di Domenico Bonvegna
Perfino i più ostinati pacifisti
sono convinti che dopo i tanti attacchi, ormai siamo in guerra contro il
terrorismo jihadista islamico. Che sia una guerra di religione o per motivi
economici, è pur sempre una guerra. Senza voler demonizzare tutti i musulmani,
è chiaro anche che il problema riguarda soprattutto l'Islam. Anche se poi si
sostiene che chi commette certe atrocità tradisce il vero islam. Comunque sia
la maggior parte dei conflitti nel mondo ha a che fare con regimi o gruppi
islamici, è soltanto una sfortunata coincidenza? Ovviamente e per fortuna, non
si può affermare che tutti i musulmani sono fondamentalisti e terroristi. Una
cosa è certa, negando la realtà non si riesce ad affrontare la questione in
maniera efficace.
La nostra cultura debolista non
riesce a individuare il nemico.
E qui subentra la questione delle
questioni:“Il problema principale di quel che resta della cristianità
aggredita dal relativismo - scrive Marco Respinti - è l’incapacità di
guardare diritto in faccia il proprio nemico per quello che è, di chiamarlo per
nome”.
La nostra cultura debole e debolista, che non sa
più cosa sia la schiena diritta e che soprattutto
non ha più memoria dei padri, dei santi e dei martiri che ci hanno preceduto
indicandoci la via, si trincera, si schermisce, si nasconde dietro un dito. Utilizziamo certe parole come “islamismo” o
“jihadismo”, pensando che nel frattempo con
i nostri distinguo,“i tagliagole ci faranno lo sconto; ma loro no, tra islam
e islamismo non fanno differenza, anzi il secondo nemmeno sanno cosa sia perché
tutto ciò che conoscono e professano è solamente il primo”. (M.
Respinti, Conoscere l'Islam, così com'è e senza sconti”, 3.8.2016, LaNuovaBQ.it)
A questo proposito lo studioso
milanese, saluta con gratitudine, l’iniziativa del Centro Studi Federico
Peirone di Torino che, in collaborazione con le Paoline
di Milano, che hanno lanciato una collana editoriale sull'Islam,
proprio per conoscerlo meglio. Si tratta di una serie di volumetti monografici
sintetici scritti da esperti che hanno lo scopo di informare“sugli aspetti decisivi della cultura musulmana senza cedere
alle sin troppo facili sirene del pressapochismo urlato, ma nemmeno a quelle
rarefazioni dell’analisi che per volere spiegare tutto finiscono per non
spiegare proprio nulla”.
I primi
due titoli della collana sono abbastanza puntuali e decisivi. Il primo, Corano.
Identità e storia, lo firma don Augusto Negri, docente di Storia dell’islam
nell’Università Pontificia Salesiana di Roma, nonché cofondatore e direttore
del Centro Peirone. Il secondo, Jihad. Significato e attualità, lo si
deve alla penna di Silvia Scaranari, doppia laurea in Lettere moderne a Torino
e in Filosofia a Parma, l’altra cofondatrice del Centro Peirone.
Per quanto riguarda l'Islam e quindi la questione
del Jihad, Respinti, puntualizza:“Il punto nodale, infatti, non è
criminalizzare tutto l’islam ma nemmeno deresponsabilizzarlo completamente,
immaginando che tutto quanto in esso è morte e violenza sia solo una “devianza” (magari
opera, come ora va di moda dire, di “depressi” e “schizoidi”). Va
cioè chiarito bene che se la lotta armata non esaurisce da sola il concetto di
jihad, la “guerra santa” non ne è nemmeno una estremizzazione spuria, eretica e
liminale (per quanto magari numericamente rilevante). Infatti
per la prof. Scaranari,“Se, infatti, il martirio-suicidio è ignoto all’islam
fino al secolo XX, ciò non significa che chi lo pratica oggi con risultati
devastati e destabilizzanti pure per lo stesso mondo musulmano sia solo un “compagno che sbaglia”, o
addirittura un eterodosso. Insomma, se non cominceremo a renderci conto sul serio di ciò che la
realtà musulmana è, continueremo a vivere in un film surreale, e in quel film
magari anche a morirci”.(Ibidem)
Intervista allo storico militarista
Alberto Leoni.
