lunedì 28 dicembre 2015

Gabriele Camelo, "Boliviario" (Ed. Paoline)

di Sandra V. Guddo 

“ L’effimero e la Fede “ . Avrei scelto queste due semplici parole , come sottotitolo a questo straordinario libro, che già dal suo titolo,rappresentato dal neologismo Boliviario ( Bolivia + diario ) è testimonianza della fertile creatività del suo autore Gabriele Camelo : una giovane penna alla sua opera prima, che , con un grande bagaglio culturale sorretto da una forte motivazione,  parte per la Bolivia come V. I. S. ( Volontario internazionale per la Solidarietà ). Gabriele racconta la sua esperienza di volontario ma ancor prima cerca di spiegare a chi glielo chiede il perché di quella partenza improvvisa che interrompe un fruttuoso percorso lavorativo, da tempo intrapreso,  che lo avrebbe condotto che alla cosiddetta sistemazione economica  frutto di un lavoro stabile. Ma lui dà un calcio a tutto questo , vuole cambiare vita ed andare alla ricerca di se stesso in un cammino impervio che gli riveli ancora più luminosamente chi è e chi vuole essere. Intanto sa chiaramente chi non vuole  diventare “ io non voglio ritrovarmi la sera ad accendere la televisione e a stare impalato di fronte al culetto delle veline e ad ascoltare il rumore degli applausi a comando e il rumore delle risate finte. Io la smetto . Basta coi rumori. Parto per cercare l’essenza. Musica . “
Gabriele  cerca il proprio Sé autentico e non banale, iniziando una ricerca escatologica ed esistenziale che lo porterà a scoprire il vero senso della vita . Sente che è necessario per lui andare in Bolivia, a Santa Cruz,  per aiutare quei tanti , troppi bambini che vivono per strada e che hanno fatto della strada la loro casa. Così si susseguono racconti carichi di pathos, assolutamente veri che condurranno il protagonista – scrittore a ridefinire il significato dell’essere cristiani oggi, armati della fede che può essere l’unica via di salvezza in un mondo dove  dolore e sofferenza non possono essere eliminati. Allora che senso ha partire come volontario se non è possibile venirne fuori ? Se non è possibile cancellare lo schifo morale e fisico dove crescono questi bambini ?
Gabriel riesce a trovare la risposta “ Io non posso fare a meno, fare altro che vivere la speranza per lui , per tutti questi ragazzini come Deiby che  “ sa solo picchiare, rubare e - diventato adolescente – sommergerà il suo dolore in tagli profondi sulle braccia, come tutti gli altri bambini di strada , che imparano a piangere con il sangue. “
Gabriel non può fare altro che sperare e pregare per loro  il “ Padre Nostro “ nel suo stentato spagnolo . In realtà sta facendo molto di più , a mio parere, li ama e li accetta così come sono questi ragazzini che non hanno mai conosciuto il calore di una carezza o di un abbraccio , che non hanno mai ascoltato parole di pacificazione verso un’umanità che sembra avere perduto l’anima oltre che il corpo , preda della “ Colla “. La colla è la droga che i bambini sniffano o foglie di coca appallottolate che masticano in bocca per ore per stordirsi e non sentire i morsi della fame e tutta la sofferenza che si portano dentro.
In tal modo, il nostro autore è nettamente in antitesi con certi filosofi del cosiddetto “ esistenzialismo “ ; ci riferiamo in particolar modo a Martin Heidegger , secondo cui la morte viene considerata come l’unico momento in cui l’uomo, non essendo almeno in questo sostituibile, è autentico , mentre per tutto il resto della sua esistenza egli non è altro che “ Geworfenheit “ cioè l’uomo si pone su questa terra come solitudine ontologica dell’individuo. Gabriel invece sostiene la forza benefica , se non addirittura salvatrice del dialogo , del comunicare. La rabbia infatti esplode quando non si sono chiariti con l’altro le nostre esigenze, i nostri dubbi e le nostre rimostranze . Forte di questa