di Giuseppe La Russa
Una storia come tante altre, un storia
come nessun’altra.
In fondo è la vita di ogni essere umano ad
essere costellata di elementi comuni ad ogni altro individuo ed eppure così unici ed
irripetibili da appartenere ad un solo ed esclusivo battito di cuore.
Il racconto che ci appare davanti quando
leggiamo La casa nel vento di
Francesca K. Matina, giovane donna originaria di Lampedusa, non pretende di
darci verità universali, porci storie mirabolanti o dissertazioni sui massimi
sistemi: in settanta pagine troviamo la narrazione di una storia semplice, che l’autrice
stessa definisce banale sul finire del libro, eppure, proprio per questo
motivo, oltremodo pregnante, gravida di quella umanità che ci appartiene giorno
dopo giorno. In fondo è questa la promessa della lettura e della letteratura,
riscontrare in un testo, come diceva Fortini, una possibilità di noi stessi, la
possibilità di trasformare la memoria in costruzione dell’uomo, aggiungerebbe
Ezio Raimondi. Ecco il perché fondante di questa lettura che a primo impatto
può apparire una comune esperienza a tantissimi ragazzi. La storia, infatti, è
facile da sintetizzare, ma forse impossibile da definire: si può definire in
poche righe la vita? È il racconto di una giovane diplomata che da Lampedusa si
trasferisce a Palermo, nel frastuono del capoluogo siciliano, per studiare
giurisprudenza e che, giorno dopo giorno, scopre quanto invece sia la filosofia
la sua risposta.
Poche parole, dunque, per riassumere i
tratti salienti, ma infiniti sono forse i temi da scovare: si parla certamente
di vocazione, di libertà, della ricerca di un Senso, di casa, di crescita, di
speranza.
Nel titolo, poi, è riassunto l’anelito di
ogni pagina: la ricerca di una casa, di una dimora fissa e stabile per il
proprio corpo e soprattutto per la propria anima, per il proprio spirito, per
il proprio ànemos, parola greca da
cui deriva il termine ‘anima’ latino, ma che originariamente ha proprio il
significato di ‘ vento’, l’elemento tra i più liberi nella e della natura:
«credo ci sia un momento ben preciso, nella vita, dove si diventa grandi per la
prima volta», scrive Francesca Matina. In quel momento in cui l’autrice
racconta della sua “fuga” da Lampedusa verso Palermo c’era il taglio del
cordone ombelicale che la teneva legata alla famiglia e a Lampedusa, ma allo
stesso tempo il forte desiderio di inventare
e plasmare ogni giorno la vita secondo le proprie pulsazioni e le
proprie sincronie.
Ma ciò di cui il libro più fortemente
parla è, probabilmente, il concetto di vocazione. La forza esplosiva di questo
termine è tale da invadere interamente l’animo di chi legge quelle poche e
semplici righe, quelle pagine dettata da infinita sincerità, quelle parole che
sembrano un romanzo ma non lo sono, che appaiono come un diario ma non lo sono,
che si leggono come una lunga poesia, ma forse non lo sono, ma che sanno
prendere vita naturalmente e nella più candida sincerità. Cosa significa
vocazione, quel termine invocato anche da Fabrizio De André in una nota
canzone? Significa, direbbe il fra Cristoforo di Manzoni, sapere di trovarsi in
quel posto in quel preciso momento ed essere coscienti che quello è l’unico luogo
dove ci si deve trovare: riuscire ad individuare proprio quel determinato luogo
è, probabilmente, una delle chiavi della nostra esistenza.
Così Franscesca racconta di una inquietudine
continua, di una chiamata silente ed impetuosa, quella della filosofia, per
l’appunto, mentre frequentava le aule della facoltà di giurisprudenza: evidenti
sono state le difficoltà nel dover annunciare la scelta ai genitori, ma quella
era e rappresenta la casa nel vento: «la filosofia nasce dai dubbi e, proprio
per questo, chi la sceglie non deve esaurirli mai, altrimenti finirebbe per
arrestarsi a conclusioni necessarie»; in una lettura che spedita porta dal
punto inziale a quello finale, Francesca Matina riesce a mostrarci la
costruzione di una identità, la poesia della solitudine di una studentessa
universitaria, il fuoco che quelle viscere hanno saputo far divampare e
alimentare, quella passione eterna ed indomita madre di ogni azione.
La filosofia porterà ad insegnare in
un’aula di una scuola di un piccolo paesino del Nord Italia? La possibilità è
alta, così come è capitato a chi scrive il presente articolo, ma non esiste
limite nel cuore di chi ha saputo riconoscere la voce del vento, il grido
generativo delle proprie mani, non esiste confine per chi ha guardato negli
occhi e ha dialogato con il proprio desiderio, per chi ha dato voce al proprio
pianto, per chi ha saputo dare un senso ad ogni alba, per chi ha riconosciuto
la limpida via che sa portarti a casa.
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