di Sandra V. Guddo
“ L’effimero e la Fede “ . Avrei scelto queste due semplici
parole , come sottotitolo a questo straordinario libro, che già dal suo
titolo,rappresentato dal neologismo Boliviario ( Bolivia + diario ) è
testimonianza della fertile creatività del suo autore Gabriele Camelo : una
giovane penna alla sua opera prima, che , con un grande bagaglio culturale
sorretto da una forte motivazione, parte
per la Bolivia come V. I. S. ( Volontario internazionale per la Solidarietà ). Gabriele racconta la sua esperienza di volontario ma ancor
prima cerca di spiegare a chi glielo chiede il perché di quella partenza improvvisa
che interrompe un fruttuoso percorso lavorativo, da tempo intrapreso, che lo avrebbe condotto che alla cosiddetta
sistemazione economica frutto di un
lavoro stabile. Ma lui dà un calcio a tutto questo , vuole cambiare vita ed
andare alla ricerca di se stesso in un cammino impervio che gli riveli ancora
più luminosamente chi è e chi vuole essere. Intanto sa chiaramente chi non
vuole diventare “ io non voglio ritrovarmi la sera
ad accendere la televisione e a stare impalato di fronte al culetto delle
veline e ad ascoltare il rumore degli applausi a comando e il rumore delle
risate finte. Io la smetto . Basta coi rumori. Parto per cercare l’essenza. Musica
. “
Gabriele cerca il proprio
Sé autentico e non banale, iniziando una ricerca escatologica ed esistenziale
che lo porterà a scoprire il vero senso della vita . Sente che è necessario per
lui andare in Bolivia, a Santa Cruz, per
aiutare quei tanti , troppi bambini che vivono per strada e che hanno fatto
della strada la loro casa. Così si susseguono racconti carichi di pathos,
assolutamente veri che condurranno il protagonista – scrittore a ridefinire il
significato dell’essere cristiani oggi, armati della fede che può essere
l’unica via di salvezza in un mondo dove dolore e sofferenza non possono essere
eliminati. Allora che senso ha partire come volontario se non è possibile
venirne fuori ? Se non è possibile cancellare lo schifo morale e fisico dove
crescono questi bambini ?
Gabriel riesce a trovare la risposta “ Io non posso fare a meno, fare
altro che vivere la speranza per lui , per tutti questi ragazzini come Deiby
che “ sa solo picchiare, rubare e -
diventato adolescente – sommergerà il suo dolore in tagli profondi sulle
braccia, come tutti gli altri bambini di strada , che imparano a piangere con
il sangue. “
Gabriel non può fare altro che sperare e pregare per
loro il “ Padre Nostro “ nel suo
stentato spagnolo . In realtà sta facendo molto di più , a mio parere, li ama e
li accetta così come sono questi ragazzini che non hanno mai conosciuto il
calore di una carezza o di un abbraccio , che non hanno mai ascoltato parole di
pacificazione verso un’umanità che sembra avere perduto l’anima oltre che il
corpo , preda della “ Colla “. La colla è la droga che i bambini sniffano o
foglie di coca appallottolate che masticano in bocca per ore per stordirsi e
non sentire i morsi della fame e tutta la sofferenza che si portano dentro.
