venerdì 8 maggio 2015

Emilia Merenda, "Il capezzale", Ed. Kimerik

di Maria Elena Mignosi Picone 

Il Capezzale, titolo di uno dei primi racconti di questo libro della scrittrice Emilia Merenda, è stato scelto da lei come titolo del libro. Ma non sembra una scelta fatta a caso. Infatti in questo si riflette il motivo ispiratore di tutti e dieci racconti.
Per comprendere meglio quanto affermato bisogna fare un accenno al contenuto del racconto. Si impernia su una famiglia, padre medico, madre dedita alla famiglia e cinque figlie di cui l’ultima nata dopo tanto tempo quando la madre aveva quarant’anni. Ora proprio l’ultima, a differenza delle altre, più docili, tutte sposate e rimaste in paese, mostrava atteggiamenti di ribellione verso i componenti della famiglia. Diceva che non poteva avere la mentalità della altre, amava andare fuori (viveva col marito a Roma), e non le interessava niente della casa paterna che le sorelle,che avevano tutte una loro casa nel paese, volevano darle, morti ormai da tempo i genitori. Nei riguardi della madre, poi, la vedeva  solo come una generatrice di figli non come donna  ed, essendo nata lei dopo tanti figli più grandi, si era sentita sempre come fosse sopportata, accettata malvolentieri. Era una sua impressione.
Ma tutto cambia in lei alla scoperta del capezzale. Maneggiandolo e smontandolo, vi trova una lettera scritta dalla madre al marito: “Caro amore mio…quella sera, quando ritornasti a notte inoltrata e piano mi raggiungesti a letto, mi amasti come non avevi fatto mai, come fosse la prima volta. Ricordi? Quando ti ho detto : “ho quarant’anni, vuoi farmi fare un altro figlio? E tu mi hai risposto: “il mio amore per te non è cambiato,  è sempre stato lo stesso, speriamo che possa nascere un’altra femmina. Voglio ringraziarti e dirti d’essere stata felice di avere avuto la piccola Silvia, è stato il frutto del nostro amore, rinnovato nel tempo”. Il capezzale, con la lettera che nascondeva, fa crollare di colpo le sue errate convinzioni; e, sentendosi accettata con amore, non solo cambia, e decidere di mantenere la casa per sé, ma si stabilisce nella sua interiorità un equilibrio che non aveva avuto mai.
Ecco sta qui il nucleo del libro che si potrebbe definire “un canto di rinascita nell’amore”. E questo risvolto, questo tipo di  sbocco,  lo troviamo in tutti gli altri racconti, certamente in situazioni diverse e con personaggi diversi.
Così è nel più lungo dei racconti “La trapunta ricamata”, nel quale l’autrice dimostra veramente  potenzialità da romanziera, in cui la nonna che vive col figlio vedovo e la nipote, nel dialogo, sapientemente architettato tra loro due, racconta della sua vita, dell’amore che ha coraggiosamente perseguito, e tutto ciò sprona e incoraggia la nipote, ostacolata dal padre, a dedicarsi al teatro come ardentemente desiderava, e lo stesso figlio poi si dedica alla pittura, una passione a lungo sopita. Il tutto nella legittima libertà e con piena soddisfazione per tutti.
Lo stesso osserviamo nell’altro racconto, l’ultimo, ‘A fuitina, l’unico scritto in vernacolo, col linguaggio estremamente colorito e pittoresco, tipico del dialetto siciliano, in cui una giovane,con l’amorevole complicità della nonna, riesce ad attuare il suo piano di fuga con l’innamorato,  di contro alla volontà della famiglia, e si costruisce audacemente la sua felicità.
Ecco alla definizione di “canto di rinascita nell’amore”, potremmo aggiungere: “con intelligenza”. E questo lo possiamo dedurre ad esempio dal comportamento dei protagonisti di fronte all’obbedienza. E’ questa sicuramente un valore, ma a condizione che chi comandi, diciamo, dia direttive conformi al bene assoluto, altrimenti è anzi doveroso disobbedire. E i personaggi lo usano bene il discernimento. Vivono la vita con criterio e si costruiscono la felicità con intelligenza. Non cedono ai condizionamenti di mentalità, di convenienza e simili. Sono dei vincitori, e in nome dell’amore.
Il sentimento dell’amore ammanta tutti i racconti. Vi domina sovrano.
Un altro esempio, questa volta, di un cuore inaridito che trova la felicità. “Margherita era una ragazza  semplice, come il nome del fiore di campo che portava e che avevano strappato senza apprezzarne le qualità, perché di poco valore. Soltanto chi possedeva un animo gentile poteva scoprire la dolcezza del suoi profumo…Qualcuno dall’animo gentile era entrato nel cuore di Margherita, riuscendo a percepire la dolcezza di quel raro profumo”.
