di Luca Fumagalli
Il 1850 è una data fondamentale per la storia del cattolicesimo britannico. In quell’anno, infatti, Papa Pio IX, con bolla Universalis Ecclesiae, ristabilì la gerarchia ecclesiastica in Inghilterra, erigendo una sede metropolita e dodici vescovati. Al sistema dei vicari apostolici che governavano direttamente la Chiesa in nome del Pontefice vennero sostituite le diocesi: dopo più di tre secoli, il Regno Unito cessava di essere una terra di missione per ridiventare, a pieno titolo, uno dei paesi della cattolicità.
Nicholas Patrick Wiseman (1802-1865) fu scelto come primate con il titolo di Arcivescovo di Westminster, incarico che precedette di poche settimane la porpora cardinalizia.
Nato in Spagna, figlio di un commerciante irlandese, Wiseman era uno spirito gioioso, dotato di erudizione, entusiasmo, potenza emotiva e ricchezza di immaginazione, doti che nel 1828 gli erano valse la nomina a rettore del Collegio Inglese di Roma. Nella Città Eterna si sentiva a casa e godeva della protezione del cardinale Angelo Mai e di Gregorio XVI.
La sua vita pastorale in Inghilterra, dove era tornato poco prima degli inizi dell’età vittoriana, si divise in due parti distinte: lo straordinario, rapido successo dei primi anni e l’azione costruttiva, frammista anche a delusioni, della tarda maturità.
Divenne il capo dell’ancor piccolo gruppo che credeva fermamente nel rapido ritorno del paese al cattolicesimo; si dette quindi molto da fare in conferenze e prediche, contribuendo tra l’altro a fondare con Daniel O’Connel il celebre periodico «Dublin Review».
Dal 1850, sotto la sua guida, la gerarchia inglese si mise all’opera. Dopo il successo raggiunto con la conversione del noto teologo anglicano John Henry Newman, animatore del “Movimento di Oxford” e futuro cardinale, cominciò la fase calante della carriera di Wiseman che prese a scontrarsi con il clero diocesano e i nuovi vescovi, i quali, memori della mutua indipendenza dei vicari apostolici, rivendicavano una maggior autonomia.
Sul finire della vita trovò conforto nella profonda amicizia con Henry Edward Manning, suo successore nella sede di Westiminster e difensore dell’infallibilità pontificia durante il Concilio Vaticano I.
Con la morte di Wiseman si concluse la prima fase della rinascita cattolica inglese nel XIX secolo. C’era qualcosa di ingenuo nella sua utopica aspettativa di una conversione in massa degli inglesi, ma resta indiscutibile che compì un grandissimo lavoro che non sarebbe stato possibile senza il suo proverbiale ottimismo.
Wiseman, però, è ricordato, almeno all’estero, soprattutto per essere stato autore del romanzo storico-apologetico Fabiola o la Chiesa delle catacombe (Fabiola: A Tale of the Catacombs), pubblicato per la prima volta nel 1854. Sulla scorta di quanto stava accadendo in Francia, il prelato fu tra i primi autori in Inghilterra, insieme a Newman, a impiegare il moderno strumento letterario come mezzo per difendere le istanze del cattolicesimo. Nacque così il genere del “Catholic Novel”, destinato ad avere grande fortuna per tutto il XIX e il XX secolo.
Perdita e guadagno (Loss and Gain) di Newman, romanzo del 1848, fu il primo esempio in ordine di tempo della nuova direzione intrapresa dagli intellettuali fedeli a Roma, ormai consapevoli che la narrativa poteva vantare una grado di penetrazione nelle masse di gran lunga superiore rispetto al trattato teologico o allo studio accademico. Il libro narra della conversione di Charles Reding, un giovane anglicano, e mostra diverse analogie con la biografia dell’autore. Il 1856 fu invece l’anno del meno fortunato Callista o la Chiesa d’Africa (Callista: A sketch of the Third Century), opera ambientata, come quella di Wiseman, durante l’impero romano, all’epoca delle più violente persecuzioni contro i cristiani
Libri come questi indicarono la via a successivi polemisti del calibro di G. K. Chesterton, R. H. Benson, Bruce Marshall ed Evelyn Waugh, e contribuirono a creare una piccola nicchia culturale per la minoranza cattolica che, da quel momento, iniziò a imporsi sempre più come una variabile imprescindibile nel panorama letterario britannico.Il cardinale N. P. Wiseman
Fabiola – riproposto dalle Edizioni Radio Spada nell’elegante prima traduzione italiana del 1856 – riscosse uno strabiliante successo di pubblico che durò ben oltre la scomparsa dell’autore. Spesso utilizzato per la catechesi dei più piccoli, il romanzo fu tradotto in diverse lingue e ristampato a intervalli regolari. Dal libro vennero tratti due film omonimi, uno del 1918 per la regia di Enrico Guazzoni, e uno del 1949, diretto da Alessandro Blasetti. Nel 1960 Nunzio Malasomma ne girò una versione intitolata La rivolta degli schiavi con Rhonda Fleming.
