo punto, che è questa l’idea di poesia che Barberi Squarotti promuove, ossia di una attività creatrice, di una forza primigenia capace di leggere e plasmare la realtà, capace di rendere visibili e tangibili, tramite «l’alta fantasia», situazioni oniriche, lande trasognate, lacerti di tempo mai vissuti. Sarà proprio per questo che i testi che leggiamo siano densi di riferimenti puntuali, che descrivano con precisione momenti e luoghi: la parola diventa così chiave di accesso ad una realtà, è via conoscitiva, è poesia essa stessa.
E per manifestarsi nella sua gloria, la parola poetica deve farsi densa, vivida, nitida, corposa: ecco, la corporalità appare come tratto peculiare di questa poesia.
Se il sugello di un momento conoscitivo – cui la poesia conduce – è il nutrimento dello spirito, quel nutrimento stesso non può che passare prima dal corpo, dagli occhi, dallo sguardo, dall’esperienza tattile. Viene in mente un verso di una celebre poesia dell’amato D’Annunzio, La pioggia nel pineto, in cui il poeta fa letteralmente ”vedere” la pioggia che cade e che si schianta sulle “mani ignude”: il contatto con il corpo, espresso in una poesia dall’architettura fonico e semantica mirabile,  è la conditio sine qua non per arrivare al contatto estremo e panico con la natura, è quello il primo passo per l’accesso la mistero.
Si prenda un testo di Barberi Squarotti, Apparsa, all’alba: è il racconto di un sogno, di una visione, ma di un sogno fatto «nell’ora in cui i sogni sono veri» e racconta di una ragazza che entra in stanza, dalla finestra e rappresenta, probabilmente, varie immagini di donna che al poeta si sono offerte e che, si offriranno. Cerniera tra passato e futuro, quell’immagine di donna, lungi dall’essere evocata per sfuggevoli tratta, è figura oltremodo tangibile, si offre nuda nel suo colore bruno di pelle, calda come dopo una corsa.
Ma questa che è la cifra stilistica, si diceva, che sottende al libro, è allo stesso tempo immagine esistenziale, celebrazione vitale: elencare, nominare, toccare e far toccare con mano significa osannare il miracolo del quotidiano, è la presa di coscienza de L’eternità del mondo: «Oh tu che domandi quale senso/ abbia il tuo tempo del passato e adesso/ la piazza di Monforte sotto il sole/ trionfante, i ciclisti che si abbeverano/ al bar e acquistano focacce e ambrosia/ per il viaggio verso l’erta cima/ di Mombarcaro, la ragazza parla/ fittamente col farmacista, trema,/ si fa pallida, alza le mani al cielo/ […] Tutto/ questo e tanto ancora guarda: bastano/ a fare che continui il mondo,/ in ogni/ istante altro si aggiunge, e, stupefatto,/ il Creatore ne è, e con ansia e affanno/ si affretta a registrare (o forse teme/ o è felicità?)//».
Eternità del mondo, eternità di sguardi, volti e azioni dall’infinita prole, infinito attraversamento: ecco celebrato il miracolo della vita, ecco celebrato il miracolo della poesia.

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