di Domenico Bonvegna
Dopo la Rivoluzione Francese, quando
la fede e la cultura cattolica di un popolo viene minacciata, schiacciata e
perseguitata, quasi sempre capita che quel popolo reagisca e prenda le armi. Si
è verificato con il popolo Vandeano; poi con tutte le insorgenze popolari
cristiane e controrivoluzionarie che hanno preso le armi per combattere le
armate francesi napoleoniche, fino alle rivolte dei Cristeros in
Messico.
Tra il 1925 e il 1929,
nell'indifferenza del mondo occidentale, il Messico visse una tragedia senza
precedenti. Il Governo messicano in mano a un piccolo gruppo di potere,
illuminato dalla massoneria, guidato dal semi-dittatore Plutarco Elias
Calles, inasprirono a tal punto la legislazione antireligiosa che già
aveva colpito la comunità cattolica, da rendere impossibile qualsiasi
manifestazione della fede. Il risultato fu che tutti i luoghi di culto (chiese,
conventi, seminari, scuole, istituti di carità) furono chiusi o confiscati. “Di
fatto, dopo il 31 luglio 1925 la Chiesa
sparì dalla vita del popolo messicano”. A questo punto accade
qualcosa che forse nessuno aveva previsto: centinaia, migliaia di messicani,
appartenenti a tutti gli strati della popolazione, insorsero, imbracciarono le
armi, dando vita a straordinaria epopea: la Cristiada.
Calles e i sui generali federali
pensarono di controllare e di reprimere la rivolta in breve tempo, ma non è
stato così. L'insurrezione dei cattolici messicani, spregiativamente chiamata
dei Cristeros,“coinvolse presto milioni di cittadini e interi Stati della
federazione caddero sotto il controllo di un esercito 'cristero' sempre più
potente e benvoluto”.
La reazione del governo massonico fu
dura e spietata, ben presto si assiste a massacri indiscriminati, campi di
concentramento, impiccagioni di massa. I Cristeros, senza addestramento militare, guidati non sempre da
capi esperti, si mostrarono eroici e soprattutto pronti al martirio. Alla fine
nel 1929, non furono piegati dalle armi, ma dalla diplomazia internazionale,
soprattutto quella americana, dagli accordi, chiamati gli arreglos.
Tutto questo viene raccontato in un
documentatissimo volume dal giornalista e storico Mario Arturo Iannaccone,
“Cristiada. L'epopea dei Cristeros”, Lindau.
Nei primi capitoli il testo di Iannaccone,
da vero esperto del Paese latino americano, racconta le varie fasi politiche
che hanno portato all'emissione delle Ley Calles, che hanno provocato
l'insurrezione popolare.“Per comprendere la paradossale storia del Messico e
la stessa Cristiada, occorre partire dagli inizi del XIX secolo[...]”.
Bisogna indagare sulla storia del Messico, a partire da quando era colonia
dell'impero spagnolo. Qui Iannaccone ricorda come lo sviluppo della Chiesa nel
territorio messicano, come tutte le chiese dei vicereami spagnoli, riceve aiuti
economici per l'evangelizzazione. Naturalmente evidenziando anche i conflitti
all'interno della Chiesa stessa. Iannaccone rileva il miracolo del “meticciato”,
cioè i matrimoni tra i nativi e gli spagnoli, a differenza dei territori dominati
dai protestanti.
Peraltro nel Nuovo Mondo secondo lo
storico, si “tentò di costruire la Città di Dio sulla terra, mentre l'Europa
già cominciava a seguire altre utopie come la scienza e la secolarizzazione”.
Tuttavia con il Real Patronato, in teoria, non vi era spazio per
conflitti tra i due poteri, anche se quello spirituale era in mano al monarca,
che interveniva su tutti gli aspetti della vita della Chiesa.
Le pagine del libro prima di
occuparsi della guerra cristera, si occupa dei vari passaggi politici che
portano a continue elezioni di presidenti della novella Repubblica messicana.