La storia, che ha luogo nella Roma del 302, è piuttosto lineare ancorché ricca di digressioni e personaggi secondari. Sulla piccola comunità cristiana che vive tra le catacombe e i vicoli bui della capitale imperiale sta per abbattersi una feroce persecuzione. Tra sangue e violenza, in un impero logoro e corrotto, Fabiola, una giovane patrizia pagana amante della filosofia, decide di convertirsi, spronata dall’esempio virtuoso dei martiri, disposti a morire pur di non tradire la loro fede. Ma, come la protagonista scoprirà a sue spese, la via di Cristo è tutt’altro che semplice ed è costellata da continue difficoltà che metteranno a dura prova i suoi propositi.
Al di là delle imprecisioni storiche, della patinatura didascalica e della qualità globale tutt’altro che eccellente, Fabiola riuscì a imporsi come classico della letteratura cattolica per le brillanti intuizioni in esso contenute.
Presentando una fede lontana dall’astratta filosofia, ma fatta d’esempio e testimonianza, Wiseman coglie con rara efficacia il cuore del messaggio cristiano e lui stesso impiega una formula analoga per sensibilizzare il lettore al cattolicesimo. Le lunghe e noiose trattazioni teologiche cedono il passo ai racconti dei martiri che, come un mosaico, completano il quadro della trama principale. Le vicende di San Sebastiano, Sant’Agnese, Santa Cecilia e San Tarcisio si snodano secondo gli stilemi della parabola, offrendo un ritratto immediato di uomini trasfigurati dalla fede, capaci di accogliere la morte col sorriso perché certi dell’amore di Cristo. L’alto valore del loro gesto non ha bisogno di ulteriori quanto inutili orpelli.
Tale soluzione narrativa si rivelò sorprendentemente efficace: basti pensare che la figura di San Tarcisio – il giovinetto che morì per mano pagana nel tentativo di portare l’Eucarestia ai cristiani carcerati – piacque così tanto da farne ritornare in auge il culto in Inghilterra.
L’incontro di Fabiola con il cristianesimo, poi, è descritto con semplicità e freschezza. Quando la ragazza scorge nelle compagne una felicità, un senso di pienezza che le è estraneo, non può fare a meno di chiedersi: «Perché non posso anch’io essere così lieta e contenta come loro?». Aggrappandosi a questa prima intuizione, la cugina Agnese e la schiava Sira la accompagneranno passo dopo passo verso la Chiesa, sfatando i vergognosi luoghi comuni di cui sono vittima i cristiani. Nel momento in cui Fabiola osserverà per la prima volta il mondo intorno a lei con gli occhi della fede, scoprirà un paganesimo disumano, destinato a soccombere e a trascinare con sé nell’oblio tutto l’impero.
In Fabiola il cristianesimo è presentato innanzitutto come rivoluzione dei cuori, in un continuo confronto/scontro con la decadente società romana all’alba del IV secolo. L’impero, infatti, è governato da sovrani volgari, saliti al potere per congiure e tradimenti, circondati da uomini senza scrupoli che desiderano solo accumulare ricchezze in gran quantità.
Nel marasma generale, la piccola comunità cristiana si erge a testimoniare un’umanità diversa, generosa e leale. Non senza una punta di polemica nei confronti di teorie storiografiche allora di moda, Wiseman presenta la «nuova religione venuta dall’Oriente» come l’unica in grado di preservare i valori tradizionali di lealtà e onore che resero grande la latinità. La dignità dei cristiani si esplica tanto nell’assoluta fedeltà di cui sono capaci – siano essi soldati o schiavi – quanto nella straordinaria cura che mettono in ogni loro azione, investendo il quotidiano di una sacralità del tutto inedita. Per esempio, quando il giovane Pancrazio si reca a casa di Diogene, responsabile della gestione dei cimiteri, non può fare a meno di notare la pulizia dell’edificio che contrasta con lo squallore dell’intero quartiere.
L’antica Roma che, come ricordato, fa da sfondo anche a Callista di Newman, offre a un dotto apologeta come Wiseman lo scenario ideale per proporre al lettore un implicito confronto con le tribolazioni subite dalla Chiesa cattolica inglese sin dai tempi della Riforma, costretta anch’essa a condurre per molto tempo un’esistenza catacombale, pagata al prezzo di numerosi martiri.
Nel romanzo, lo scontro tra l’imperatore e il Pontefice propone per la prima volta uno dei temi che diventeranno tipici del “Catholic Novel” a sfondo storico. In queste figure si scorge ancora una volta un parallelo con Enrico VIII e i suoi successori, avversari del Papa e desiderosi, al pari dei sovrani romani, di essere venerati come divinità. La dimensione mondana e quella spirituale della vita trovano in essi una sorta di correlativo oggettivo ed esplicano il conflitto in atto nel cuore di tanti cristiani che vedono la loro fede vacillare innanzi ai primi spargimenti di sangue e alla sfavillante tentazione del denaro.
Wiseman, attraverso un narratore onnisciente che lega i singoli episodi con piglio quasi cinematografico, conduce il lettore al lieto fine. Così come le persecuzioni di Diocleziano anticiparono di pochi anni il regno di Costantino e l’elezione del cristianesimo a religione ufficiale dello stato, allo stesso modo anche il mondo moderno non si deve arrendere a quella disperazione a cui le circostanze sembrano inevitabilmente condurre. Nonostante le tenebre, la luce della Chiesa non smetterà mai di brillare: «Gloriosa Chiesa di Dio! grande nella armonica combinazione di tua unità, tu ti stendi dalle regioni elevate del cielo fin sotto la terra, ovunque geme un giusto nella sua prigione!».
da: www.radiospada.org
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