lunedì 1 agosto 2016

Pasquale Attard, "Dal Califfato al Regno " (Ed. Thule)

di Sandra Guddo

Una riflessione sul ruolo del poeta è d’obbligo quando ci si imbatte in un autore come Pasquale Attard che restituisce e conferisce alla scrittura poetica il suo valore originario che è, come asserisce Mario Luzi, durante un’intervista del 1989 condotta da Tommaso Romano, insieme denuncia ed annuncio “ in quanto anticipa quello che è già presente nell’amarezza e nella malattia dell’uomo contemporaneo. “
Lo conferma con immediatezza la copertina del libro in questione che ritrae l’ ammaliante immagine di una danzatrice di Singapore a cui si aggiunge il sorprendente titolo della silloge poetica “ Dal Califfato al Regno “.
Ebbene esiste uno stretto legame tra l’una e l’altro, un trait d’union che è altamente simbolico e che traccia il destino dell’uomo come un viaggio diacronico dal califfato al Regno di Dio. Il libro corredato da una convincente e ragionata  introduzione di Tommaso Romano ci rende immediatamente consapevoli del ruolo dei poeti all’interno della nostra società “ che può e deve essere coscienza critica, mai totalmente avulso dal suo tempo anche per combatterne lo spirito, come testimone a volte isolato, ma conseguente al suo ruolo e alla sua specifica vocazione e natura. “ Il poeta Pasquale Attard in questa appassionata silloge dimostra di essere all’altezza del ruolo di poeta anche se egli è, rispetto a molti altri , un poeta “ certamente atipico “.    Ma è proprio la sua atipicità che lo rende unico e degno dei tanti premi e riconoscimenti ottenuti per il messaggio messianico ed escatologico di cui si fa portavoce.
Una silloge complessa perché contempla svariate tematiche da quelle più intimistiche, di evocazione  leopardiana come per la poesia dedicata alla madre di cui sente ancora il canto < per le quiete stanze > ma non conosce quali pensieri affollino la sua mente < a cui resto forestiero > , alle altre dedicate agli amici scomparsi dalle quali emerge la fragilità dell’uomo di fronte agli eventi ineluttabili ma anche la sua forza che deriva dalla incrollabile Fede, messa più volte duramente alla prova ma mai scalfita, nella Parusia, nell’avvento del Regno di Dio sopra la Babele che è diventato il nostro mondo, il califfato che, al suono di un < flauto magico > porta l’uomo < alla sua rovina  ( … )  giù per la china, scivola, scivola, vita sua declina. > ( pag. 33 )
I toni non sempre sono così controllati; accade che la sua foga creativa diventi  veemenza allorché si rende conto che sulla terra < urla il vento della Gran Bufera, nera caligine incombe sulla sfera. >
Senza scomodare Gian Battista Vico pare che alla fine dei corsi e dei ricorsi, siamo arrivati alla civiltà delle barbarie e che l’apocalisse sia  già arrivata : < torbido lezzo / tutto l’aere oscura / treman / le fondamenta / della vita, / bruciano i popoli, / geme la natura. > ( pag.83 )
L’uomo ha smarrito la Fede, animato da ambizioni smisurate, dalla smania di successo, dal denaro < strusciando i potenti ( … ) finché la tua vita non ebbe sentori che di droghe e liquori, e sesso stremato d’amore privato > da “ Marilyn “ pag. 78.
 Il corpo profanato da sostanze stupefacenti, dimenticando che stupefacente è la nostra natura che ha origini divine e che appartiene insieme a tutte le altre creature al cosmo di cui fa parte e di cui è testimonianza; nel califfato, nella Babele di oggi dove tutto ha perduto valore in nome di un falsificato sincretismo, il nostro corpo è stato ridotto a semplice strumento di piacere o peggio viene trattato come merce di scambio per  ottenere soldi  o successo ed è esposto senza pudore sulle copertine patinate di giornaletti scandalistici alla moda. Apparire è più importante che essere !
Talvolta la disperazione, per una vita svuotata di ogni significato può spingere al suicidio per potere finalmente farla finita; ma è un errore madornale: con il suicidio, ammonisce Pasquale Attard ci si consegna ad una nuova vita  “ e sarà vita d’inferno / ospite d’onore in Averno “.  ( Pag. 77).  A questo punto è inevitabile non  rievocare i versi del Divino Poeta che condanna, ad una pena eterna i suicidi, posizionandoli nell’orrida selva nel secondo girone del settimo cerchio; i suicidi, tra cui si nota Pier delle Vigne, sono stati trasformati, secondo la legge del contrappasso,  in alberi sterili dai rami rinsecchiti lacrimanti gocce di sangue, che hanno perduto per l’eternità la possibilità di ricongiungersi al proprio corpo dal quale si sono volutamente e violentemente separati con l’atto del suicidio, convinti di poter così porre fine ai propri patimenti !