Intanto quasi tutti i politici messicani erano influenzati dal “moderno
anticlericalismo”, che vedeva nel clero, nella Chiesa,“un nemico non più
da migliorare ma da abbattere”. Si trattava di un'ideologia europea portata
“alle masse con il giacobinismo, le idee libertarie e socialiste, ed era
giunta in Messico attraverso la circolazione di libri e l'arrivo di
intellettuali dall'Europa”. Cominciava a imporsi l'idea che lo Stato
dovesse predominare sulla Chiesa.
Il libro segue meticolosamente il
susseguirsi delle elezioni di presidenti, di politici messicani più o meno
liberali. Il testo è pieno di nomi, di personaggi che hanno dominato
l'Ottocento e l'inizio del Novecento in Messico. Ma soprattutto si seguono i
conflitti tra lo Stato e la Chiesa. I fatti che si registrano sono molto simili
a quelli che si possono seguire in Europa, in Italia, in Francia e in Germania.
Si intende riformare la Chiesa per il bene comune, ma poi il vero scopo è
quello di aggredire e incamerare i beni ecclesiastici per usarli oppure
venderli ai borghesi.“La Chiesa fu aggredita simbolicamente ma anche
materialmente quando i governatori spostarono le loro sedi nei palazzi dei
vescovi e nei seminari”.
Nel 2° capitolo si dà conto delle
politiche di scristianizzazione da Lerdo de Tejada a Benito Juarez. Queste
misure repressive, causarono ribellioni spontanee del popolo cattolico, la più
importante fu l'insurrezione dei Religioneres, “un movimento
popolare simile alle insurrezioni antirivoluzionarie della Vandea, del Carlismo
spagnolo e degli Insorgenti dell'Italia Meridionale”.
La guerra dei Religioneros fu “una
guerra di popolo, spontanea e diffusa, senza capi né eserciti, formata da bande
che si riunivano e scioglievano a seconda del bisogno: caratteristiche che si
ritroveranno nell'insurrezione della Cristiada cinquant'anni più tardi”. Ma
anche questa rivolta fu sconfitta dalla diplomazia e non dalle armi. Durante il
governo del generale Porfirio Diaz ci fu una certa calma e la
Chiesa, che gode di libertà, torna a fiorire
e a farsi influente. Diaz, nonostante la sua adesione alla massoneria,
mantenne relazioni cordiali con i vescovi messicani.
Successivamente con la dittatura
militare di Venustiano Carranza, ci fu lo scioglimento del
Congresso dei deputati e subito inizia la repressione religiosa con la confisca
degli edifici religiosi, imprigionamenti ed espulsioni dei vescovi. Ma il
peggio arrivò con la presidenza di Elias Calles a dicembre del 1924. Già nel
febbraio del 1925, Calles inviò una circolare dove ordinava che le celebrazioni
della Settimana Santa, erano consentite soltanto all'interno delle chiese,
proibiva le processioni e altre cerimonie pubbliche.
La tensione torna a risalire,“i
liberali dovevano confrontarsi con una Chiesa moderna e con movimenti cattolici
organizzati, di stampo politico-sociale, che potevano ottenere la maggioranza
nelle consultazioni elettorali”. Allora il governo Calles tentò di creare
un'associazione cattolica per contrastare la Chiesa. L'idea era di creare una
specie di scisma all'interno della Chiesa e soprattutto fondare una Chiesa
nazionale, sotto la direzione del governo. Più avanti Calles stesso confidò
all'ambasciatore francese Lagarde, che la Ley Calles era una trappola per
rendere schiava la Chiesa, “era il preludio alla fondazione di una chiesa
costituzionale e collaborazionista, staccata da Roma”.
Inizia l'assalto alle chiese da parte
degli uomini del governo; i fedeli sono costretti a montare la guardia alle
chiese. I laici cattolici allora fondano la Liga Nacional de defensa
Religiosa (LNDR), successivamente cambiò nome in Liga Nacional
Defensora de la Libertad Religiosa (LNDLR). Intanto il Messico per i
provvedimenti repressivi contro la Chiesa, assomigliava sempre più alla Russia
Sovietica.
