domenica 4 gennaio 2015

Il tuo regno viene di Pasquale Attard

di Giuseppe Bagnasco


Non capita spesso che al seguire di una prefazione ci si imbatta in una nota dell’autore. E’ ciò che succede nel volume Il Tuo regno viene di Pasquale Attard, dato di recente alle stampe ed edito dalla Thule. Nella nota il poeta ci svela, anticipando la lettura, i temi su cui nel proseguo si snodano tutte le liriche da lui definite “gocce di vita, di amore o di dolore , di sogno o di cruda realtà”. Ma ciò non sempre accade in egual misura perché almeno per quanto riguarda l’amore, su 81 componimenti ben 31 attingono a questo tema. Tra gli altri temi, nel più classico poetare, non può mancare ovviamente quello della morte, già messo in evidenza da Vito Mauro in altra recensione. Eros e Thanatos quindi, inizio della vita e il suo compimento. Qualcuno ha scritto che la vita altro non è che una stazione ferroviaria dove c’è chi arriva e c’è chi parte e dove in una Sala d’attesa a classe unica ciascuno, leggendo il proprio passato, attende lo squillo della campanella dell’ultimo treno. Da notare che anche se non nello stesso contesto ma pur semantico il termine “campanella” lo ritroviamo nella presente raccolta anche nella lirica Piccolino. Ancora nella nota l’Autore definisce la vita di un uomo un “Alfaomega” dove come in un’equazione di primo grado, la prima lettera dell’alfabeto greco sta all’arrivo del treno come l’ultima sta alla sua partenza e la Sala d’attesa, aggiungiamo noi, a quello che l’Attard definisce “il volo”. Un volo, cioè la parabola della vita, che comunque tutti facciamo producendo, com’egli afferma, una scia di luce o di buio che giunge davanti ad una porta bianca o ad una porta nera. Alfaomega rappresenta  pertanto nella fattispecie quella  letteraria del poeta il cui “volo” altro non è che l’intera esposizione delle poesie del volume. Il tutto racchiuso tra la prima lirica che il poeta afferma avere scritto a tredici anni Foglie morte e l’ultima Cinquant’anni composta appena un anno fa. Una intera vita quindi con nel mezzo il racconto delle vicissitudini della sua anima con gli inevitabili alti e bassi. In primis le tante delusioni amorose della vita giovanile. E poi a seguire le inquisizioni esistenziali sempre profonde, a volte chiuse con una punta di autoironia come in Scusatemi, dove quasi sbeffeggia un seme che vuol piantarsi in una roccia. Attard, al contrario di tanti che lasciano ad altri la classificazione dell’essere riconosciuti poeti, non ha remore nel definirsi tale in Negli occhi del poeta o in quella L’ultima notte dell’anno nella quale  poeti e amanti sognano e amano quasi a celebrare gli uni e gli altri, ciascuno a suo modo, il “Buon fine d’anno”. E lui in questa è l’uno e l’altro, caso unico e irripetibile nella sequenza delle letture del volume. Volume che, lo ricordiamo, il poeta titola Il tuo Regno viene che non è una raccolta di poesie religiose ma una annunciazione a ciò che alla fine del percorso egli perviene e cioè alla “Rivelazione”, che già si esplicita nella raffigurazione in copertina dell’Angelo nell’Apocalisse di Giovanni. Si sa il dolore ha sempre rappresentato un buon viatico da affidare ai versi, e lui lo fa pur paventando con rammarico che nessuno li potrà mai ascoltare e ciò in Poveri versi. Ed è con accorato appello che raccomanda che mai nella vita si dovrebbe rinunciare a qualcosa quando chiama il cuore. “Memento audere semper” sembra dire alla stregua della locuzione di Gabriele D’Annunzio, quasi un “Carpe diem” di oraziana memoria e che desumiamo dalla lirica Trovar coraggio, dove si allude ad un incontro d’amore fallito per timidezza, una rinuncia che lascia  il cuore impietrito e sgomento come in Un amore. Sgomento che ci richiama alla mente, con una breve digressione, un aforisma che per lungo tempo stette inciso in un banco di legno di una sala d’attesa dove si leggeva: “ Ci sono persone che