Ma anche l’indifferenza e l’ignavia di fronte alle sofferenze degli altri sono altrettanto disumanizzanti e deliranti . “ E a me che m’importa “ biascica a voce bassa l’uomo qualunquista quando sente parlare di drammi umani che coinvolgono persone altre, lontane da loro.
Che importa se sul nostro pianeta muoiono le madri con i loro figli, se interi popoli sono decimati dalle guerre e dalla fame, se ci sono zone della terre sconvolte dai repentini mutamenti climatici. Tutto si può tollerare purché accada lontano dal < mio sasso > ( pag.32 )
Papa Francesco nella sua recente enciclica “ Laudato sii “ ha ammonito l’umanità che sta distruggendo il pianeta, l’unico che abbiamo e di cui siamo gli amministratori non i creatori, dimenticando che non possiamo lasciare ai nostri figli un pianeta invivibile ma che abbiamo il dovere di custodirlo per consegnarlo a chi verrà dopo di noi come il Creato, testimonianza della bontà del suo Creatore. Ma ormai l’umanità sembra avere dimenticato il suo compito perpetrando il suo delitto contro la natura e “ Sconvolti i pilastri / di Fede e Ragione / nel cielo volteggia / una nera infezione . ( pag. 88 )
La poesia dunque è denuncia dolorosa e drammatica sull’attuale condizione umana travolta da una società dove la Fede è stata sostituita da uno svilito umanesimo globalizzato sul quale comunque prevalgono gli egoismi e gli interessi dei poteri forti, delle lobby che manipolano in modo occulto e subdolo ogni nostro comportamento.
A meno che non si resti vigili cercando di non farsi travolgere, in attesa della Parusia di Gesù che verrà alla fine dei tempi per instaurare il celeste Regno e stabilire Verità e Giustizia, come canta nella poesia “ Il Ritorno del Sole” Dallo splendore dell’Eterna luce, il Sole di Giustizia e Verità / viene … ( pag. 89)
Nella poesia di Pasquale Attard, non c’è soltanto la parte critica o “ pars destruens”  limitata alla sterile denuncia  ma Egli indica anche una via di salvezza, la “ pars costruens” che è insieme annuncio e profezia attraverso le liriche  “ Rinascite “ “Desiderio di pace “ “ Balsamo e ristoro” in cui finalmente potrà ascoltare la Parola divina “ Udrò il tuo respiro, /ornato di preghiera, / senza mattina e sera, / nell’Eden ritrovato. “
Con questo messaggio di speranza, con l’avvento del Regno si chiude in modo emblematico la silloge ma sarebbe un torto  non citare anche  la lirica d’amore in prosa “ Metà di me “ , tratta come afferma l’autore, “ da vecchie carte da me recentemente rinvenute nella mia biblioteca, che sono databili fra il 1970 e il 1973. “ in cui racconta con toni elegiaci, l’incontro con la donna che è, come Egli è fermamente convinto, quella  giusta per lui: la sua metà! ma si tratta soltanto di un’illusione che si alterna nella drammatica altalena della vita, alla delusione che si dipinge nel volto di lei che lo respinge.
Un tuffo nel passato, nel tempo dorato dell’infanzia è costituito dalla delicata poesia dedicata alla sua maestra “ C’era una volta” ,  piena di nostalgica malinconia per quel ritmo lento, con poca tecnologia ma “ lunga di soste e di riflessioni “. Il rimpianto per una pedagogia, forse un po’ bacchettona ma molto efficace, che si basava fondamentalmente sulla costruzione di un rapporto affettivo tra la maestra ed il bambino che da lei si sentiva accettato e protetto.
Ma ciò che sorprende ulteriormente è l’approdo di Pasquale Attard, incurante delle mode del momento, ad una struttura poetica classica, foriera di risonanze dei nostri massimi poeti, che ama ordinate strofe, spesso, quartine i cui versi sono  rimati o comunque ricchi di assonanze e consonanze e costituiscono, a mio avviso, un ritorno alla tradizione che resiste vittoriosa alle sfide del tempo.

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