convinzione , utilizza con questi bambini estremamente difficili, prima di qualsiasi altro strumento educativo, il dialogo anche se non sempre funziona subito ed occorre supportarlo con premi e castighi e a volte anche con forme educative basate sul rigore. Dopo un percorso doloroso in cui Gabriele spesso si sente incompreso ed isolato da tutti, quando è convinto di avere fallito, quando la pressione esercitata dall’ambiente ostile e animalesco nel quale si trova ad operare , ecco che alcune manifestazioni d’affetto di questi bambini lo faranno ricredere e lo faranno rientrare in Italia, dopo un anno di volontariato, arricchito e con un senso non di divertimento né di felicità ma con “ una lieve, leggera gioia . “
La narrazione si svolge sotto forma di diario utilizzando la prima persona, com’è ovvio, trattandosi di esperienze che lui vive sulla sua pelle, con un linguaggio brillante e sobrio mai sdolcinato e melenso, senza sbavature o descrizioni strappalacrime, neanche quando parla dei bambini ospedalizzati e intubati  o dei  molti altri bambini  che hanno subito violenze fisiche e psicologiche terribili al punto da preferire la strada anziché una famiglia dove gli abusi e le violenze, al suo interno, sono routine quotidiana: padri ubriachi che picchiano mogli e figli, che spacciano, rubano e istigano i loro figli anche piccoli a fare lo stesso. Violenza cieca e bruta che trasforma questi bambini in esseri in cui il dolore trova sfogo riproducendo i medesimi alienanti comportamenti dei loro genitori.
 Il suo è un linguaggio colorato che utilizza ad esempio per descrivere il circo “  un circo boliviano che , come tutto il resto del mondo boliviano, sembra degli anni settanta . La tenda è piena di buchi (… ) la luce del sole, di mattina, trapassa le tende blu e colora il pulviscolo di blu; la luce degli strobo e dei fari –di notte –anch’essa si posa sulla polvere dell’arena e colora l’aria del circo boliviano di giallo, arancione, rosso, viola “.
In quel circo , Gabriele ha avuto modo di esibire i suoi numeri di giocoliere, di mago, di uomo mangiafuoco, di trampoliere, di scultore di palloncini, abilità grazie alle quali  egli riuscirà a conquistare molti di questi bambini che vivono la disperazione quotidianamente ma che troveranno, nelle semplici attività proposte dal giovane educatore, momenti di gioia ma soprattutto occasione di apprendimento.
Apprender “ è molto importante, forse può diventare il punto di partenza per iniziare il Cambiamento , per diventare più forti dentro ed iniziare un nuovo cammino.
Il  linguaggio che il nostro autore utilizza in questo splendido diario è carico di odori e sapori “ Camminare per le strade della Bolivia significa camminare assaggiando il sapore lievemente salato della polvere che si deposita in gola ( …. ) significa camminare e incontrare Deiby, undici anni, occhi rossi, mani sporche, maglietta sudicia e puzza di piscio e droga nel naso. “
Tante altre storie, altrettanto drammatiche, come quella del piccolo Deiby, entrano nella vita di Gabriel ( così viene chiamato dai ragazzi di strada ) come un uragano spogliandolo di tutte le sue certezze ,tranne il conforto di scrivere la sua esperienza da cui nasce questo diario e la forza della preghiera che lo ha guidano a superare suoi dubbi, dubbi che possono rivelarsi , in molti casi, più corrosivi dell’acido muriatico ma che egli riesce a superare per non sentirsi solo nella solitudine.
“ Boliviario “  ha meritato un prestigioso riconoscimento con la consegna della targa “ Pietro Mignosi “  nell’ambito del Premio Letterari Internazionale  “ Pietro Mignosi “ 2015.

E noi lettori e suoi sostenitori non possiamo che congratularci con Gabriele Camelo per il primo  traguardo raggiunto a cui, ne siamo certi, ne seguiranno altri non meno importanti.

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