di Lino Di Stefano
Due celebri studiosi, Piero Vassallo e Sergio Pessot, hanno confezionato un pregevole libro – “Viaggio del Novecento” (Solfanelli, Chieti, 2016) – nel quale, con competenza e cognizione di causa, hanno affrontato la questione dell’influsso della pensiero rivoluzionario italiano in Europa, negli anni Trenta-Quaranta, con buona pace di Roberto Calasso, secondo cui la cultura del regime oppresse la cultura con l’aggiunta che “il fascisno schiacciò tutto”.
Naturalmente, niente di più falso solo se si pensi ad uomini del calibro di Niccolò Giani, Guido Pallotta, Nino Tripodi, Arnaldo Mussolini e numerosi altri – quali, ad esempio, Giuseppe Bottai e Carlo Costamagna – visto, altresì, il principio, in economia, della cosiddetta ‘terza via’, l’unica in grado di elidere i gravissimi limiti del liberalismo e del marxismo, rispettivamente ancorati alla legge del profitto e alla presunta eguaglianza fra le classi; queste ultime, ridotte nella peggiore ingiustizia e nella più terribile oppressione.
Il saggio dei menzionati Autori, ben concepito e altrettanto felicemente condotto a termine, esamina le concezioni degli studiosi più in vista dell’epoca non senza l’indagine su un politico del calibro del cancelliere Dolfuss, convinto della necessità della ricerca, scrivono i citati Studiosi, “di una terza ragionevole ‘via’ al bene comune”, intesa come conversione del popolo austriaco nel momento più cruciale della sua storia.
Gli uomini di cultura passati in rassegna da Vassallo-Pessot sono tutti di primo piano, ad iniziare da Charles Maurras, sostenitore della tesi, sono loro parole, che “il grande male non viene dal Comunismo, né dal socialismo, né dallo statalismo radicale, ma dalla democrazia”; lo studioso, aggiungeva, inoltre, che, in quella circostanza storica, la pace derivava dalla riuscita della politica italiana.
Premesso che Henri Massis criticò in maniera radicale il romanticismo e l’occultismo tedeschi, occorre aggiungere che anche Gerges Valois, sulla falsariga di Maurras, apprezzava la visione dell’innovazione corporativa mentre Céline col suo scetticismo sperava di occultare la debole speranza di un mondo in grado di saltare sopra sé stesso. Il belga Marcel De Corte, dal suo canto, simpatizzante del regime mussoliniano, si preoccupava pure del pericolo del disfacimento della comunità moderna.
In ciò d’accordo col norvegese Knut Hamsen, a sua volta turbato, scrivono gli Autori, “dal disagio sociale causato dalla rivoluzione industriale e dall’esodo dalle campagne”; P. La Rochelle, scrittore, saggista e drammaturgo transalpino, incentrò le sue tematiche sul biasimo ai progressisti e ai reazionari, rei di prospettare idee fuori della realtà, riuscendo comunque ad apprezzare il fascismo, definendolo una dottrina capace di assorbire il socialismo senza cadere nell’utopia.
Antonio Salazar non ha bisogno di presentazioni, dato il suo prestigio e considerato che in Portogallo egli emanò una Costituzione fondante il cosiddetto ‘Stato Nuovo’ sulla base dell’insegnamento di Leone XIII e di Pio XI; non solo, egli instaurò anche una Camera Corporativa, formata dai rappresentanti delle municipalità e dai componenti delle categorie sociali, etiche, economiche e culturali della nazione. “La sua dittatura – esplicano Vassallo-Pessot – fu un’adeguata risposta all’aspirazione popolare di affidarsi a un uomo capace di evitare nuovi lutti e nuove privazioni”.
Maurice Bardeche, dopo un’adesione giovanile all’Action Francaise, si schierò sia con Pétain, sia con Mussolini, non senza la puntualizzazione secondo la quale “Un popolo non ha più alcun potere contro i mercanti, se ha rinunciato di dire: ‘ecco i contratti, ecco gli usi questa decima per sedervi’”. Robert Brasillach, nel 1931, abbracciò il regime fascista e dopo aver collaborato con l’Action Francaise, combatté pure nell’esercito transalpino. Ciò non lo salvò dall’accusa di fascismo – che egli aveva definito “romanticismo della giovinezza” – né dalla fucilazione eseguita il 6 febbraio 1945 nel forte di Montrouge. Prima di morire, compose in carcere “La morte in faccia”.
Anche Antonio de Rivera non ha bisogno di presentazioni; nemico giurato del capitale, l’esponente spagnolo appoggiò, da una parte, la politica di Mussolini e nel 1933 fondò il movimento della Falange – quale antitesi al capitalismo e al collettivismo – pagando in seguito con la morte, il 20 novembre 1936, la coerenza delle sue idee politico-sociali.
