di Domenico Bonvegna
Nell'introduzione al libro “I
conti con la storia”, Paolo Mieli, tra i tanti episodi riporta la
decisione dell'intellettuale ebreo Alain Finkielkraut di schierarsi a favore
della beatificazione del cardinale Alojzije
Viktor Stepinac, primate di Croazia. La decisione di san
Giovanni Paolo II di beatificare Stepinac fu molto criticata, il progressistume
diceva perchè innalzare agli onori dell'altare una persona accusata di aver sostenuto
durante la Seconda guerra mondiale il regime Ustascia a cui si imputava
di essere responsabile di crimini e persecuzioni contro ebrei, serbi e zingari.
Poi si scopre studiando i documenti che è tutto falso, monsignor Stepinac si è
sempre battuto per la Chiesa e ha preso le distanze sia dal regime fascista che
da quello comunista.
Ma le critiche per Stepinac
sono molto simili a quelle per la beatificazione e canonizzazione di oltre
millecinquecento tra preti suore e religiose vittime della sanguinosa
persecuzione che ha subito la Chiesa spagnola durante la guerra civile
(1936-39) ad opera delle avanguardie anarco-comuniste. Anzi la Chiesa ha dovuto
aspettare troppi anni per beatificare e canonizzare questi uomini e donne,
perchè risultavano scomodi a certi poteri e ideologie e forse anche a certi
uomini di Chiesa.
Lo schiavitù in Africa non è
stata inventata dai bianchi europei.
Tra i temi che il
giornalista tratta nella prima parte del libro, c'è la questione dello schiavismo
africano. Anche per questo tema Mieli sfata alcuni miti che ancora
perdurano su troppi testi. Come al solito Mieli cita diversi lavori, molto
importanti e documentati, tra questi da evidenziare quelli di uno studioso
americano, John Thornton, L'Africa e gli africani nella formazione del mondo
atlantico 1400-1800 e La tratta degli schiavi del francese Oliver
Petrè-Grenouilleau, quest'ultimo ha passato un guaio, siccome la Francia ha
definito lo schiavismo crimine contro l'umanità e impone di ricordarlo e
condannarlo in ogni libro di storia identificandone in modo esplicito i
responsabili occidentali. Grenouilleau nel suo libro ha messo in luce che le
responsabilità nella tratta degli schiavi è stata dei mercanti islamici
(soprattutto da Zanzibar) e di alcune potenze dell'Africa subsahariana che
guadagnavano da quella compravendita assai più degli europei. Per fortuna che a
favore dello scrittore francese si è mosso un comitato di ben seicento tra
storici e studiosi che hanno sottoscritto un documento in cui si affermava che
il compito di chi si occupa del passato “non è quello di esprimere giudizi
morali sugli avvenimenti di cui si occupa, ma soltanto di esaminare con
scrupolo i documenti nonché di interpretarli e metterli in ordine secondo
criteri il più possibile oggettivi”.
Intanto il libro di Thornton
rivoluziona sostanzialmente la storia sullo schiavismo africano. “L'intero
commercio africano con l'Atlantico, inclusa la tratta degli schiavi, fu
'volontario'. Che ben prima del XV secolo la schiavitù era una pratica assai
diffusa nelle società africane, che il loro sistema dava molta importanza ai
rapporti giuridici di schiavitù per fini politici[...]”. Gli “africanisti”,
non hanno studiato bene il passato degli schiavi in Africa, per Thornton, è
necessaria “una revisione sostanziale nella storiografia esistente”, anche
se essa 'abbatterà alcuni pilastri della tradizionale visione di un'Africa
vittima degli europei”.
Pertanto si può sostenere
che la schiavitù in Africa era presente ancora prima dell'arrivo degli europei.
Robert Hughes in La cultura del piagnisteo, scrive che “la più grande
rivolta di schiavi si ebbe a metà del IX secolo”. Erano neri Zang che si
rivoltarono contro i califfi abbasidi musulmani dell'Iraq.
Comunque sia per Hughes,“la
rivolta degli Zang di undici secoli fa dovrebbe rammentarci la totale falsità
delle argomentazioni ora di moda, con le quali si cerca di far credere che la
schiavitù sia stata inventata dai bianchi europei; è vero invece che la
schiavitù era inscritta nelle fondamenta del mondo classico: l'Atene di Pericle
era uno stato schiavista e così pure la Roma di Augusto”.
Per Hughes i mercanti di
schiavi che rifornivano gli emirati arabi hanno operato fino al 1960. E non si
comprende perchè ancora oggi l'Africa chieda riparazioni per la tratta degli
schiavi agli Stati Uniti e all'Europa e non all'Iraq o agli Emirati Arabi.
Un'altra precisazione di Mieli può suscitare discussione: “è falso che il
fenomeno dello schiavismo fosse riconducibile al mondo cattolico”. E
avvalendosi degli studi del grande sociologo delle religioni Rodney Stark,
fa dire che“Ad avere la legge schiavista più umana era la Spagna, seguita
dalla Francia, propria a causa dell'influenza esercitata dalla Chiesa
cattolica[...]”.
Passando ad altro argomento,
Mieli affronta il rapporto del filosofo Giovanni Gentile con la questione
ebraica e con Benito Mussolini. Emerge che Gentile non era per niente razzista,
anzi proponeva in nome della tradizione dell'antica Roma,“un processo di
unificazioni di stirpi e religioni”.