Il 5° capitolo Iannaccone esamina il
gruppo rivoluzionario attorno al dittatore Calles, “erano diventati il
gruppo sociale dominante grazie all'uso della violenza”, Tejeda, Obregon,
Morones, Saenz, provenivano tutti dal Nord del Messico, vicino alla frontiera
con gli Usa.“Secondo loro, il Messico era arretrato e debole perché
superstizioso e troppo religioso; questo retaggio proveniva dal passato
coloniale, ispanico, cattolico. Condividevano una rozza ideologia derivata
dalla tradizione liberal-radicale messicana e dagli Stati Uniti protestanti che
avevano una storia di 'crociate', cioè di missioni protestanti inviate nel
Messico per convertire ed educare”.
Questi uomini si consideravano come
dei civilizzatori, chiamati a rigenerare il vecchio paese coloniale. I loro
programmi sono molto simili a quelli dei governi liberali europei, in
particolare a quelli italiani.
I luoghi di ritrovo di questa elite
erano soprattutto le logge massoniche, i club e le mense militari. E poi si
identificavano nel Partido Nacional Revolucionario, creatura di Calles.
Per lo più erano anticlericali, spesso protestanti, benestanti, quasi tutti
massoni e sentivano come loro missione la 'defanatizzazione' del
Messico. Pertanto, “consideravano un dovere distruggere la cultura
ispanica e rimpiazzarla con quella nordamericana. Odiavano indiani, contadini,
preti e ogni espressione di quel vecchio Messico che non comprendevano perché
non era il loro”. Erano quasi degli “stranieri” all'interno del Paese.
Ossessionati dal pericolo cattolico e dall'influsso del Papa e dei suoi uomini,
in particolare dai Gesuiti. Infatti sia Obregon che Calles favorirono il
proselitismo protestante. Addirittura i protestanti controllavano il Ministero
dell'Educazione.
L'altra grande forza, spesso alleata
con il protestantesimo fu la massoneria, che giocò un ruolo
cruciale nel Messico. “La maggior parte degli ufficiali dell'esercito erano
massoni e quando scoppiò la guerra di religione si vendicarono della condanna
decretata dalla Chiesa cattolica nel 1738 contro la massoneria. Erano massoni
anche gli insegnanti, i sindaci, i commissari agrari, i leader dei sindacati,
tutti coloro, insomma, che erano legati al governo per mestiere”. Per la
massoneria latina, il clero cattolico incarnava il male e quindi andava
distrutto. C'era una rivista distribuita alle truppe, “El Soldado”, un
mensile illustrato che dipingeva il Papa e il clero come maniaci sessuali.
Sull'altro fronte i cattolici
continuavano a rafforzare la loro organizzazione. In vista la Union
Popular (UP) di Anacleto Gonzales Flores. Si basava sul
contatto diretto e la clandestinità. Tra i loro capi c'erano anche delle donne.
Poi c'era la Liga che cresceva, nel 1926 dovette affrontare il dilemma se usare
la forza armata per prendere il potere. E questo dilemma perdurò per sempre,
anzi talvolta i loro membri, i dirigenti non furono ben visti dai Cristeros.
Tra il 2 e il 19 luglio del 1926
viene emanata la Ley Calles, imponeva ai preti di registrarsi
presso gli uffici governativi. Si arrivò ben presto allo scontro,“la lotta
era ormai aperta”, adesso si trattava “di vedere se avrebbe vinto la
luce o la tenebra. Bisognava dare il sangue per salvare la rivoluzione, asserì”,
Calles. Quindi “il 1 agosto del 1926, per la prima volta dopo oltre 500
anni, in nessuna chiesa del Messico fu celebrata una messa”.
Iannaccone rileva che in quel momento
storico del Messico, quasi tutti gli esperti, i diplomatici, i politici, gli
intellettuali e anche i vescovi “ignorarono o sottostimarono un fattore che
sarebbe risultato determinante negli eventi futuri: l'atteggiamento del popolo”.
Mentre governo e vescovi negoziavano, diventa protagonista il popolo messicano,
si comincia a fare penitenze, a confessarsi, a pregare in pubblico, a fare
pellegrinaggi spontanei. Per questa gente è “come se il mondo a cui erano
abituati stesse per finire – e in un certo senso era così”. I funzionari
pubblici, spesso massoni, “lontani dalla mentalità del popolo, non
comprendevano né accettavano quella mentalità sacralizzata che si esprimeva
attraverso atti di devozione, penitenze e pellegrinaggi ai santuari”.