entrano nella tua vita, ci si soffermano un po’ e poi se ne vanno, E tu non sei più lo stesso”. E allora con l’anima messa a dura prova, altro rimedio non c’è che rifugiarsi nel sogno. Si dice di chi sta con la testa tra le nuvole di essere come un poeta perché il poeta quando compone quasi si eleva al di sopra del reale, del materiale. Il sogno in definitiva, è l’estrinsecazione immaginaria della realtà dove la fantasia modifica cose e persone adattandoli alle proprie esigenze per soddisfarne lo spirito. E ciò alla stregua del romanzo storico dove su un tessuto storico si innescano personaggi immaginari che il neofita Walter Scott espresse nel suo “Ivanhoe”, primo del suo genere (1819).  Il sognare ad occhi aperti è proprio dei poeti e infatti l’Autore vi si rifugia e sogna, sogna per lenire il suo dolore, quel dolore che gli appartiene: “… dovrò bere sino all’ultima goccia, il veleno che tu mi porgi” in Il calice della vita. Ma è il sogno, nel profondo della sua  semantica   che ritroviamo nelle liriche Sogno d’amore, Invocazione ad un’anima o in Certezza del sogno dove il poeta ostenta una sorta di sicurezza affermando: “Esiste, esiste un luogo dove esiste la felicità… dove il sole non muore ogni giorno e l’Uomo solo conta”. Tra le poesie giovanili e quelle più tarde fino alla maturità più completa, due sono i motivi tipici che si affacciano nelle varie tappe dell’età e sono i temi che vanno da quelli sulla natura in Notturno, L’alba, Le stelle, Notte di luna nel bosco, a quelli sulla speculazione esistenziale. Emblematiche La falciatrice e La notte dove il tema della morte o sul perché dell’esistenza rimbalzano prepotenti nei pensieri del poeta in Credo. Nella La Falciatrice viene evidenziata la figura di una ragazza allegra che falcia e canta tanto da ammaliare gli uomini riportando alla mente il canto melodioso delle sirene che incantarono Ulisse o gli incantamenti di Circe, figure richiamate dal poeta in Circe e Ulisse. In fondo le stesse lusinghe d’amore non estranee all’animo speranzoso del poeta, che attratto dalla vita non s’avvede che l’attende la trappola della morte nel cuore. Ma, in qualche misura anche lui è speculare alla Falciatrice perché in Amici e Sine titulo  apre le poesie con tante speranze nel cuore per poi falciarle con parole quali amici senza amore come tu vuoi o ad occhi aperti sogno l’amore che tu non vuoi. Ma nonostante tutto il poeta non riesce a chiudere quella porta e a non parlare dell’amore, amore che scorgiamo nelle tante liriche come in Abbandònati, Innamorati ecc. tra le quali inserisce quella dedicata alla moglie Anna Maria con La via per amare.  In tante, la parte del corpo che più frequentemente viene richiamata sono le mani, perché risultano citate in ben sette componimenti e definite ora come rugiada o come fiori o ancora che splendono come la luna o raffigurate come lunghe dita bianche o tenere esili dita e infine specie in Ritratto con le mani tue bellissime, son roba da inventare. Ecco cosa riesce a fare un poeta quando  magnifica qualcosa che vuole glorificare guardando nella sua immaginazione con gli occhi dell’amore. Una lirica che più delle altre riassume lo stato d’animo del poeta in un particolare momento della sua vita interiore è Le cinque del mattino. Ricorda nella sua intima introspezione “Alle cinque della sera” (A las cinco de la tarde) di Federico Garcia Lorca, riferimento irriverente ma dove in entrambe si parla di morte. In una di morte reale, nell’altra di morte dello spirito e dove si sottolinea come il poeta con grande stanchezza attende le cinque del mattino per affrontare un altro duro giorno da “servo inutile”, per completare un altro anno che se n’è andato a morire. Tra i temi marginali quelli del sociale e della libertà dei popoli come in Fiori praghesi. A parte queste disquisizioni, quello che più sì impone al lettore nel “vedere” il percorso poetico dell’Attard è la presenza