di Sandra Guddo
Una
riflessione sul ruolo del poeta è d’obbligo quando ci si imbatte in un autore
come Pasquale Attard che restituisce e conferisce alla scrittura poetica il suo
valore originario che è, come asserisce Mario Luzi, durante un’intervista del
1989 condotta da Tommaso Romano, insieme denuncia ed annuncio “ in quanto
anticipa quello che è già presente nell’amarezza e nella malattia dell’uomo
contemporaneo. “
Lo
conferma con immediatezza la copertina del libro in questione che ritrae l’
ammaliante immagine di una danzatrice di Singapore a cui si aggiunge il
sorprendente titolo della silloge poetica “ Dal Califfato al Regno “.
Ebbene
esiste uno stretto legame tra l’una e l’altro, un trait d’union che è altamente
simbolico e che traccia il destino dell’uomo come un viaggio diacronico dal
califfato al Regno di Dio. Il libro corredato da una convincente e ragionata introduzione di Tommaso Romano ci rende
immediatamente consapevoli del ruolo dei poeti all’interno della nostra società
“ che può e deve essere coscienza
critica, mai totalmente avulso dal suo tempo anche per combatterne lo spirito,
come testimone a volte isolato, ma conseguente al suo ruolo e alla sua
specifica vocazione e natura. “ Il poeta Pasquale Attard in questa
appassionata silloge dimostra di essere all’altezza del ruolo di poeta anche se
egli è, rispetto a molti altri , un poeta “ certamente
atipico “. Ma è proprio la sua
atipicità che lo rende unico e degno dei tanti premi e riconoscimenti ottenuti
per il messaggio messianico ed escatologico di cui si fa portavoce.
Una
silloge complessa perché contempla svariate tematiche da quelle più
intimistiche, di evocazione leopardiana
come per la poesia dedicata alla madre di cui sente ancora il canto < per le quiete stanze > ma non conosce
quali pensieri affollino la sua mente < a
cui resto forestiero > , alle
altre dedicate agli amici scomparsi dalle quali emerge la fragilità dell’uomo
di fronte agli eventi ineluttabili ma anche la sua forza che deriva dalla
incrollabile Fede, messa più volte duramente alla prova ma mai scalfita, nella
Parusia, nell’avvento del Regno di Dio sopra la Babele che è diventato il
nostro mondo, il califfato che, al suono di un < flauto magico > porta l’uomo < alla sua rovina ( … ) giù per la china, scivola, scivola, vita sua
declina. > ( pag. 33 )
I
toni non sempre sono così controllati; accade che la sua foga creativa diventi veemenza allorché si rende conto che sulla
terra < urla il vento della Gran
Bufera, nera caligine incombe sulla sfera. >
Senza
scomodare Gian Battista Vico pare che alla fine dei corsi e dei ricorsi, siamo
arrivati alla civiltà delle barbarie e che l’apocalisse sia già arrivata : < torbido lezzo / tutto l’aere oscura / treman / le fondamenta / della
vita, / bruciano i popoli, / geme la natura. > ( pag.83 )
L’uomo
ha smarrito la Fede, animato da ambizioni smisurate, dalla smania di successo,
dal denaro < strusciando i potenti ( …
) finché la tua vita non ebbe sentori che di droghe e liquori, e sesso stremato
d’amore privato > da “ Marilyn “ pag. 78.
Il corpo profanato da sostanze stupefacenti,
dimenticando che stupefacente è la nostra natura che ha origini divine e che
appartiene insieme a tutte le altre creature al cosmo di cui fa parte e di cui
è testimonianza; nel califfato, nella Babele di oggi dove tutto ha perduto valore
in nome di un falsificato sincretismo, il nostro corpo è stato ridotto a
semplice strumento di piacere o peggio viene trattato come merce di scambio per
ottenere soldi o successo ed è esposto senza pudore sulle
copertine patinate di giornaletti scandalistici alla moda. Apparire è più
importante che essere !
Talvolta
la disperazione, per una vita svuotata di ogni significato può spingere al
suicidio per potere finalmente farla finita; ma è un errore madornale: con il
suicidio, ammonisce Pasquale Attard ci si consegna ad una nuova vita “ e sarà
vita d’inferno / ospite d’onore in Averno “. ( Pag. 77).