Ancora il racconto “Il dono” in cui la sventurata vecchietta riesce a superare la sua mala sorte nel dedicarsi agli altri e trova consolazione nell’affetto di una bambina vicina di casa. Dalle sue parole un’analisi meravigliosa del sentimento dell’amore, anche in età avanzata. “Le persone possono dare tanto amore, anche da vecchi; l’amore è formato da un insieme di attenzioni, anche all’apparenza piccole, ma che, messe insieme, formano un grande sentimento…l’amore non si esprime solo col cuore, ma con le parole, con le azioni, e anche con il silenzio, e non avendo più l’agilità e la forza fisica dei giovani, le persone anziane possono dimostrarlo usando altri modi…adesso posso aiutare con le parole e con la pazienza di sapere ascoltare” e conclude “l’amore è come un diamante ricco di sfaccettature, è un dono e a volte è più faticoso prenderlo che darlo. Ma se si ama veramente, non ci si aspetta di essere ricambiati e se da giovani abbiamo amato, diventando vecchi, non ce ne possiamo dimenticare”.
Come possiamo osservare da quanto sopra, rilevante è la presenza dei nonni e delle persone anziane nell’opera di Emilia Merenda. Vi figurano impersonando la saggezza, l’esperienza di vita con le quali essi danno un apporto di vera ricchezza a quanti li circondano, ai giovani soprattutto.
Ed è vera ricchezza questa, non quella che comunemente si intende, quella economica per la quale tanti si rovinano. Con squisita sensibilità e profondità di pensiero Emilia Merenda ribalta la concezione corrente, come nel racconto “La seconda ricchezza” o nell’altro “I bambini nascono tutti uguali”. Ricchezza è una bella famiglia felice, ricchezza è l’effusione di affetto di cui una madre colma la sua bambina; povera è invece la bambina ricca ma sola e con i genitori assenti perché troppo indaffarati.
Un profondo senso di tenerezza suscitano certi racconti dove affiora l’autrice da bambina o da adolescente come in “La festa della mia vendemmia” e “La bottega del barbiere”, come ad esempio nel coinvolgimento della piccola nel pestare l’uva assieme agli altri bambini, incoraggiata dalla presenza rassicurante del nonno, e l’euforia che le si sprigiona nell’animo, per cui il compito diventa un divertimento;  oil taglio delle trecce,   operato dal barbiere venuto a casa, che le fa provare un  senso di pudore, sentendosi depauperata, quasi denudata, senza i suoi capelli lunghi.
Ecco è questo un libro veramente delizioso, ricco di sentimento, di amore, di tenerezza,  ma anche di insegnamenti, ricco di profondità,  in cui balza in maniera  efficace ed incisiva, la intelligenza, la fermezza, la buona volontà.
Un libro gradevole come lettura ma anche educativo e perciò lo giudicherei molto adatto alla narrativa nella scuole. Non dovrebbe mancare nelle biblioteche scolastiche.
Specialmente in Sicilia. Emilia Merenda è siciliana, palermitana precisamente, e ha sempre vissuto nella sua città da cui non si è mai allontanata. Ha respirato nella sua famiglia l’amore alla conoscenza e la passione per l’arte. Sua madre era una maestra-casalinga. Di quelle maestre che curavano non solo l’istruzione  ma anche la formazione umana e morale; il padre era appassionato di pittura e il nonno, che era baritono, di musica e di canto.
L’arte si fondeva con l’amore familiare perchè i momenti a questa  dedicati erano momenti di partecipazione e di aggregazione familiare.
Sposata e madre di due figlie, Emilia Merenda si è dedicata alla scrittura. Ma non è solo autrice di racconti, è anche poetessa, sia in lingua che in vernacolo. Le sue poesie sono state molto apprezzate, motivo per cui ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti e conseguito innumerevoli  premi, tutti primi premi.
Emilia Merenda ha saputo presentare la propria terra, la Sicilia, nelle sue peculiari caratteristiche, sia di mentalità, di condizionamenti ma anche nei tipi umani più comuni come il saggio del paese o  il barbiere, la vecchietta, e così via.
E su tutto risalta l’autenticità della sua voce, della sua ispirazione come mirabilmente esprime nei versi posti in esergo all’opera, “Certi voti”, che non possiamo non riportare: “Certi voti mi parranu e nun sentu / taliu e nun viu nenti, / caminu e nun sacciu d’unni iri / la teste mi machinia / e sula sula / la manu accumincia a scurriri / ‘nta lu fogghiu biancu. / li pinzeri diventanu paroli, / la testa si svacanta / e lu cori finarmenti, / ai rasserena.”
La poesia, come tutta l’opera, sia in versi che in prosa, di Emilia Merenda è pura ispirazione. Ella è  un’artista genuina, trasparente, e come lo è nel pensiero, lo è anche nella espressione. Il suo stile è limpido, piano, scorrevole ed è pregno di armoniosa eleganza.
E’ dunque, per concludere, questo di Emilia Merenda, un libro piacevolissimo, e anche edificante.
E dietro le sue pagine si avverte sempre la presenza dell’autrice. Per chi ha la fortuna, poi, come me, di conoscerla direttamente, quel che colpisce in lei, oltre l’amabilità,  è la sua umiltà. Accanto a lei si sente sprigionare il profumo della umiltà, e con questo , della serietà, perché dove non c’è umiltà non c’è neanche serietà.
Emilia Merenda. Una persona che lascia il segno. Una persona che non si dimentica.

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