dell’uomo, dell’uomo-poeta. E’ l’uomo che si affaccia alla vita con i suoi perché, i suoi sogni con le prime delusioni fino alla conclusiva amara realtà di ritrovarsi solo a masticare dolore e amarezza. Ma non tutto è finito perché quasi alla fine del suo percorso il poeta si accorge di non essere veramente solo e questo, quando scorge una luce che può soccorrerlo. E’ la luce di Dio che gli fa intravedere quella che lui ha già definito “la porta bianca”. Un’altra vita pertanto gli viene prospettata, quella del puro spirito e a questa si indirizza scegliendo come titolo della sua raccolta, come già ricordato, Il tuo Regno viene. Titolo preso a prestito dalla preghiera del “Credo” cristiano ma posponendone il verbo. E questo non per chiudere retoricamente il percorso poetico compiuto, ma per sottolineare come nella vita, alla conclusione del “volo” la rivelazione del Regno è intesa come un soccorso, un ultimo aiuto che sta ad indicare come negli spazi siderali c’è sempre un posto per chi ha operato bene. E ciò al pari di quel posto nel Firmamento celeste dove il filosofo Tommaso Romano pone ogni anima, quale singolo tassello di un “Mosaicosmo, neologismo da lui inventato nel saggio pubblicato in “Spiritualità e Letteratura” per l’Editrice Thule” nel 2009. E pertanto non poteva essere che lo stesso Romano a scrivere la prefazione di Il tuo Regno viene, dotta e sapiente esposizione resa ancora più luminosa essendo il prefatore tra l’altro, al di là della sua attività didattica, anche l’ideatore e il coordinatore assieme a Maria Patrizia Allotta, della collana “Luce del pensiero” edita dal Liceo “Regina Margherita” di Palermo. Pasquale Attard con Il tuo Regno viene spera di riuscire a lasciare quella scia luminosa da lui preconizzata, tale da poter combattere, come egli afferma, quella del buio e cogliere quella vittoria che è il fine ultimo di ogni Alfaomega che si affaccia alla vita. La poesia di Pasquale Attard è poesia vera perché veri sono i suoi versi, senza studiata elaborazione e ciò sia quando espone in versi liberi, sia quando li ordina in quartine dove pur nella “gabbia” della rima, esprime il suo libero e sincero pensiero. Egli, discepolo dell’Apocalisse del pensiero rifugia dall’ermetismo e sciorina versi servendosi della comunicazione diretta e senza ghirigori di parole ricercate. E’ tanta vera la sua poesia perché il poietès ( termine che ben si adatta ad un classicista) non chiude il suo pensiero in parole oscure come quelle richiamantesi all’oscurità stilistica di Eraclito di Efeso e che, a detta di Socrate, dovevano essere interpretate tanto a fondo da dover  ricorrere addirittura ai “palombari di Delo”. E infine, è ancora tanta vera perché il poeta in essa si svela, offrendo all’apertura del suo pensiero l’intera sua anima, senza pregiudizi, senza falsi pudori. Egli ammette e non giustifica i suoi errori e quando esalta la magnificenza del sentimento dell’amore lo tratta come fosse l’Alfa primigenia, il principio e il motore della vita. Vita che dopo il suo “volo” arrivando alla sua Omega, spera in un “rosso tramonto”. E questo il poeta lo trova nell’Apocalisse, in quella finale Rivelazione dove nella lirica Il tuo Regno viene spera di essere ammesso  tra gli invitati al “Banchetto dell’Agnello”. Le liriche di Pasquale Attard si presentano pertanto come tante Alfaomega che iniziano con speranza e proseguono con perseveranza chiudendosi spesso con amarezza e dolore. Alfaomega uniche e irripetibili come le tessere del già ricordato Mosaicosmo e non importa se a volte usa parole come labbra tue aulenti o sciorinar lo proprio accento, tratte dal vocabolario della sua erudizione classica appresa al “Meli”, perché quello che conta, è ciò che rimane nell’animo del lettore e cioè l’energia che si rinnova e traspare dall’uomo che il poeta canta e che alla fine falcia, ma non muore.

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