di Vito Anzelmo
Quando Nanda Brancato citofonò erano da
poco passate le 14,30 due fumanti piatti di pasta col
broccolo arriminatu erano appena
arrivati sul tavolo. Scesi al portoncino, la invitai a salire ma mi disse che
era cosa breve e ci fermammo sulla soglia.
Mi chiese se volessi dire due parole
alla presentazione di un suo libro...
Le dissi subito di si.
E comunque pensavo che avesse scritto
qualcosa sulla nostra interessante biblioteca che ormai da molti anni è sotto
la sua cura.
E invece. Invece mi sono ritrovato tra
le mani un titolo bellissimo, accattivante, una copertina firmata da Enzo
Puleo, un artista che conosco da tempo e che ho sempre apprezzato. Si, i titoli
non sono importanti solo per i romanzi. Sono belli quando a prima vista
intrigano ma, anche, come in questo caso, quando riescono a sintetizzare i
contenuti delle pagine che ancora non abbiamo letto.
Così anche la scelta di quegli arcaici
caratteri sicuramente gioca ruolo non secondario nel catturare l’attenzione del
lettore.
Insomma il discorsetto andò per le
lunghe perché la cosa mi incuriosiva.
Anche non calda la pasta col broccolo arriminatu si può mangiare.
E il pomeriggio passò a leggere tutto
d’un fiato il libro di Nanda.
Se IL CORPO è il corpo in tutta la sua
materialità, I SEGNI e LE PAROLE attengono istintivamente all’ANIMA che il
titolo sembra assolutamente ignorare e invece mostra nuda; più nuda di quanto
è quel corpo statuario delineato nel misterioso tratto azzurro da Enzo Puleo.
E se LE PAROLE e I SEGNI sono tracce
indiziarie di quel CORPO che ne oltrepassano il tempo e la fragilità la MANO
dell’Homo dalla notte dei tempi è lo strumento che trasmette. Trasmette poteri,
autorità, scatena ardente l’energia. E’ una mano virile, non necessariamente
maschile, una mano che ha vissuto, che ha sperimentato intensamente gioie e
dolori, esperienze di una lunga vita, una MANO che ha raccolto e che ha dato.
Mi ricorda le mani di Madre Teresa
nonostante, a contenuti conosciuti da una prima sommaria lettura, possa
sembrare un accostamento non del tutto ortodosso.
Evidentemente ancorché ‘u scantu quand’ero piccolo l’ho fatto più
di una volta e ricordo i nomi da zzà Ciridda
e da zzà Maruzza e perfino le loro abitazioni c’u a menza porta; e me nanna Catarina chi mi ci purtava, tempu di
mmernu, tinennumi sutta u sciallu... (immagini che riaffiorano tutto ad
un tratto dai profondi meandri della memoria), sull’argomento sono perfettamente
asciuttu: un ossu.
Ho accettato l’invito non solo a titolo
di cortesia, sicuramente dovuta, quanto perché dopo una più che trentennale
frequentazione di archivi, di ore passate ad ascoltare storie, morto Ciccio
Brancato, malgrado tutto almeno per età, sono il veterano degli studiosi
ciminnesi. Questo mi autorizza a dire due cose. Ciminna è un paese antico (e
questo mi fa piacere sentirmelo dire dagli amici di Baucina e di Ventimiglia,
di Bolognetta e Villafrati o dai Campofilicesi e dai Menzujsara), nonostante
moltissime perdite, conserva un patrimonio archivistico di eccezionale valore
storico, una fonte inesauribile di notizie. Ci si può cavare di tutto, dalla
storia sociale all’economia, dalla toponomastica alla scrittura di biografie
(quanti illustri ciminnesi emergono dalle carte e bisognerebbe dar loro merito
e tramandarne memoria). Sicuramente merito al dottor Graziano ed al Meli ma,
come quest’ultimo diceva, pur riconoscendogliene non pochi, su quanto scritto e
tramandatoci dall’illustre medico, bisogna ritornare.
Ciminna non è solo un forziere, un
giacimento culturale.
