di Luca Fumagalli
«Questo libro produrrà senz’altro sensazioni di
sconforto e sarà (per ciò e per altri motivi) oggetto di ogni tipo di critica;
ma mi è sembrato che il mezzo migliore per esprimere valori e principi che mi
stanno a cuore e che io credo veri e infallibili fosse quello di tradurli in
avvenimenti che possono commuovere». Con questa premessa Benson introduce il
lettore nel mondo futuristico de Il padrone del mondo.
Alla fine del XX secolo l’uomo ha raggiunto gli
estremi confini del progresso materiale e intellettuale. La vittoria del
socialismo, l’eliminazione della guerra, la legalizzazione dell’eutanasia,
l’adozione di cibi artificiali e l’uso dell’esperanto come lingua
internazionale sono solo alcuni degli elementi che caratterizzano la nuova
realtà. Con il trionfo dell’umanitarismo laico le religioni sono ormai quasi
completamente scomparse. Il cristianesimo ha ritrovato la sua unità nel
cattolicesimo, ma il modernismo e il complesso di inferiorità rispetto alla
cultura dominante – alimentato da alcuni intellettuali – hanno dato il via a
un’apostasia di massa che ha ridotto gravemente il numero dei fedeli. Il Papa,
pur avendo riacquistato il controllo della città di Roma, da cui è bandita ogni
tecnologia, rimane isolato sul piano internazionale.
I due protagonisti del romanzo non potrebbero essere
più diversi: Julian Felsenburgh, socialista e massone dall’oscuro passato,
governa l’intero Occidente grazie alle brillanti doti di oratore e alla
personalità magnetica, mentre Percy Franklin è uno degli ultimi sacerdoti
rimasti fedeli alla Chiesa, recentemente colpito dalla defezione di tanti
confratelli tra cui l’amico Francis. Il terzo polo narrativo è costituito dai
coniugi Mabel e Oliver Brand, militanti politici e accaniti sostenitori del
progresso; davanti alle prime persecuzioni dei cristiani mostrano però una
disillusione crescente. Mabel, stanca di una vita che appare senza senso, opta
addirittura per il suicidio assistito.
Quando a Westminster viene scoperto un complotto
ordito dai cattolici per far esplodere la cattedrale durante la celebrazione
delle nuove festività laiche, Felsenburgh getta la maschera e decide di
distruggere Roma. Tocca a Percy, nel frattempo eletto papa, affrontare una
situazione apparentemente senza scampo: il misterioso politico americano è
infatti l’Anticristo profetizzato dalle Scritture.
Nonostante la pubblicazione risalga al 1907, Il padrone del mondo è uno
strumento utilissimo per decifrare la contemporaneità. Il legame con il presente
emerge nel momento in cui l’autore individua come male della modernità non
tanto le ideologie storiche – nel testo il socialismo passa rapidamente in
secondo piano – quanto l’umanitarismo, una sorta di religione spuria, senza
Dio, che fa appello a istanze tipiche del cattolicesimo per svuotarle
dall’interno, pervertendole nel significato: come la tolleranza religiosa si
tramuta in laicismo, anche la carità diventa una solidarietà generica e
senz’anima. É un sovvertimento progressivo, lento e silenzioso, teso a ridurre
tutto a un livello meramente umano. Ben presto anche la patina pacifista si
sgretola per lasciare posto all’intolleranza e alla violenza.
L’essenza dell’umanitarismo, il nuovo pensiero unico
dominante, è la sostituzione di Cristo con l’uomo. È lo stesso orribile sofisma
che è a fondamento del grande rifiuto di Satana e del peccato d’Adamo. Il «Non
servirò» del demonio è il motto del mondo distopico immaginato da Benson. Come
ricorda il filosofo Augusto Del Noce, che ebbe a lodare la forza profetica del
romanzo, «la secolarizzazione cerca la propria giustificazione ultima col porsi
come strumento, unico strumento, di liberazione e di emancipazione umana da
ogni forma di alienazione e di servitù».
