di Sandra Guddo
Nel mondo della
globalizzazione suscita stupore se non addirittura sospetto affermare con tutta
tranquillità che non ci si sente “ cittadino del mondo “ né tantomeno invaso dallo spirito cosmopolita.
Un’affermazione forte che distingue in
un modo o nell’altro chi ha avuto l’ardire, andando contro vento, di
pronunciare una frase siffatta.
Ma se a farlo è
Tommaso Romano allora tutto ciò ha un senso!
“ L’Elogio della
Distinzione “ infatti vuole essere ed è l’elogio rivolto a chi si distingue
dalla massa amorfa ed uniforme, di chi si tira fuori dalla greppia, prendendo
posizioni nette ed inequivocabili, fuori dai sofismi e dall’ambiguità, di chi
pur ricercando la sintesi, rifiuta il sincretismo che attualmente sembra
allargarsi a macchia d’olio su tutte le questioni più importanti del mondo: da
quelle politiche a quelle economiche e perfino
alle questioni che afferiscono alla sfera più intima e privata del genere umano
.
Ciò
inevitabilmente va a toccare temi delicatissimi come l’unione dei generi, una
volta rigorosamente distinti ed identificabili, coinvolgendo, in tale miscuglio
shakerato, lo stesso concetto di genitorialità che, come ha recentemente
affermato Jorge Mario Bergoglio, rappresenta un attentato alla famiglia e alla
tradizione e che seguendo queste idee “si rischia un passo indietro “ , fino ad
arrivare sull’orlo del baratro!
In tal senso
vanno anche i recenti studi di Aurelio Pace e Carlo di Pietro che nel loro
volume “ Gender ascesa e dittatura di
una teoria che non esiste “ ( 2016) liquidano con argomentazioni lineari la
teoria del gender che non ha trovato riscontri scientificamente dimostrabili,
riaffermando il concetto della distinzione dei generi così come sociologicamente
sono riconoscibili. Come ha sottolineato, fuori da ogni posizione omofoba, Giuseppe
Bagnasco nella sua recensione, “ il
progressismo ha condotto all’innaturale livellamento sessuale “ portando
l’umanità ormai imbarbarita al disconoscimento dei valori fondanti della
società civile.
Anche in tal
senso va dunque elogiata la distinzione, “ fermo restando che attraversiamo tempi
apocalittici che hanno il prepotente obiettivo del sovvertimento verso una
profonda, perniciosa modificazione antropologica”.
Tommaso Romano non esita, contro tutte le
recenti teorie che parlano di un’uguaglianza falsamente umanitaria, a sostenere
che è aristocratico colui che si distingue.
Non a caso Egli,
nel Florilégio di Autori che costituisce la seconda parte del suo corposo
volume, riporta l’energica affermazione di Nicolas Gomes Davila “L’uguaglianza è la condizione psicologica
preliminare delle carneficine fredde e scientifiche”.
Concorda con tale affermazione Giovanni Taibi
nella recensione all “ Elogio “ in quanto chiarisce che “ l’uguaglianza intesa
come obiettivo supremo da raggiungere per un popolo che vuole definirsi civile
“ è autodistruttivo per lo stesso popolo.
Chi si distingue è un aristocratico inteso non
nell’ accezione più diffusa che viene attribuita a tale sintagma la cui etimologia
è nota a tutti: “ aristòs e cratòs” cioè potere ai migliori che ha portato,
durante i secoli, ad una significazione della parola aristocrazia restringendola
fondamentalmente alla sola sfera politica; tanto è vero che nell’antica civiltà
greca vennero coniate altre parole per delineare tutte le possibili forme di
governo della polìs: monarchia, oligarchia e democrazia.
E’ utile non
trascurare questi concetti – base ma nell’ “Elogio della distinzione “ il
filosofo Tommaso Romano conduce un’analisi ad ampio spettro che allarga il
concetto di aristocrazia, finora intesa
come una delle tre classi sociali in cui era diviso il popolo, accanto a
borghesia e terzo stato o proletariato, al concetto di distinzione; ciò in
quanto sono i migliori che si distinguono per i loro meriti, rivelando nobiltà
d’animo, signorilità, gentilezza e sono interpreti di cortesia e cavalleria, di
raffinatezza e buongusto contro la dozzinalità, la serialità, la rozzezza e la
volgarità. In sintesi, per dirla con il sommo Poeta “ La stirpe non fa le
singolari persone nobili, ma le singolari persone fanno nobile la stirpe “.
Sono i migliori che si affermano in un campo o
nell’altro attraverso il talento che è innato; ma ciò non può bastare: occorrono
impegno e determinazione per evitare che il proprio talento non venga sprecato,
oscurato, sepolto da una vita ordinaria e senza una giusta ambizione. Già in
una bellissima ed esemplificativa parabola del Vangelo, narrata secondo Matteo ( 25, 14- 30 ) si parla dei talenti, monete in quel tempo in
circolazione. Il messaggio della parabola è inequivocabile: va lodato colui che
sa far crescere il proprio talento e non chi, per eccessiva prudenza o forse
per pigrizia, lo seppellisce senza ricavarne nel tempo alcun frutto.