Il belga Léon Degrelle, di princìpi cattolici, dopo aver fondato, nel 1935, il partito rexista, fu sconfessato da alcuni ambienti cattolici, ma l’anno dopo incontrò Galeazzo Ciano a Roma; inviso a diversi ambienti della sua patria, fatto prigioniero e deportato in un campo di concentramento, riuscì, tuttavia a fuggire rifugiandosi a Malaga, dove morì nel 1994. Famoso il suo libro ‘Furor teutonico’ del 1930. Un altro martire dei fautori delle dottrine eterodosse, come il capitalismo e il comunismo, fu l’americano Ezra Pound, definito dagli Autori “uno fra i più geniali interpreti delle inquietudini e delle aspirazioni del XX secolo”.
Amante dell’Italia ed estimatore della nostra cultura, Pound fu anche un ferrato economista e il suo ‘Abc dell’economia’ (1930) fu uno dei tanti lavori dedicati sia ai problemi socio-economici che alle questioni letterarie, considerato che fu un geniale espositore di Dante nonché di poeti e scrittori italiani e di altre nazioni. Fatto passare per pazzo, fu arrestato dai suoi connazionali e rinchiuso in una gabbia come un animale, sebbene, dopo la detenzione, fosse rispedito in Italia dove visse con serenità fino alla fine dei suoi giorni.
“La Destra di Pound – chiariscono gli Autori – è una destra utopistica, irriducibile alla destra degli affaristi americanofili, in scena nel teatrino politichese. Se ha ancora senso parlare di Destra, occorre rammentare che quella concepita da Pound era finalizzata alla difesa dei valori dell’antica tradizione”. Anche la Romania, com’è noto, ebbe esperienza fascista e Cornelio Codreanu ne fu l’esponente più in vista, iscrivendosi in un primo momento alla Guardia della Coscienza Nazionale e fondando in seguito, precisamente nel 1927, la Guardia di Ferro, più vicina quest’ultima alla Falange spagnola che al Fascismo italiano.
La dottrina di Codreanu, basata su presupposti corporativi, sosteneva opportunamente che l’unica soluzione per una riconciliazione fra le classi non poteva non passare attraverso l’ “amore”; ciò tuttavia non lo salvò dagli odi degli avversari politici e dopo la carcerazione fu assassinato nel 1938, così come, in Ungheria, Ferenc Szalasi – capo delle Croci frecciate – fu condannato a tre anni di detenzione. Quest’ultimo, però, più avanti fu nominato primo ministro dal reggente Horty, difendendo l’Ungheria dalle truppe sovietiche.
Fatto prigioniero e consegnato dagli anglo-americani ai russi, l’eroe magiaro fu fucilato da questi ultimi, nel 1946, gridando: “Viva l’Europa! Viva l’Ungheria”! Un po’ tutte le nazioni europee passarono sotto l’esperienza del fascismo e al riguardo ci piace ricordare alcuni nomi come lo slovacco Mons. Josef Tiso, schierato con le potenze dell’Asse, lo svizzero Georges Oltramare e i rappresentanti estoni, lettoni e lituani, senza dimenticare uomini del calibro del britannico Oswald Mosley, dell’indiano Chandra Bose e di altri catalogati, dai due Studiosi, come “politici e pensatori fascisti dimenticati e/o censurati”.
Nel capitolo XVI, intitolato “Hitler, la diversità germanica”, Vassallo-Pessot non dimenticano di rammentare al lettore che si affermò in Germania anche l’esperienza nazionalsocialista – nata su fondamenti luterano-panteistici – non omettendo di riportare inoltre giudizi di autorevoli studiosi, uno dei quali, il filosofo Michele Federico Sciacca, con tali parole descrive l’esperimento tedesco: “E’ molto pericoloso credere che il nazionalsocialismo sia stato l’aberrazione momentanea di un gruppo di fanatici e, come tale, nemico della vera Germania, o ad essa estraneo, in quanto si giudica come fenomeno passeggero e di superficie quella che invece è stata, nella sua complessità, una delle manifestazioni più sconvolgenti e più tragiche di ciò che da secoli è tentata di essere la Germania”.
Ed ecco la conclusione del filosofo spiritualista italiano: “Hitler non è una breve parentesi antitedesca del suo paese, ma una delle sue espressioni profonde… Hitler non si spiega senza Lutero e il romanticismo tedesco, senza Fichte, Hegel Nietzsche ecc., senza la Germania e tutta la situazione storica e culturale del nostro tempo”.
Un libro tutto da leggere questo di Piero Vassallo e di Sergio Pessot, per comprendere le intricate implicazioni che hanno determinato in Europa le tragiche vicende della prima metà del Novecento.
Nessun commento:
Posta un commento