di Fabio Trevisan
Quando Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) pubblicò il poema epico: “La ballata del cavallo bianco” nel 1911, volle rendere omaggio innanzitutto alla moglie Frances Blogg con una dedica riconoscente e commovente: “Consegno queste rime a te, che hai messo la croce nelle mie mani, da allora su di te, fiamma senza macchia, vidi il segno che vide Guthrum…”. Guthrum era il condottiero pagano che fu sconfitto e convertito dal Re cattolico Alfred nel IX secolo. Chesterton si faceva sovente portare dall’autista sulla collina del Berkshire, nel sud-est dell’Inghilterra, dove appariva incisa, tra il verde ed il gesso sottostante, la figura preistorica di un cavallo bianco stilizzato. Nella prossimità di quei luoghi avvenne la battaglia di Ethandune, dove Re Alfred del Wessex vinse gli invasori Danesi. Chesterton si era diplomato alla Scuola d’Arte e amava disegnare proprio con quei gessetti bianchi di cui il Cavallo Bianco era composto. Non volle perciò scrivere un trattato o un saggio storico su quegli straordinari avvenimenti (avrebbe potuto farlo, anche con esiti ragguardevoli, data l’amicizia con lo scrittore e grande storico cattolico Hilaire Belloc).
Perché preferì scrivere un poema epico? E’ lui stesso a dircelo nella prefazione: “Questa ballata … vuole porre l’accento sulla tradizione piuttosto che sulla storia. Il culto di Alfred appartiene alla tradizione popolare ed è dell’intera leggenda popolare su di lui che mi occupo qui. Scrivo come chi è assolutamente ignorante di tutto, eccetto che di aver verificato che la leggenda del Re del Wessex è tuttora viva nel paese”. Non interessavano tanto le precise datazioni né i documenti storici: lo scopo era quello di preservare la memoria e la tradizione orale. L’autista che lo accompagnava non faceva che perpetuare il valore di quella tradizione umana in quanto, percorrendo su e giù quelle valli, s’era espresso in questo modo sincero e umile: “Anche qui sarebbe stato un bel posto per disegnare un cavallo bianco”. Chesterton accolse l’osservazione dell’autista con grande gioia: “Smisi di preoccuparmi del motivo per cui l’uomo comune avesse cercato di scalfire e lasciare segni sulle colline. Ero soddisfatto di sapere che l’uomo aveva voluto farlo perché io avevo visto un uomo che voleva farlo”. Il primo libro (il poema epico ne contiene otto) aveva emblematicamente come titolo: “La visione del Re” e Chesterton descrisse le condizioni desolate di una civiltà cristiana piegata dalla barbarie nemica: “Il mondo fu un deserto dietro il loro passo, presero l’amabile croce di Dio e ne ricavarono pezzi di legna…il Re a pezzi stava in ginocchio”. In questa situazione umiliante, prostrato in preghiera e ritiratosi sull’isola di Athelney, Re Alfred ebbe una grande visione: “Lui guardò; ed ecco Nostra Signora. Stava alta e passava sicura sull’erba come un cavaliere sul suo destriero…”.
Nella consapevolezza del dilagarsi dell’empietà e del conseguente scoraggiamento cristiano, la Vergine Maria pronunciava queste indelebili parole: “Ma tu e tutta la stirpe di Cristo siete ignoranti e coraggiosi, e avete guerre che a stento vincete e anime che a stento salvate. Non dico nulla per il tuo conforto, e neppure per il tuo desiderio…”. E’ la Madonna che ora pone ad un Re angosciato una terribile, decisiva domanda, che gli farà alzare e definitivamente volgere lo sguardo all’unica roccaforte di salvezza: “Sai provar gioia senza un motivo, dimmi, hai fede senza una speranza?”. Il Cavallo Bianco rappresentava per il Re l’emblema della purezza originale, come Maria, e doveva essere custodito dall’incuria pagana, che era segno del disordine e del peccato: “Quando il Re fu presso il fianco del Cavallo Bianco, il grande Cavallo Bianco era grigio, rovinato dalle erbacce che lo avevano infestato, da quando gente nemica, di fede e costumi diversi, aveva spazzato via l’opera del tempo antico”. Ecco così che il Re additava quel luogo divenuto sacro, la Valle del Cavallo Bianco, quale simbolo della vera pace cristiana: “Il Re comandò che il Cavallo Bianco rimanesse bianco come il primo manto di neve”. Alla luce delle parole di Maria veniva così esplicitata la missione del Re: “Anche sopra le nostre candide anime, grandi e feroci eresie si agitano più superbe del manto erboso, e più tristi del suo mormorio. Io continuo a cavalcare contro questa incursione, e voi non capite il mio ruolo; ma capirete, tra un giorno o tra un anno, quando una stella d’erba verde crescerà qui, che il caos vi ha colpito”. Re Alfred ribadiva così la verità e la fede necessarie a un mondo che stava dimenticando (come la nostra epoca moderna) di curare il Cavallo Bianco e di custodire il proprio cuore dalle insidie del peccato: “Se vogliamo continuare ad avere il cavallo antico, curatelo in modo che sia nuovo”. Il Re era perfettamente conscio della realtà del Maligno e vedeva chiaramente quanto in futuro sarebbe potuto accadere: “Tra molti secoli, tristi e lenti, io ho una visione, io so che i pagani ritorneranno”.
In quel preciso momento Chesterton, attraverso Alfred, descriveva con toni drammatici il paganesimo dell’epoca moderna, i suoi agenti, i comportamenti, i pensieri e le parole del nemico: “Essi non verranno su navi da guerra, non devasteranno col fuoco, ma i libri saranno il loro unico cibo, e con le mani impugneranno l’inchiostro…voi li riconoscerete da questi segni: lo spezzarsi della spada, e l’uomo che non è più un cavaliere libero, capace di amare o di odiare il suo signore. Sì, questo sarà il loro segno: il segno del fuoco che si spegne, e l’Uomo trasformato in uno sciocco, che non sa chi è il suo signore. Da questo segno li riconoscerete, dalla rovina e dal buio che portano; da masse di uomini devoti al Nulla, diventati schiavi senza un padrone, da un cieco e remissivo mondo idiota, troppo cieco per essere disprezzato…dalla presenza di peccatori, che negano l’esistenza del peccato…dall’onta scesa su Dio e sull’uomo, dalla morte e dalla vita rese un nulla, riconoscerete gli antichi barbari, saprete che i barbari sono ritornati”. Non spettava più a Re Alfred indicare quali vie intraprendere: “Come gli uomini potranno sconfiggerla, o se la Croce si innalzerà di nuovo, con la carità o la cavalleria, la mia visione non lo dice”. Il Cavallo Bianco, come ci ha ricordato Re Alfred, è ancora là che ci aspetta e abbisogna anche della nostra cura. Chesterton ce l’ha chiaramente indicato.
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