A questo punto è inevitabile non
rievocare i versi del Divino Poeta che condanna, ad una pena eterna i
suicidi, posizionandoli nell’orrida selva nel secondo girone del settimo
cerchio; i suicidi, tra cui si nota Pier delle Vigne, sono stati trasformati,
secondo la legge del contrappasso, in
alberi sterili dai rami rinsecchiti lacrimanti gocce di sangue, che hanno
perduto per l’eternità la possibilità di ricongiungersi al proprio corpo dal
quale si sono volutamente e violentemente separati con l’atto del suicidio,
convinti di poter così porre fine ai propri patimenti !
Ma
anche l’indifferenza e l’ignavia di fronte alle sofferenze degli altri sono altrettanto
disumanizzanti e deliranti . “ E a me che m’importa “ biascica a voce bassa
l’uomo qualunquista quando sente parlare di drammi umani che coinvolgono
persone altre, lontane da loro.
Che
importa se sul nostro pianeta muoiono le madri con i loro figli, se interi
popoli sono decimati dalle guerre e dalla fame, se ci sono zone della terre
sconvolte dai repentini mutamenti climatici. Tutto si può tollerare purché
accada lontano dal < mio sasso > (
pag.32 )
Papa
Francesco nella sua recente enciclica “ Laudato sii “ ha ammonito l’umanità che
sta distruggendo il pianeta, l’unico che abbiamo e di cui siamo gli
amministratori non i creatori, dimenticando che non possiamo lasciare ai nostri
figli un pianeta invivibile ma che abbiamo il dovere di custodirlo per
consegnarlo a chi verrà dopo di noi come il Creato, testimonianza della bontà
del suo Creatore. Ma ormai l’umanità sembra avere dimenticato il suo compito
perpetrando il suo delitto contro la natura e “ Sconvolti i pilastri / di Fede e Ragione / nel cielo volteggia / una
nera infezione . ( pag. 88 )
La
poesia dunque è denuncia dolorosa e drammatica sull’attuale condizione umana
travolta da una società dove la Fede è stata sostituita da uno svilito umanesimo
globalizzato sul quale comunque prevalgono gli egoismi e gli interessi dei
poteri forti, delle lobby che manipolano in modo occulto e subdolo ogni nostro
comportamento.
A
meno che non si resti vigili cercando di non farsi travolgere, in attesa della
Parusia di Gesù che verrà alla fine dei tempi per instaurare il celeste Regno e
stabilire Verità e Giustizia, come canta nella poesia “ Il Ritorno del Sole” Dallo splendore dell’Eterna luce, il Sole
di Giustizia e Verità / viene … ( pag. 89)
Nella
poesia di Pasquale Attard, non c’è soltanto la parte critica o “ pars
destruens” limitata alla sterile
denuncia ma Egli indica anche una via di
salvezza, la “ pars costruens” che è insieme annuncio e profezia attraverso le
liriche “ Rinascite “ “Desiderio di pace
“ “ Balsamo e ristoro” in cui finalmente potrà ascoltare la Parola divina “ Udrò il tuo respiro, /ornato di preghiera, /
senza mattina e sera, / nell’Eden ritrovato. “
Con
questo messaggio di speranza, con l’avvento del Regno si chiude in modo emblematico
la silloge ma sarebbe un torto non
citare anche la lirica d’amore in prosa
“ Metà di me “ , tratta come afferma l’autore, “ da vecchie carte da me recentemente rinvenute nella mia biblioteca, che
sono databili fra il 1970 e il 1973. “ in cui racconta con toni elegiaci,
l’incontro con la donna che è, come Egli è fermamente convinto, quella giusta per lui: la sua metà! ma si tratta
soltanto di un’illusione che si alterna nella drammatica altalena della vita,
alla delusione che si dipinge nel volto di lei che lo respinge.
Un
tuffo nel passato, nel tempo dorato dell’infanzia è costituito dalla delicata
poesia dedicata alla sua maestra “ C’era una volta” , piena di nostalgica malinconia per quel ritmo
lento, con poca tecnologia ma “ lunga di
soste e di riflessioni “. Il rimpianto per una pedagogia, forse un po’
bacchettona ma molto efficace, che si basava fondamentalmente sulla costruzione
di un rapporto affettivo tra la maestra ed il bambino che da lei si sentiva
accettato e protetto.
Ma
ciò che sorprende ulteriormente è l’approdo di Pasquale Attard, incurante delle
mode del momento, ad una struttura poetica classica, foriera di risonanze dei
nostri massimi poeti, che ama ordinate strofe, spesso, quartine i cui versi
sono rimati o comunque ricchi di
assonanze e consonanze e costituiscono, a mio avviso, un ritorno alla tradizione
che resiste vittoriosa alle sfide del tempo.
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