In tal modo, il nostro autore è nettamente in
antitesi con certi filosofi del cosiddetto “ esistenzialismo “ ; ci riferiamo
in particolar modo a Martin Heidegger , secondo cui la morte viene considerata
come l’unico momento in cui l’uomo, non essendo almeno in questo sostituibile,
è autentico , mentre per tutto il resto della sua esistenza egli non è altro
che “ Geworfenheit “ cioè l’uomo si pone su questa terra come solitudine
ontologica dell’individuo. Gabriel invece sostiene la forza benefica , se non
addirittura salvatrice del dialogo , del comunicare. La rabbia infatti esplode
quando non si sono chiariti con l’altro le nostre esigenze, i nostri dubbi e le
nostre rimostranze . Forte di questa convinzione , utilizza con questi bambini
estremamente difficili, prima di qualsiasi altro strumento educativo, il
dialogo anche se non sempre funziona subito ed occorre supportarlo con premi e
castighi e a volte anche con forme educative basate sul rigore. Dopo un
percorso doloroso in cui Gabriele spesso si sente incompreso ed isolato da
tutti, quando è convinto di avere fallito, quando la pressione esercitata
dall’ambiente ostile e animalesco nel quale si trova ad operare , ecco che
alcune manifestazioni d’affetto di questi bambini lo faranno ricredere e lo
faranno rientrare in Italia, dopo un anno di volontariato, arricchito e con un
senso non di divertimento né di felicità ma con “ una lieve, leggera gioia . “
La narrazione si
svolge sotto forma di diario utilizzando la prima persona, com’è ovvio,
trattandosi di esperienze che lui vive sulla sua pelle, con un linguaggio
brillante e sobrio mai sdolcinato e melenso, senza sbavature o descrizioni
strappalacrime, neanche quando parla dei bambini ospedalizzati e intubati o dei molti altri bambini che hanno subito violenze fisiche e
psicologiche terribili al punto da preferire la strada anziché una famiglia
dove gli abusi e le violenze, al suo interno, sono routine quotidiana: padri
ubriachi che picchiano mogli e figli, che spacciano, rubano e istigano i loro
figli anche piccoli a fare lo stesso. Violenza cieca e bruta che trasforma
questi bambini in esseri in cui il dolore trova sfogo riproducendo i medesimi
alienanti comportamenti dei loro genitori.
Il suo è un linguaggio
colorato che utilizza ad esempio per descrivere il circo “ un circo boliviano che , come tutto il resto
del mondo boliviano, sembra degli anni settanta . La tenda è piena di buchi (…
) la luce del sole, di mattina, trapassa le tende blu e colora
il pulviscolo di blu; la luce degli strobo e dei fari –di notte –anch’essa si
posa sulla polvere dell’arena e colora l’aria del circo boliviano di giallo,
arancione, rosso, viola “.
In quel circo , Gabriele ha avuto modo di esibire i suoi
numeri di giocoliere, di mago, di uomo mangiafuoco, di trampoliere, di scultore
di palloncini, abilità grazie alle quali
egli riuscirà a conquistare molti di questi bambini che vivono la
disperazione quotidianamente ma che troveranno, nelle semplici attività
proposte dal giovane educatore, momenti di gioia ma soprattutto occasione di
apprendimento.
“ Apprender “ è
molto importante, forse può diventare il punto di partenza per iniziare il
Cambiamento , per diventare più forti dentro ed iniziare un nuovo cammino.
Il linguaggio che il
nostro autore utilizza in questo splendido diario è carico di odori e sapori “ Camminare
per le strade della Bolivia significa camminare assaggiando il sapore
lievemente salato della polvere che si deposita in gola ( …. ) significa
camminare e incontrare Deiby, undici anni, occhi rossi, mani sporche, maglietta
sudicia e puzza di piscio e droga nel naso. “
Tante altre storie, altrettanto drammatiche, come quella del
piccolo Deiby, entrano nella vita di Gabriel ( così viene chiamato dai ragazzi
di strada ) come un uragano spogliandolo di tutte le sue certezze ,tranne il
conforto di scrivere la sua esperienza da cui nasce questo diario e la forza
della preghiera che lo ha guidano a superare suoi dubbi, dubbi che possono
rivelarsi , in molti casi, più corrosivi dell’acido muriatico ma che egli
riesce a superare per non sentirsi solo nella solitudine.
“ Boliviario “ ha
meritato un prestigioso riconoscimento con la consegna della targa “ Pietro Mignosi
“ nell’ambito del Premio Letterari
Internazionale “ Pietro Mignosi “ 2015.
E noi lettori e suoi sostenitori non possiamo che
congratularci con Gabriele Camelo per il primo traguardo raggiunto a cui, ne siamo certi, ne
seguiranno altri non meno importanti.
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