A quelle casse ferrate, a quelle miniere
Graziano ha tolto i sigilli, ha smantellato il cappellaccio, bisogna che siano esplorati;
ed è forse venuto il momento.
La diffusa scolarizzazione ha dato
possibilità a molti di acquisire saperi e professionalità, competenze
scientifiche, emerse con promettenti risultati (e qui se volutamente non li
menziono non significa escludere chi si dedica alla letteratura strictu sensu i Poeti i Romanzieri) penso
quindi ad Agostina Passantino, Giuseppe Nigliaccio e Domenico Passantino, ad
Andrea Masi e agli annunciati lavori di Liliana Ingraffia e Maria Urso, ai
primi esiti editoriali di Rosario Alesi e Giovanni Sapore, all’attività di Vito
Mauro solo per citare alcuni nostri ciminniti che da meno di un decennio vanno
facendo strada.
A questa eccellente e promettente
compagnia si aggiunge Nanda Brancato che da Ciminna ha saputo cavare cose nuove
anche guardando al Graziano, come tutti facciamo, inevitabilmente, occupandoci
dei tanti aspetti della cultura ciminnita.
Intanto una cosa va detta, a parte il
fatto che la capacità di sintesi oltre a testimoniare di una conoscenza
profonda e sapientemente padroneggiata dell’argomento, esposto usando
un’armamentario scientifico e metodologico di tutto rispetto, esita uno scritto
che si lascia leggere anche da chi come me è del tutto lontano dai linguaggi
propri della disciplina. Anche laddove -nelle due interviste- ci si
aspetterebbe un’ampliata, un entrare morbosamente nel dettaglio, Nanda Brancato
ci convince subito che questo libro non è un manuale per apprendisti stregoni
quanto un frammento ragionato di storia contemporanea ciminnita, vera e viva,
che si porta dietro secoli e secoli di tante storie e sicuramente quel pizzico
di mistero che non guasta e che bisogna rispettare.
Insomma io credo che sia venuto il
momento non solo di scavare nell’immenso patrimonio culturale materiale ed
immateriale ciminnese (e non penso sempre alle cose d’arte, ad esempio penso da
tempo ad uno studio dettagliato, quasi puntuale, dell’interessante patrimonio
geologico e paleontologico -non sempre studiato senza preconcetti culturali-
che stimoli sopratutto i decisori pubblici a far si che ad es. la Riserva
Naturale delle Serre non sia solo un “vincolo” ma una risorsa) ma, è venuto
anche il tempo per chi amministra la res
publica di sostenere e stimolare le capacità di tante nuove competenze,
di utilizzare al meglio queste fresche risorse umane.
Non farlo inevitabilmente significa
perdere un treno.
Il Graziano nel 1911 aveva affrontato un
breve saggio di Demopsicologia ciminnese,
poi nel 1935 in quel bellissimo Canti e
leggende vi si era più estesamente confrontato. Per Ciminna si trattava
di studi davvero pionieristici e, come nel Ciminna.
Memorie e documenti, l’urgenza di non tralasciare, di tramandare, di
conservare, per noi che saremmo venuti, materiali che paventava si fossero
perduti, lo porta ad ampliare gli orizzonti dei suoi interessi.
Per molti, Graziano ha già detto tutto.
Gli esiti editoriali di questi ultimi
tempi dimostrano esattamente il contrario! Dimostrano come «Nel campo della
ricerca [...] non esistono opere definitive».
L’attento studio di Nanda Brancato, che
accoglie quell’antico suggerimento del Meli a ritornare sulle cose del
Graziano, dimostra esattamente questa necessità, e ne esce fuori un lavoro
sicuramente di gran pregio, capace di fermare nel tempo e con estrema
chiarezza, uno di quei tanti aspetti del nostro essere ciminniti.
«gnothi sautón»
(conosci te stesso) era scritto sul frontone del tempio di Apollo a Delfi,
Nanda sicuramente in questo infinito percorso, ci da una mano, fa la sua parte,
nel riconoscerci ciminniti.
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