di Francesca Luzzio
Leggere il racconto lungo, Vaneddi
di Serena Lao è fondamentale per chi vuole conoscere la Palermo popolare degli
anni cinquanta: gli usi, le tradizioni, i costumi, l’
economia emergono con una limpidezza di
dettato che solo l’intenso amore per Ballarò, suo quartiere natio, poteva
generare. Senza fingimenti letterari,
quali, ad esempio, la proustiana madeleine, la scrittrice dà avvio al flusso della
memoria e rivive il vissuto infantile,
che alberga nei meandri reconditi della
sua essenza ed ha contribuito a generare
la sua attuale, splendida personalità.
Serena Lao con vivacità
immaginifica, ma anche con grande malinconia, riesce a fare riaffiorare
personaggi, eventi e li affida alla scrittura, dando ad essi quell’immortalità
che solo la letteratura riesce a garantire, consegnando così ai posteri un
mondo, una realtà altrimenti per sempre perduta.
Viuzze, case, balconi e banconi del
mercato, usi e tradizioni diventano
coprotagonisti ed acquistano vita in una simbiosi osmotica che, se mancasse,
ridurrebbe l’opera a pura , asettica descrizione. Ovviamente a favorire questo
concerto in cui ogni strumento concorre
con il suo suono è, come già si è detto, l’animo della scrittrice-poetessa che
nel rievocare trasmette a persone, cose ed eventi il pathos che l’anima nel
momento in cui li rivive.
Il racconto lungo, diviso in cinque
sezioni, propone un mondo che oggi non
esiste più, o meglio, esiste, ma è diverso: Ballarò non è più quella di una
volta, né c’è più quell’umanità; i tempi cambiano, la mentalità pure e ciò che è stato può esistere solo nella
nostra memoria . Così la malinconia ci assale perché quell’umanità semplice e
sincera, solidale sebbene povera, che sapeva gioire delle piccole cose si è
dileguata come nebbia al sole.
La scrittrice rivede nel cuore e nell’immaginazione e ci descrive la
casa in cui nacque, le vie in cui da
bambina si muoveva, ma niente ormai risuona della povera felicità che albergava
allora ovunque: nella gente, nelle case, persino nelle basole delle strade che,
ormai maleodoranti e ricolme di cumuli d’immondizia, sembrano emblematicamente
simboleggiare la decadenza attuale.
Lo stile limpido e scorrevole è allietato da parole o frasi in dialetto
che ulteriormente vivificano l’immaginazione del lettore, man mano che
s’immerge nella realtà di un passato e
di un quartiere-mercato di cui ormai resta, quasi, solo il nome: Ballarò!
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