Alle prime luci del 1 agosto, Aurelio
Acevedo - futuro leader cristero - preparò il suo cavallo per il “duro
lavoro”, che sapeva avvicinarsi. “La guerra arrivò da sé - scrive
Iannaccone - senza essere stata preparata, come ribellione a un'ingiustizia
che calpestava le dignità fondamentali”. Soprattutto, “arrivò come una
sorpresa per lo Stato e la Chiesa, che non avevano scommesso su questa
eventualità”.
Comunque sia,“ce n'era abbastanza
per prendere le armi”. “Gente pacifica benedì i propri figli che
chiedevano di combattere e li inviò in battaglia”. Lo storico francese Jean
A. Meyer che negli anni sessanta è riuscito a intervistare molti ex
cristero, scrivendo una monumentale opera sulla rivolta, riporta il racconto di
un testimone, che ha vissuto quei momenti:“Il Governo ci sta prendendo
tutto: il mais, i pascoli, gli animali da cortile e, come se non fosse
abbastanza, vogliono che viviamo come animali, senza religione e senza Dio.
Però non vivranno abbastanza per vederlo perché per il tempo che ci è dato noi
grideremo Lunga vita al Re! Lunga vita alla vergine di Guadalupe! Lunga vita
all'Unione Popolare! Abbasso il Governo!”.
Stava per iniziare la Cristiada
e ancora nessuno lo sapeva. Certo il Messico aveva visto diverse sollevazioni
popolari, ma questa volta era diverso, a poco a poco si manifestarono focolai a
decine, a centinaia, i federali ben presto, compresero che non era facile
sconfiggere gli insorti. Subito alcuni reggimenti dell'esercito, furono
annientati. Lo stesso Anacleto Flores dell'UP, non poté fare nulla per fermare
i suoi militanti.“Li lasciò andare senza opporsi, sia perché nulla avrebbe
potuto contro quella marea tragica che usciva dalla città all'alba, ognuno con
un fucile a tracolla [...]”. La gente gli diceva “che era meglio morire
che negare Cristo re e che non bisognava temere il martirio. Dava prova di aver
letto i testi sacri e la storia della Chiesa”. Continua Iannaccone nel
racconto:“Erano uomini esasperati, mossi da un imprevisto spirito di
eroismo, che lasciavano i loro affari, stringevano le spose e i figli e
correvano alla battaglia con alpargatas e vesti di cotone”.
In pratica questo popolo aveva “capito
che bisognava mettere in gioco il proprio benessere, il proprio corpo, oppure
la Chiesa in Messico sarebbe stata cancellata”.
In breve i capi dell'LNDLR decisero
di guidare e controllare la ribellione sempre più diffusa ma scoordinata. Fu
stabilito un comitato di guerra, e poi si trovò un capo: Capistran Garza.
A novembre la Liga assume la guida del movimento popolare e chiede
l'approvazione ai vescovi. L'episcopato approva il manifesto della Liga,
affermando che era lecito combattere quando ogni altro mezzo si era rivelato
inutile. “Alle condizioni che si stava verificando in Messico, tale
combattimento andava considerato una 'resistenza' armata, ovvero una
difesa legittima”.
A fine dicembre tutti i movimenti,
associazioni cattoliche si unificano concordi e decidono di combattere. Intanto
i vescovi rendevano chiaro che non desideravano alcuna forma di resistenza che
non fosse passiva e pacifica. La Chiesa reagì con la massima prudenza. Gli
insorti si consultavano con i parroci che approvavano la rivolta. Nello stesso
tempo, i parroci si rivolgono ai vescovi e questi ai teologi. “Quando i
dirigenti della Liga chiesero se l'insurrezione fosse moralmente e
teologicamente lecita, il Comitato Episcopale rispose che era una 'lodevole
azione' di 'legittima difesa armata'”. Qualche vescovo si
espresse a favore dell'insorgenza armata, gli altri rimasero silenziosi e Roma
negò che ogni benedizione fosse stata data ai combattenti. Tuttavia “il
Vaticano si opponeva alla rivolta armata in quanto avrebbe ostacolato i
negoziati, e il nunzio Fumasoni Biondi chiese una pubblica condanna della Liga
e Cristeros da parte dell'episcopato messicano”.