Alberto Leoni, storico militarista,
autore di significative opere di storia sulle guerre e le conquiste islamiche
intervistato da LaNuova BussolaQuotidina.it, ha rilasciato delle
importanti dichiarazioni. Intanto rileva molta confusione, anche tra i capi di
governo in Europa, non hanno chiaro il fenomeno terrorista che stanno
affrontando. Bisognerebbe chiedere a loro a quale modello di guerra sono fermi:“alla
Seconda Guerra Mondiale”, se è così,“sono completamente fuori strada”. Se
invece “intendono una guerra asimmetrica, dove tutte le risorse di una
nazione sono coinvolte, allora hanno ragione”. E per risorse, lo storico,
intende:“risorse culturali, economiche e anche militari. Queste ultime sono
in gioco, in proporzione rilevante ma minoritaria. Abbiamo illustri precedenti
di guerre asimmetriche, non è un fenomeno del tutto nuovo”. Leoni fa
riferimento niente meno che alla Guerra Fredda (1945-1991), guerreggiata
in tutto il mondo, rimasta “congelata” solo in Europa. Una guerra abbastanza
calda, visto il gran numero di morti.“Gli Usa hanno subito 100mila fra morti
e dispersi su fronti extra-europei, loro la guerra l’hanno combattuta
veramente. Noi no: in Europa, Nato e Patto di Varsavia si sono fronteggiati
lungo la cortina di ferro, per decenni”.
Peraltro in quegli anni, i comunisti
stavano vincendo la battaglia ideologica, il filosofo e politologo, James
Burnham, per spiegare questa vittoria, ribalta il motto di von Clausewitz: “la
politica è la continuazione della guerra con altri mezzi”. Sostanzialmente
si possono raggiungere obiettivi militari attraverso metodi non violenti, come
hanno fatto i dissidenti nell'Est, Solidarnocs e lo stesso Papa Giovanni Paolo
II.
Leoni sottolinea l'impegno delle
forze dell'ordine italiane, dell'intelligence che funzionano, anche grazie
all'esperienza della lotta al terrorismo rosso, hanno imparato a dialogare tra
loro. Inoltre si è evitato di creare ghetti, quartieri interamente islamici,
come le banlieau in Francia, o in Belgio come Molembeek a
Bruxelles.
Per lo storico questa è una guerra
che si vince anche nei rapporti spiccioli, quotidiani, come un insegnante che
dà lezioni di italiano ai ragazzini musulmani, soprattutto si cerca di educare
l'universo femminile, da dove si spera che parta una riforma del mondo
islamico.
Il terrorismo jihadista islamista
colpisce principalmente i musulmani.
Chiaramente per Leoni la distruzione
dello Stato Islamico (il Califfato) è fondamentale per vincere la guerra contro
il terrorismo jihadista, anche se poi la questione non è risolta. L'intervista
si conclude con delle osservazioni interessanti. Lo storico è convinto che non
sia vero che “l’islam è una religione di pace e
non ha nulla a che fare col terrorismo”.
Chi vuole, può trovare, all’interno della tradizione e della letteratura
dell’islam, gli elementi necessari a giustificare la guerra. Ma è anche vero
che (e questa è una cosa che non trovo veramente da nessuna parte), l’80% degli
attentati avvengono in Iraq e in Pakistan, dove i morti sono quasi
esclusivamente musulmani. Specie in Pakistan, i
terroristi sunniti uccidono altri sunniti, non c’è nemmeno la giustificazione
dello scontro settario fra sunniti e sciiti”.
