di Domenico Bonvegna
Ogni anno il 7 ottobre,
in occasione dell’anniversario della battaglia
di Lepanto e quindi della festa della Madonna
del Rosario(ottobre 1571), il mio pensiero va dritto a quegli anni intensi
di veementi scontri armati tra cristiani e musulmani. Per più di un secolo il
mondo cristiano di allora fu costretto a prendere le armi per difendersi
dall’avanzata inarrestabile dell’impero turco. Fu uno scontro di civiltà,
simile a quello che stiamo vivendo ai nostri giorni dopo l’11 settembre 2001?
Certo se stiamo al libro, più criticato che letto, di Samuel Huntington, “Lo
scontro di civiltà”, la risposta è si. Se invece ascoltiamo certo mondo
progressista, pacifista sempre e comunque, allora siamo in un mondo felice e
senza scontri, e se eventualmente c’è qualche conflitto, la colpa è sempre del
mondo occidentale.
Casualmente, ieri dopo
la veglia delle sentinelle in piedi
in piazza XXV Aprile a Milano, sono entrato nella chiesa di S. Maria Incoronata, in tempo per
ascoltare un frammento dell’omelia di un prete che biasimava il comportamento
della Chiesa del passato, quando benediceva le armi e le guerre…Poi secondo il
prete, per fortuna è arrivato il solito Vaticano II, un concilio, che è stato
per la prima volta, celebrato per combattere nessuno, e così tutto si è rimesso
a posto. Quindi stando al prete meneghino, il comportamento della Chiesa del
1500 era sbagliato, assolutamente da condannare.
Vediamo di fare una
panoramica di quegli scontri, di quelle battaglie, di assedi e scontri perlopiù
avvenuti sul mare, sulle coste del mare Mediterraneo. Prima di arrivare allo
scontro finale di Lepanto, ci sono stati una serie di piccole e grandi scontri tra
il mondo cattolico e quello ottomano che sono proseguitiper più di un secolo,
tra la fine del 1400 e il 1500. Naturalmente come per ogni episodio storico
passato, noi contemporanei, dobbiamo fare lo sforzo di immergersi in quel
tempo, per capire i pensieri di quegli uomini e donne di quei secoli. E’ quello
che hanno forse capito e raccontato nei loro libri, Arrigo Petacco e Alberto
Leoni. Sono i libri a cui farò riferimento nel mio studio, per forza di
cose, sintetico, che spero possa essere utile per voi lettori.
Dunque, i testi di
riferimento sono, “La croce e la mezzaluna. Lepanto
7 ottobre 1571: quando la Cristianità respinse l’Islam”, A. Mondadori
(2005), “L’ultima crociata. Quando
gli ottomani arrivarono alle porte dell’Europa”, A. Mondadori (2008),
scritti entrambe dallo storico, Arrigo Petacco e infine il testo di Alberto
Leoni, “La Croce e la mezzaluna”, con un sottotitolo abbastanza lungo:
“Le guerre tra le nazioni cristiane e
l’Islam. Una storia militare dalle conquiste arabe del VII secolo al terzo
millennio”, pubblicato dalle Edizioni Ares (2009):
Già questo sottotitolo, dà atto dell’argomento che sto affrontando.
1453
cade Costantinopoli.
L’evento tanto temuto,
ma da nessuno ritenuto possibile, era dunque accaduto. Scrive Petacco. “L’islam, che da tempo dilagava a macchia
d’olio lungo le sponde del mediterraneo, aveva infine sommerso anche l’ultimo
presidio cristiano del Vicino oriente”. La conquista ottomana della “seconda Roma” determinò una svolta
fondamentale nella storia, L’Europa orientale rimarrà per secoli soggetta
all’islam e quindi separata dalla civiltà cristiana occidentale. Un avvenimento
storico che colpì la fantasia degli europei per la sua drammaticità, ma nessuno
però ha colto le“decisive implicazioni
politiche”. Da circa due secoli, la ricca Costantinopoli, ridotta ormai a
una sorta di isola in un mare diventato sempre più musulmano, sembrava “fatalisticamente rassegnata a godersi le
delizie di uno splendido tramonto”. L’islam ormai era dilagato lungo le
coste africane fino a raggiungere la Sicilia e risalito i Balcani sfiorando
Udine e la stessa Vienna, Petacco la tratteggia come “una gigantesca tenaglia”. Costantinopoli era ridotta alle sole
fortificazioni murarie. Fu MehmedII ad assediare Costantinopoli e conquistarla,
mentre l’imperatore Costantino XI, nell’ultima disperata battaglia, morì
combattendo, soldato fra i soldati. I soldati turchi per tre giorni saccheggiarono
la città: “le strade e le piazze erano
lastricate di cadaveri orrendamente mutilati. Il sangue era ovunque. Neanche i
monasteri furono risparmiati e i loro inquilini, maschi e femmine, violentati e
uccisi, Molte monache per non cadere
nelle mani dei vincitori, cercarono la morte gettandosi in mare o lanciandosi
dalle finestre”. Nulla di nuovo, in queste occasioni, la storia si ripete
sempre.
Il
fronte aperto nel Mediterraneo.