La maggioranza dei vescovi restò
indecisa lasciando ai fedeli la libertà di azione. Solo tre, Manriquez, Orozco
e Velasco si congratularono apertamente con gli insorti. Sostanzialmente
saranno sino alla fine i veri vescovi dei Cristeros.
L'8° capitolo evidenzia da un lato la
guerra Cristera e dall'altro la guerra diplomatica. A gennaio del 1927
l'insurrezione diventa massiccia e unanime soprattutto nella zona
centro-occidentale del Messico. Scrive Iannaccone: “qui la rivolta prese la
forma di una sommossa di popolo perchè l'intera popolazione, donne e bambini
compresi, si muoveva in massa per occupare paesi o piccole città”. La
risposta del governo fu rabbiosa e brutale. “Cosa poteva fare una folla
armata di bastoni e pietre contro un battaglione di federali?”. I generali
federali si accorsero subito che rivolta era totale, che chiamava in causa
l'intera popolazione. Pio XI ricevendo in udienza un gruppo di giovani
messicani, gli aveva fatto capire di sapere cosa stava succedendo nel loro
paese: “Sappiamo che combattono e come combattono in quella grande guerra
che può essere chiamata la battaglia di Cristo”. Sembrava una
benedizione della rivolta?
Ritorniamo alla guerra. Le zone
strategiche della guerra dei Cristeros erano Jalisco, Michoacan, Queretaro,
Guanajuato e Colima. Questi territori furono prese dai ribelli nel 1927 e
rimasero sotto il loro controllo fino al 1929.
A pagina 162, il libro pubblica la
cartina con le zone interessate alla Cristiada. Per la verità il testo è
corredato di tante fotografie, che rendono lo studio di Iannaccone tra i più
documentati sull'argomento.
Tra i capi dell'Armata cristero
emersero il diciannovenne Lauro Rocha, il fuorilegge, l'unico, Victoriano
Ramirez, soprannominato El Catorce. Ci furono anche un paio di
preti come padre Josè Reyes Vega e Aristeo Pedroza,
che si rivelarono eccellenti capi militari. Il secondo era molto devoto, impose
alle sue truppe e più tardi alle brigate di Los Altos una disciplina di
acciaio. Mancava un capo generale di tutte le armate cristero, lo trovarono
nella persona del generale Enrique Gorostieta y Velarde, un
quarantenne ufficiale di carriera, artigliere di talento, che aveva lasciato
l'esercito. Non aveva niente in comune con quei ribelli, essendo uomo del Nord
e liberale. “Carattere indecifrabile, capace di grande entusiasmo,
Gorostieta abbracciò la causa dei cristeros, si dice, senza avere la loro fede”.
Si comportò come un vero stratega, convinto che bisognava prima controllare il
territorio; trasformò il movimento insurrezionale in un esercito simile a
quello federale.
Nel 9° capitolo Iannaccone ritorna
sul comportamento dei preti, della Chiesa messicana nella guerra del suo popolo.
Lo storico Meyer pubblica l'intervista all'anziano capo Cristero Aurelio
Acevedo:“A un certo punto ci imbattemmo in un ostacolo che non avremmo mai
immaginato: i preti stessi ci proibirono di combattere per Cristo, per la
religione che i nostri padri ci avevano insegnato e riaffermato mediante
battesimo, confermazione e prima comunione[...]”. I preti spesso
abbandonano la propria parrocchia e si trasferiscono in città, per non essere
coinvolti nella rivolta dei propri fedeli. “Non tutti, naturalmente, altri
continuavano di nascosto nella loro missione anche nelle grandi città come fece
Miguel Pro”. Alla fine si produssero situazioni ambigue: i preti
erano considerati dei traditori dai Cristeros, perchè accettavano le
benevolenze dei federali.
