di Vittorio Riera
La copertina ha in genere un ruolo di protezione del libro o di identificativo di una collana cui il libro viene fatto appartenere. Le copertine grigie della storica BUR (Biblioteca Universale Rizzoli), per fare qualche esempio, sono inconfondibili, si riuscirebbe a identificarle da appena un frammento, e così quelle su cartoncino giallo della BMM (Biblioteca Moderna Mondadori) o ancora quelle cobalto della Sellerio di Palermo. Vi sono infine copertine che, e sono la gran parte, oltre al titolo del libro, offrono una illustrazione lontana dal contenuto del libro stesso, ovvero, come nei libri di avventure per ragazzi, raffiguranti la scena madre del racconto (pensiamo alle copertine salgariane delle ricercatissime edizioni Viglongo di Torino). Potremmo continuare su questa falsariga, ma a noi interessano in questo momento le copertine che non esitiamo a definire ‘intelligenti’, quelle cioè che racchiudono in una mirabile sintesi il messaggio veicolato attraverso il libro. Ed è proprio il caso della copertina del testo che ci apprestiamo ad analizzare: Il mio dialogo con il Can. De Gregorio di Calogero Messina.
Appare evidente che in copertine del genere si intravede la mano dell’autore. Ecco allora il Messina, che è fine storico, fine poeta, filologo e fine scrittore, utilizzare la propria intelligenza per ‘costruire’ una copertina aderente al messaggio che ha voluto trasmetterci con il suo libro, messaggio che, lo ripetiamo, è già nel titolo stesso: “Il mio dialogo con il Can. De Gregorio”. Dialogo, ecco la chiave con cui il Messina ci invita a leggere il suo incontro con un personaggio, un sacerdote, perché, sembra anche dirci il Messina, è soltanto attraverso il dialogo, scevro da ogni preconcetto e presunzione, che si possono aprire e scoprire orizzonti insperati e che si può superare la tragica, e per certi aspetti, selvaggia realtà di oggi. Ecco anche perché taluni incontri è, direi, quasi provvidenziale che avvengano. E così era naturale che il Messina incontrasse un altro dei suoi fari e maestri, Virgilio Titone, o che incrociasse lungo il suo percorso di ricercatore lo storico di fama internazionale Helmut Koenisberger e che i quattro destini – quello del Canonico De Gregorio, di Koenisberger, di Titone e Messina – si intercettassero e si alimentassero a vicenda con un dialogo continuo e un conversare creativo.
Ora, cosa c’è al fondo, al centro del ‘dialogo’ di Messina con il Canonico De Gregorio? Quale l’oggetto di questo dialogo? Chi ne è il destinatario? E qui tanto ruolo e spazio ha un giornale molto diffuso nell’Agrigentino: “L’Amico del popolo” che continua le sue pubblicazioni a sessant’anni dalla sua fondazione. Ecco, il popolo visto come protagonista della storia, che si identifica anzi con la storia. E qui ci si pone un’ulteriore questione: ma cos’è la storia per Messina? La risposta è disarmante nella sua semplicità: la storia deve raccontare della vita del popolo nei suoi molteplici aspetti: antropologici, folcloristici, poetici, letterari e via di questo passo; sono aspetti, questi, che poi ritroviamo puntualmente e coerentemente nella ormai vasta e diversificata produzione dello ‘storico’ Messina, perché tale, docente di storia moderna è stato ufficialmente il nostro amico, ma di una storia umanizzata, umanizzante e non esaltante i grandi personaggi storici o ridotta a pura elaborazione ed elencazione di sterili statistiche. Come riassumere, sembra essersi chiesto il nostro autore su una copertina questo messaggio? Come fare della copertina lo specchio della realtà di cui si discute? In poche parole, come fare ‘parlare’ la copertina?
Messina avrebbe potuto rivolgersi a un disegnatore, ma difficilmente avrebbe potuto trovarne uno capace di soddisfare le sue esigenze. Fa allora tutto da sé e struttura una copertina a guisa della prima pagina di un quotidiano: di spalla, la riproduzione della testata del settimanale citato sopra – “L’Amico del popolo” – dove sia lui e più ancora il Canonico hanno avuto modo di collaborare (il Canonico De Gregorio, si ricorda, è stato per più di vent’anni direttore di quel settimanale), a sinistra, a mo’ di editoriale, la riproposizione di un articolo dal significativo titolo “Pellegrini instancabili”, a destra, sempre di spalla, un altro articolo, a firma Messina, – “Aborto e cultura” – in difesa della vita con la foto di un bimbo appena nato. Al centro in alto, due foto di tre dei protagonisti del dialogo (Helmut Koenisberger, il Canonico De Gregorio, e Calogero Messina), a sinistra in basso, infine, il titolo del libro, in verde. Sull’ultima di copertina, campeggia la bella pacata figura del Canonico colto durante un discorso con dei fogli in mano mentre una delle più significative pagine dell’intero libro, non a caso in caratteri leggibili, gli fa da cornice. Una copertina, come si vede, inusitata, unica, per quel che ci consta, irripetibile, per niente anonima, una copertina, come si è detto, ‘parlante’, che fa un tutt’uno con il libro di cui è a protezione. Peccato che non sia stato possibile fare un riferimento in questa copertina a Virgilio Titone, che è stato uno dei fari, se non il faro, che ha illuminato e continua a illuminare il cammino fin qui percorso dal Messina.
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