Anche il riferimento alla massoneria, un’istituzione
iniziatica sorta nell’Inghilterra del XVIII secolo, si inserisce nel medesimo
tracciato. Il mondo pronosticato dallo scrittore inglese obbedisce alla logica
agnostica della filosofia massonica per cui l’inconoscibilità del divino è
presupposto all’impossibilità di una legge morale condivisa. Il nuovo e
corrotto umanesimo è quindi l’esaltazione luciferina dell’egoismo,
dell’elevazione dell’uomo a re e giudice di se stesso. La massoneria detiene il
ruolo di fucina delle idee, una sorta di contro-Chiesa il cui compito è quello
di spargere i germi della rivoluzione anticristiana. Dietro l’aspetto innocuo
si nasconde il lato oscuro di una malattia spirituale che contamina il globo.
La pace globale non è l’esito della cristianizzazione, come avveniva ne L’alba di tutto, ma il frutto di un’obnubilazione
collettiva, di un diffuso disinteresse verso qualsiasi ricerca di senso e
significato: quando Mabel si confronta seriamente con le aspirazioni del suo
cuore, scopre un vuoto così incolmabile da spingerla al suicidio.
L’annientamento di ogni residuo di umanità anticipa di poco la distruzione
della terra.
La venuta di Cristo, al contrario di quella di
Felsenburgh – il cui nome suggerisce una sinistra ambiguità – provoca una
profonda frattura tra uomo e mondo: «Non crediate che io sia venuto a portare
la pace sulla terra. Non sono venuto a portare la pace, ma la spada» (Mt. 10,
34-38). Una separazione che, se da una parte genera il dramma, dall’altra
restituisce il sapore della vita, fatta di quegli imprevisti che avvicinano
alla consapevolezza di dipendere da altro. Al contrario, nel libro si assiste
alla negazione di sé e dei propri desideri con il risultato che i protagonisti
diventano rarefatti, fantasmi simili agli abitanti della Terra desolata di T. S. Eliot.
Il padrone del
mondo, l’appellativo
biblico dell’Anticristo, è un titolo così evocativo da assommare in sé il senso
dell’opera narrativa di Benson. Felsenburgh rappresenta al massimo grado la
tentazione del male e dell’autocompiacimento tipica di un’anima ferita dal
peccato originale, la stessa tentazione che fu dei sovrani inglesi ai tempi
della Riforma o degli uomini e delle donne dell’Inghilterra vittoriana.
In egual misura il romanzo nasconde dietro i colori
della finzione letteraria una cristallina fotografia del XXI secolo. La nuova
religione, con feste e riti codificati celebrati da sacerdoti apostati, come
tante mode contemporanee è un pallido tentativo di corrispondere alle
aspirazioni spirituali dell’umanità. L’opulente società del futuro, al pari di
quanto scritto nel libro del profeta Daniele – a cui Il padrone del mondo ammicca in più
punti – «sarà la desolazione dell’abominazione» (Daniele 9, 27).
Quando fa la sua comparsa l’affascinante politico americano,
si è toccato il fondo della malvagità. Alimentato dai peccati delle nazioni,
l’Anticristo può finalmente incarnarsi per condurre l’attacco finale al
cristianesimo. Con sarcastica inversione, tutti lo acclamano come il salvatore
e qualcuno già lo considera un dio, il «dominus et deus noster».
L’unica residua opposizione è costituita da Percy
Franklin, nascosto a Nazareth con i pochi cattolici sopravvissuti alle
persecuzioni, dove tutta la storia della salvezza ha avuto inizio. Felsenburgh
organizza quindi un piano d’attacco per annientare i pochi superstiti; ma,
esattamente come per Cristo agonizzante sulla croce, anche per la Chiesa il
momento della sconfitta coincide con la più grande vittoria. Il male non può
trionfare. Mentre le bombe sganciate dagli aerei radono al suolo il piccolo
villaggio della Galilea, si compie ciò che era stato profetizzato: giunge la
fine del mondo, la seconda venuta di Dio, la Vita eterna per tutti coloro che
hanno sofferto in Suo Nome. Alla fine le porte dell’inferno non hanno prevalso.
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