Addirittura Meyer sostiene, che
grazie a quella minoranza di preti rimasti nei luoghi dell'insurrezione, che i
Cristeros non sono diventati“nuovi donatisti staccandosi dalla Chiesa”.
Furono circa 150 preti che si rifiutarono di lasciare le loro parrocchie e
proprio grazie a questi che si evitò un possibile scisma. Iannaccone fa
l'elenco di questi preti, il libro è profluvio di nomi. Alcuni di questi preti
hanno seguito i combattenti, “esistono immagini che mostrano centinaia di
combattenti assistere alla messa e comunicarsi prima di una battaglia[...]”.
Pare che i cappellani caduti in battaglia furono circa 20. Altrettanti erano
stati uccisi per la loro missione. A questi si aggiungono gli altri come Pro
che magari non avevano collegamenti diretti con i Cristeros, fino a un totale
di 90 sacerdoti uccisi. Molti di questi sono stati beatificati e santificati.
Il libro dà conto delle campagne
militari, dei due contendenti, naturalmente qui non possiamo approfondire, vi
lascio alla lettura del libro.
Il 9° capitolo termina con la morte
di Anacleto Gonzales Flores, catturato dai federali insieme ad
altri quattro compagni. Le ultime parole di Flores prima di essere fucilato,
furono: “Muoio ma Dio non muore, viva Cristo Rey!”, qualcosa di
simile l'aveva detto, prima di essere ucciso da sicari della massoneria, il
presidente dell'Ecuador Garcia Moreno.
La «Cristiada», l’insurrezione di Cristo Re
che coinvolse milioni di persone, costrinse i papi ad intervenire con tre
encicliche, preoccupò le cancellerie di mezzo mondo. I Cristeros erano in gran parte
contadini ma vi erano anche cittadini: impiegati, funzionari, avvocati,
studenti. La loro rete era sostenuta, talvolta affiancata, anche da una
resistenza pacifica cittadina (il cui martire fu san Miguel Pro)
che ricorreva ai boicottaggi, all’informazione, e cercava di far continuare la
vita sacramentale nel nascondimento, come nell’Inghilterra anglicana o nella
Russia sovietica.
Iannaccone dedica alcune pagine del
suo libro alle migliaia di donne inquadrate nelle “Brigate di Santa
Giovanna d’Arco”, sfidando ogni pericolo, procuravano le munizioni ai
Cristeros, i quali arrivarono ad essere, agli inizi del 1929, quasi 50.000, in
gran parte sottoposti alla disciplina di un esercito regolare.
Oltre al generale
Gorostieta, un altro si è distinto, Degollado Guizar, Jesus. I soldati erano
eroici, pronti al martirio per «conquistarsi il Paradiso» – come
dicevano – se il prezzo della sconfitta era l’estirpazione del cristianesimo
dal Messico. Nonostante l’appoggio logistico degli Usa che consentiva ai
federali di non cedere, i Cristeros
restarono saldi, e ad ogni sconfitta si moltiplicavano tenendo in
scacco il nemico.
Per anni il
Messico restò diviso fra zone Cristero
e zone controllate dai Federali; l’economia collassò, i morti
furono decine di migliaia: 300.000 contando le vittime di malattie, fame, campi
di concentramento. Non furono le armi a sconfiggere i Cristeros ma la diplomazia
internazionale con gli Arreglos del 1929.
La «Cristiada»
stava procurando troppi lutti, la guerra rischiava di durare, occorreva un
cessate il fuoco. Il vescovo Pascual Díaz, che avrebbe pagato con
l’incomprensione la sua posizione moderata, riuscì a far firmare gli accordi
senza immaginare che per 10 anni il governo li avrebbe traditi. Quando deposero
le armi, i Cristeros furono
uccisi a migliaia dai nemici, per vendetta.
L’epopea della
«Cristiada», così poco conosciuta, con le sue decine di martiri canonizzati,
tra questi mi piace ricordare il giovane San Josè Sanchez del Rio,
innumerevoli eroi sconosciuti, e un esercito vincente che depose le armi su
richiesta dei propri vescovi, è rubricata nei libri, incredibilmente, come un "episodio
minore" della storia.
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