Ecco che allora
la nobiltà d’animo può appartenere a chiunque anche al più piccolo ed
insignificante degli uomini purché si distingua per l’impegno, per la serietà,
per la professionalità e, consentitemi di aggiungere, per l’amore con cui
svolge il suo ruolo nella visione complessiva del cosmo, “ la cui bellezza, a ben guardare
si può rinvenire anche in un filo d’erba “.
Tommaso Romano
non ci tiene proprio ad essere genericamente ritenuto “un buonista” o peggio “cittadino
del mondo”, non di questo mondo almeno, in cui i poteri forti di
potenti lobby economico – finanziarie hanno iniziato uno strisciante
appiattimento della distinzioni: addio alle ideologie in antitesi, addio alle
peculiarità di un popolo in nome di mode che appiattiscono i nostri gusti anche
a tavola e ci vengono propinati cibi seriali
a favore di un’economia senza scrupoli che, nel tempo ha saputo
indebolire i popoli trasformando le
nostre democrazie in palcoscenici della menzogna ; sono state precarizzate le
nuove generazioni rendendo i nostri giovani una categoria indifesa di fronte al
problema del lavoro; è stata impoverita la media e piccola borghesia per non
parlare dell’aristocrazia che è stata confusamente cancellata con un colpo di
spugna sostituita da una feroce dittatura sovranazionale che conosce una sola
parola: il profitto !
Ma Tommaso Romano non ci sta ed in coerenza con
quanto esposto nel suo “ manuale “ di sopravvivenza, preferisce restarsene in santa pace nella sua
casa, dove ogni cosa ha un valore intimo e spirituale in compagnia dei propri
cari e di pochi e selezionati amici con i quali sarà possibile incontrarsi
anche al Cafè de Maistre a discorrere di filosofia o di storia o semplicemente
a gustare un buon caffè o qualche delizia pasticciera, ammirando il mare che si
scorge dalla vetrate in stile liberty del cafè.
Da Lucio Enneo
Seneca il nostro Autore ama ribadire che ha imparato l’esortazione ad una vita
umile e sobria ma il grande pensatore iberico non poteva ancora sapere che
la sobrietà, un termine oggi molto
apprezzato, in fondo non è che una delle quattro virtù cardinali: la
temperanza. Così la pensa Antonio Nanni nella sua opera “ La sobrietà come
stile di vita” ( 2003 ) allorché afferma che “ La sobrietà è il nuovo nome
della temperanza ( … ) chi agisce nella temperanza non è smodato, eccessivo,
ingordo, sregolato ma è persona semplice ed essenziale in tutto, perché sa
ridurre, recuperare, riciclare, riparare, ricominciare. La sobrietà è in questo
senso la virtù del futuro “.
Risulta quindi
necessario cominciare a liberarsi da tutto ciò che è di troppo, dalle
ridondanze per puntare all’essenziale. Tale leggerezza soltanto apparentemente
sembra contrapporsi alla ponderosità dell’opera ( quasi duecento pagine ) ,
divisa in tre corpi :
1.
Saggio
dell’Autore che è, come Egli stesso la definisce, una “ Apologia della
Condizione Singolare “.
2.
Florilegio di
Autori, arricchito da immagini che ritraggono gli antichi Cavalieri disposti a
tutto, pur di salvare i Luoghi Santi dal dominio degli infedeli, pronti a
combattere fino alla morte “ perinde ac cadaver “.
3.
Saggio di Amadeo
– Martin Rey y Cabieses, composto appositamente per “ L’Elogio della
distinzione”.
Tommaso Romano,
nell’Elogio della Distinzione, conduce una speculazione filosofica che diventa
un vero manifesto di ecosofia in quanto attribuisce grande valore all’ambiente
ed in particolare alla casa in cui si vive che diventa lo specchio della nostra
scala valoriale. Un’abitazione, anche modesta purché sia personalizzata da “cose
non oggetti “ raccattati dove capita ma scelti ad interpretare il nostro gusto, le nostre passioni ed
inclinazioni, in sintesi il nostro
percorso esistenziale fino a conferire alla nostra casa un’impronta
inconfondibile, un’anima.
Rispetto alle
opere precedenti nell’ Elogio della Distinzione, la dissertazione filosofica,
pur nella complessità del suo pensiero, diventa quasi colloquiale e si notano
un alleggerimento del fraseggio ed una lievezza narrativa che rientrano, a mio
parere, in quel naturale percorso ascetico ed ascensionale che Tommaso Romano
sta compiendo da” quel buon cristiano di fede qual è “ per ritornare al punto di partenza, là dove
tutto ha avuto Origine.
Il libro si
chiude nel modo migliore, con un cortese Congedo al Cafè de Maistre per
ritirarsi, come un anacoreta occulto, nel silenzio di un eremo immaginifico, in
attesa e nella speranza del ritorno alla Tradizione, del divino intervento
provvidenziale e della Parusia.
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