A questo punto è interessante
la domanda che si pone Leoni:“Chi
sta realmente combattendo contro il terrorismo? Altri musulmani. Stanno
combattendo la nostra battaglia, come i dissidenti e i cristiani dell’Est
europeo durante la Guerra Fredda. E questa è una cosa di cui dobbiamo essere
consapevoli e convinti. I numeri parlano chiaro, la realtà è testarda: l’islam
è una religione guerriera, ma ha al suo interno gli anticorpi necessari a
resistere al veleno terrorista. L’Isis è quella follia che distrugge i
luoghi più belli e più sacri dell’islam, come i santuari sufi e sciiti, tesori
dell’umanità. E poi c’è chi prova a resistere. C’è l’attentatore suicida che si
fa esplodere per uccidere indiscriminatamente, ma ricordo anche che, nel
gennaio del 2005, durante le prime elezioni in Iraq, in cinque punti diversi di
Baghdad, poliziotti iracheni si lanciarono contro gli uomini-bomba e
preferirono morire loro stessi per sventare la strage”. Secondo Leoni, “Un esempio
luminoso è quello del comandante Massoud, che resistette ai Talebani
e fu da essi ucciso alla vigilia dell’11 settembre 2001. In una preghiera
recitava: “Ringrazio l’Onnipotente che ci ha dato la Sua forza e la Sua
gentilezza, per resistere a questa gente lontana da Dio”. E parlava dei
Talebani. La sua lezione non è mai stata fatta nostra.(“Possiamo
vincere la guerra con i jihadisti”, di Stefano Magni, 2.8.16, LaNuovaBQ.it)
L'importanza strategica di studiare
Massud, il “Leone del Panshir”.
Qualche anno fa ho fatto una ricerca
su Ahmad Shah Massud, il
leggendario “Leone del Panshir”, il “principe filosofo”, che ha combattuto tra
le montagne dell'Afghanistan prima contro l'invasione sovietica dell'Armata
Rossa e poi contro la dittatura islamista dei Talebani. Ho utilizzato uno
splendido saggio, di uno scrittore americano, Michael Barry, “Massud
dall'islamismo alla libertà”, pubblicato da Ponte delle Grazie(2003)
Nel mio piccolo avevo capito
dell'importanza strategica di studiare questa splendida figura del
“comandante-signore”, l’amer-sahib. Infatti, il Massud politico appartiene
a una specie molto rara, Barry addirittura lo accosta all’agire gesuitico, del
contemplativo in azione. Un insegnamento scrive Barry, che“dista anni luce
dagli incubi di un Bin Laden” e dei suoi successori.
Massoud
era diverso dagli altri anche in guerra, il «leone del Panshir» viene
definito, per la gentilezza dei modi e per un“profondo sentimento di pietà e
clemenza” , ha
sempre riservato un trattamento umano ai suoi prigionieri e non è poco nel
clima di lotta senza quartiere che i mujaheddin affrontavano ogni giorni contro
avversari spietati come i russi e poi i talebani.
Rispondendo alla giornalista Colombani,
qualche settimana prima di essere ucciso, diceva:“Noi cerchiamo di togliere alle donne le catene, mentre
i talebani non fanno altro che renderle più pesanti. Così le donne hanno due
nemici: la guerra e la nostra cultura(…) e dando loro la possibilità di
istruirsi che potranno ottenere le armi per
liberarsi”. E in un’altra intervista, sostiene che per lui,“la donna e l’uomo, da un punto di vista umano, hanno
entrambi lo stesso valore. Le donne potranno studiare, ottenere lo spazio che
meritano in ogni tipo di lavoro, esprimere il loro voto nelle elezioni che si
terranno in futuro ed essere a loro volta candidate”.
E qui si può notare perchè il comandante afghano era
una figura ingombrante e fastidiosa e tanto odiata da bin Laden e dagli
islamisti, per questo lo hanno ucciso il 9 settembre 2011. Studiare Massoud è
importante,”La sua eroica contestazione dell’islamismo proviene
dall’interno dell’Islam, si richiama all’Islam più
tradizionale e profondo, un Islam sufi, radicato in una terra, aureolato di
gloria nella lotta, e a partire da ciò arriva a preconizzare la difesa di
libere elezioni e dei diritti umani universali”.Tra
l’altro, secondo Barry,“nessuna personalità a tutti gli effetti musulmana
che abbia lottato contro l’islamismo, in questo XX secolo ormai concluso, può
dire di aver raggiunto la levatura eroica di Massud”.
Il
7 aprile 2001quando Massud approdò a Strasburgo per chiedere aiuto all’Europa,
al giornalista del Corriere della Sera, Ettore Mo, confidò con amarezza: “I governi
europei non capiscono che io non combatto solo per il mio Panshir, ma per
bloccare l'espansione dell'integralismo islamico scatenato a Teheran da Khomeini... Ve
ne accorgerete”. Ce ne siamo accorti tardivamente qualche mese dopo,
l’11 settembre con l’atto di guerra
dell’abbattimento delle “twin towers”.
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