I turchi in passato non
avevano mai avuto tanta confidenza con il mare, avevano sempre preferito
combattere essenzialmente sulla terra ferma. “La situazione cambiò in modo determinante con la conquista, da parte
della Sublime Porta, delle coste nord-africane”, scrive Alberto Leoni. Si
apriva un nuovo teatro di guerra, “che
vide pirati e corsari musulmani ripetere le gesta dei vari Mugehid dell’XI
secolo”. Mehmed ora disponendo di cantieri navali efficienti, di migliaia
di schiavi da mettere ai remi e di validi comandanti (quasi tutti cristiani
rinnegati) che di vele e di rotte si intendevano, “allargò gli orizzonti e la conquista del Mediterraneo diventò un’esigenza
prioritaria per la realizzazione del suo grandioso disegno”. “Un solo Dio in cielo, un solo re sulla
terra”, sarà l’obiettivo suo e di tutti i suoi successori, per un paio di
secoli, sarà questa l’idea di jihad sul mare.
La
pirateria barbaresca e il saccheggio delle coste mediterranee.
“La
guerra nel Mediterraneo - scrive Leoni - doveva conoscere uno sviluppo vertiginoso
con l’avvento di uno dei più geniali e crudeli ammiragli della storia: Kair ad
Din, il famoso Barbarossa, figlio di un rinnegato greco di Mitilene, che
esercitava la pirateria nell’Egeo[…]” Barbarossa e suo fratello Orudje, intravidero le enormi possibilità di
guadagno nelle scorrerie lungo le coste italiane e, nel 1516, riuscirono a
prendere il controllo di Algeri facendone strangolare il locale sceicco”.
Ma tra i pirati e corsari, non c’era solo Barbarossa, ma anche altri, come
Assan Agà, di origine sarda, Sinam il Giudeo, Aidino delle Smirne, denominato
Cacciadiavoli. Siamo nel 1534, Barbarossa a capo di una potente flotta
ottomana, va alla conquista della penisola italiana saccheggiando le coste
siciliane e calabresi. Intanto l’imperatore Carlo V cercò di rispondere con
un’altra potente flotta al comando di Adrea Doria, si cercò di conquistare
Tunisi in mano al Barbarossa, una lotta disperata. Leoni racconta dei diecimila
prigionieri cristiani, ammassati nei sotterranei della guarnigione di Tunisi,
Barbarossa che si trovava in difficoltà per l’assedio cristiano, voleva
trucidarli tutti in massa, ma i suoi ammiragli si opposero, temendo di perdere
gran parte del proprio patrimonio. Infatti occorre aprire una parentesi, “le prede umane erano infatti il bottino più
ambito dai pirati barbareschi perché, in un modo o nell’altro, avrebbero
fruttato denaro. Scrive Petacco. Gli
harem degli emiri si contendevano le donne giovani e belle, mentre i cantieri
navali, i mercanti e i proprietari di terreni o di cave avevano tutti bisogno
di braccia da lavoro a buon mercato. Ma ad averne più bisogno di tutti erano
gli armatori per i quali gli schiavi costituivano l’indispensabile forza
motrice delle galee”. I cristiani caduti in schiavitù, popolavano a
migliaia i cosiddette “bagni”, una sorta di lager (i
cortili) del Nord-Africa.
Intanto a Tunisi
durante l’assedio, accade un imprevisto, come in un romanzo d’avventura, i
prigionieri con a capo un cavaliere di Malta, il piemontese Paolo Simeoni,
rinchiuso con gli altri sventurati era riuscito a liberarsi dalle catene,
liberando tutti gli altri, “si pose a
capo di quella turba di disperati assetati di vendetta. Al pari di una marea
umana, i galeotti trucidarono i propri carcerieri, uscirono dalle prigioni e
attaccarono alle spalle la guarnigione annientandola completamente”.
Le truppe pontificie e
spagnole poterono entrare nella città e Barbarossa e Sinam si salvarono per un
capello. Ma basto poco tempo per tornare pienamente operativi, seminando rovine
e stragi in tutto il Tirreno.
Ma Barbarossa non era
solo un volgare tagliagole, ma un capo carismatico e intelligente, coadiuvato
da giovani luogotenenti che faranno parlare di sé come AmuratDragut, i calabresi Occhialìe
Carascosa, il siciliano baroneScipione Cicala e tanti altri rinnegati
destinati a compiere una brillante carriera sotto l’insegna della mezzaluna.
Infatti, scrive Petacco, “se leggiamo con
attenzione le testimonianze sulle incursioni dei barbareschi nelle località
costiere italiane, scopriamo che non sono quasi mai avvenute a casaccio, ma
suggerite e pianificate da una ‘mente’ militare. Le loro azioni risultano
spesso precedute da un’attenta raccolta di informazioni (confessioni estorte ai
prigionieri o delazioni dei rinnegati) e quindi messe a punto come una moderna
operazione di commando”.
Infatti in quegli anni
la caccia agli infedeli (i giaurri) “era
l’attività più redditizia di questi scorridori dei mari, i quali rientravano
alle rispettive basi con le fuste stracariche di umanità dolente. Il famoso
corsaro Dragut, per esempio, si vantava di avere rastrellato più di seimila schiavi
in una sola scorreria contro la ‘lunga terra’”.
Certo dopo aver letto
questi libri, si fa fatica comprendere le considerazioni di quelli come Pierangelo
Buttafuoco che scelgono l’islam, pensando di essere nella tradizione
del nostro Paese, anche se forse, per il giornalista siciliano, rappresenta una
specie di vezzo intellettuale, come
scrive il blog Qelsi.it.
Per il momento mi
fermo, nel prossimo intervento racconterò meglio il dramma di quei poveri cristiani strappati alle loro case e ai loro cari,
dalle coste italiane.
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