La sanguinosa guerra civile
spagnola.
In chiusura della prima
parte Mieli propone il capitolo sulla guerra civile, facendo riferimento
all'opera di Gabriele Ranzato. Le riflessioni dell'ex direttore del Corriere
sulla complessità della guerra civile sembrano abbastanza super partes. A
questo proposito, Mieli cita Ranzato, quando apre il suo saggio con alcune
significative parole di Indalecio Prieto, il leader socialista che fu ministro
della Difesa della Spagna repubblicana nel corso della guerra civile: “Certo,
tutti vorremmo essere liberi da colpe; ma l'autoassoluzione non può lasciarci
tranquilli[...]. Solo degli imbecilli che si credano onniscienti possono
proclamarsi mondi da ogni errore o colpa, limitandosi di accusare i nemici
della parte opposta o gli amici che sono stati al loro fianco”.
Naturalmente la sintesi di Mieli sulla guerra spagnola di 80 anni fa, non è
facile, gli avvenimenti sono abbastanza complessi. Non condivido il passaggio
quando Ranzato fa riferimento alla Chiesa spagnola, che passa come una
istituzione “insensibile alle aspirazioni di emancipazione delle classi
subalterne”. Anche se poi ammette che “la Chiesa ha subito una vera e
propria persecuzione religiosa”. Infatti il 17 marzo Manuel Azana,
presidente della Repubblica, così scriveva al cognato: “Ho perso il conto
delle località in cui hanno bruciato chiese e conventi”. Ma per una
documentata opera sul martirio della Chiesa spagnola bisogna leggere il saggio
di Arturo Mario Iannaccone, Persecuzione. La repressione della
Chiesa in Spagna, fra seconda repubblica e guerra civile 1931-1939”, Lindau
(2015).
Spartacus non fu lotta di
classe.
Per quanto riguarda la
seconda parte mi sembra interessante il capitolo su Spartaco (Quella di
Spartaco non fu lotta di classe). I primi a parlare di lotta di classe
furono Marx ed Engels, in seguito ripresa da Lenin. Poi c'è uno studio di Elena
Mikhailovna Staerman e Mariana Kazimirovna, La schiavitù nell'Italia
imperiale, che ha influenzato diversi altri studi e perfino la
cinematografia, nonché Spartacus, il famosissimo film di Stanley
Kubrick, che penso di aver visto nella sala cinematografica del mio paese
nativo quando frequentavo le elementari.
Tuttavia è il volume di Aldo
Schiavone, Spartaco. Le armi e l'uomo, che ha smontato gran parte dei
capisaldi della lettura marxista in merito a quella lontana rivolta degli
schiavi. Una rivolta che fece tremare Roma tra il 73 e 71 a.C. Spartaco,
originario della Tracia, una regione dell'attuale Bulgaria, nel momento della
rivolta aveva trent'anni. Secondo Schiavone, Spartaco non aveva nessuna
“coscienza di classe”, del resto nella storia di Roma non è mai esistita.“Tantomeno
gli schiavi ne hanno mai avuta una, per la semplice ragione che nella storia
sociale antica non si può mai rintracciare la presenza di autentiche 'classi',
nel senso moderno[...]”. Addirittura per Schiavone, “la dilatazione
arbitraria del paradigma delle classi 'è stata ed è tuttora una delle forme
peggiori di inquinamento della conoscenza del passato”.
Pertanto, “niente dei
comportamenti di Spartaco ci autorizza a supporre che egli abbia agito
deliberatamente nel nome di tutti gli schiavi di Roma o lottato per un loro
generale riscatto. Di certo non voleva abolire la schiavitù. I prigionieri
romani furono trattati da lui come schiavi e da schiavi vennero fatti
combattere e morire”.
Nella cultura del
Mediterraneo antico, l'idea di una società senza lavoro servile non esisteva.
Un capitolo è dedicato a
Carlo Magno, per Mieli è una figura abbastanza strumentalizzata lungo il corso
dei secoli.“Ognuno ha il suo Carlo Magno”, durante il medioevo, da eroe
a santo, da crociato, a modello del cavaliere cristiano. Patrono degli
intellettuali, e precursore del rinascimento, a vero riformatore, fino ai
nostri giorni come fondatore dell'unione europea.
Nel capitolo, “Le mani
sporche del cardinal Mazarino”, sembra che Mieli giustifichi la corruzione e il
malaffare in politica. Qui ripercorre la storia del genere della depravazione
connessa al potere, arrivando a sostenere tesi politicamente scorrette. Mieli,
cita un bel libro, di Carlo Alberto Brioschi, Il malaffare. Breve storia
della corruzione. Addirittura in altro testo, quello di Bernard de
Mandeville, si afferma che “una società onesta è una società stagnante,
mentre la corruzione genera una circolazione incessante di beni e di status”.
E' impossibile avere una società dell'oro, ricca potente, e allo stesso tempo
tutte le virtù e le innocenze. Veramente significativa la storia di Kurt
Becher, un nazista corrotto, che nonostante tutto ha salvato tanti ebrei,
mentre altri come Eichmann, incorruttibile, arrivava a deportare in qualche
mese più di quattrocentomila ebrei ungheresi.
Il testo continua con altri
capitoli sempre densi di sorprese, capaci di fare i conti con la storia senza
preconcetti o pregiudizi. Sarebbe interessante trattare la terza parte: La
memoria italiana: storie e personaggi di un Paese diviso.
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