di Guglielmo Peralta
Una cosa è certa riguardo a questa
silloge poetica. In essa non c'è ombra di mistero e, di conseguenza, non ci
sono tinte fosche, cupe; anzi, il linguaggio, pur nella sua simbologia, ha la
trasparenza della leggerezza, di ciò che è tenue, raffinato, delicato. Perché
tale è la materia che ispira i versi, nei quali, a sua volta, essa trova
respiro; che non lascia pesare quella malinconia, di cui essa è portatrice e di
cui è velato l'intero tessuto poetico. Oggetto del versificare è la vita
vissuta. Ed è, questa, un'altra certezza che ci è data dallo stesso poeta in
un'intervista rilasciata per la rivista online "l'EstroVerso" il 17
Dicembre 2016. Egli dichiara: «La mia scrittura nasce dalla vita vissuta, non sono
capace di scrivere nulla che non è entrato nel mio sangue». E ancora: «Non ho
la formula esatta della poesia. (...) La
sento nascere dentro di me come una musica: misteriosa, dolorosa che mi libera
e mi fa sentire realizzato ed essenziale. La scrittura per me è il perno su cui
gira la mia vita». Che la poesia sia musica in parole, in versi, un vero poeta
lo sente e, dunque, lo sa. Se poi il poeta, prima di rivelarsi tale a sé
stesso, è un appassionato della musica e ne fa un'attività commerciale aprendo
una boutique di dischi, allora quel sentire la poesia come musica trova proprio
nella passione musicale il suo coronamento. È questo il caso di Emilio Paolo
Taormina, la cui vita è segnata fin dall'età di tredici anni dall'amore per la
musica e a sedici anni, con la composizione del primo testo poetico, lo
sposalizio tra la musica e la poesia ha il suo naturale compimento.
Nell'intervista, inoltre, egli dice: «Sono gli episodi che hanno scritto la mia
vita». Tra i fatti, tra gli accadimenti della vita, gli eventi della musica e
della poesia rientrano in modo preminente tracciando molto presto il suo
cammino esistenziale. E qui "episodi" è sinonimo, appunto, di eventi.
Infatti, episodio[1], come
suggerisce il suo etimo, sta a indicare qualcosa che sopravviene, che
interviene, che si annuncia. Come nell'antica tragedia greca le scene dialogate
seguivano all'ingresso del coro, così la vita di Emilio si svolge, si fa
"rappresentazione" a partire dall'annuncio di quei grandi eventi
creativi. La scrittura, col suo palinsesto musicale, diventa la porta magica
attraverso la quale Emilio realizza la propria vita. Egli si consacra alla
poesia, che lo «fa sentire realizzato ed essenziale». E la poesia è il luogo
privilegiato in cui egli ama ricordare e raccontare gli "episodi"
della sua vita; e qui sembra convenire con Márquez che «la vita non è quella
che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per
raccontarla"[2]. Tuttavia, non ci sono qui solo i ricordi a raccontare la vita
trascorsa, ma c'è altra vita, altra "materia" di cui pure consiste
questa silloge. Non di sola memoria "vive" il poeta. Accanto agli
"episodi" che la memoria e il cuore
selezionano perché appartengono a una vita "felice", accanto a questa
vita vissuta e vivificata, resa più reale, più vera dalla scrittura, dal
"racconto" che egli ne fa, c'è (e qui parafrasiamo
Márquez, volgendo in positivo il titolo del suo romanzo, Cronaca di una morte annunciata) il racconto di una vita "annunciata", che sempre si
annuncia nel suo farsi poesia. È la vita interiore, dello spirito, del sogno,
dell'immaginazione creatrice: quella che si crea da sé e che Taormina (come,
del resto, i veri poeti) vive senza soluzione di continuità, in quanto vita
sempre presente e avvertita, la quale, perciò, dura di più e va oltre la vita
vissuta, e che non ha bisogno del ricordo per essere raccontata. È il mondo di
Emilio, che si manifesta e prende quota quando la vita si "svuota"
della vita, della pesantezza dell'esistenza per consegnarsi alla leggerezza dell'essere che, contrariamente a quanto afferma Kundera, in Taormina è
sostenibile perché lieve lo rende la poesia, la quale è essa stessa leggerezza, ed è l'essere, la sua voce: canto d'amore per una vita vera, autentica, il quale evidenzia quanto
il mondo sia alienato e distante dall'essere, dalla bellezza e ne auspica la
trasformazione. La poesia, compresa nella sua natura ontologica, fa del nostro
poeta il "Corvo" che, in segreto silenzio, ripete a sé stesso quel
«mai più» che nei versi di questa raccolta non resta inascoltato. Il male, il
dolore, la morte non hanno nella poesia né l'antidoto né il placebo, ma la
cartina di tornasole che li mette in risalto facendone i temi fondamentali del
discorso poetico. La poesia, unico conforto e rifugio sicuro del nostro poeta,
è la montagna da scalare, ma la sua vetta è irraggiungibile. Tuttavia, essa
resta il punto privilegiato di osservazione; è la "cengia", la
sporgenza dalla quale guardare il mondo, non con distacco o con la "divina
indifferenza" montaliana, ma per meglio com-prenderlo e sperare che il
canto alimenti il desiderio della salvezza e, nel segreto del cuore, ogni uomo
possa pronunciare quel «mai più» come promessa contro i mali che dilaniano il
mondo. A differenza del «nevermore» di Poe, che dice l'impossibile ritorno alla
vita di Lenore, il «mai più» di Emilio è la denuncia del mondo. Ed è la
possibilità della rinascita dell'uomo affidata alla poesia. Inoltre, quel «mai
più» è anche la fine del tempo "felice", che ritorna solo nei testi e
nella memoria. E questo impossibile ritorno provoca dolore, nostalgia,
malinconia, solitudine. Sulla "cengia" della poesia, Emilio-Il Corvo,
ancora lui, replica quel «mai più» senza mai pronunciarlo. E sente che gli è
«solo compagno» il «corvo» che gracchia «dalla cengia» a «natale»: giorno che
fu di festa e ora «non più».
Dunque, la vita: quella vissuta
felicemente - quella della «memoria /(...) che vuole fermare / il vento / sulle
mura / dove c'era il sole»; che fa tenere «i ricordi / in tasca / come monete /
fuori corso», con le quali si vorrebbe
«comprare / un poco del tempo / perduto» - e la vita interiore, del sogno senza
tempo, la quale vive il tempo della poesia, che la scandisce e ne assicura la
durata; che trattiene dentro di sé «come sulla rena / bagnata / (...) le orme /
dei giorni»; che «solleva / gli uomini / un palmo dalla terra», sono i grandi
temi che figurano in entrambe le sezioni della raccolta e costituiscono i due
campi semantici, nei quali s'inseriscono gli elementi inerenti alle rispettive
forme di vita: da un lato, i ricordi con le percezioni sensoriali, i volti, gli
affetti, i luoghi, i giochi, gli amori, gli innamoramenti; dall'altro, il sogno
poetico con le visioni, i sentimenti, il pensiero, le fantasie, le emozioni, il
sentimento della bellezza. La forma in cui il tutto si distende è il frammento,
che è la parte "esecutiva", oltre che costitutiva, dei testi, i quali
sono paragonabili a spartiti musicali. La parola, qui, è musica pensata come
forma, e ogni frammento è suono che si aggiunge ad altro suono e non spezza
l'unità di senso ma, come in un mosaico, è parte determinante e significante
della composizione. Non ci sono titoli nei testi, né punteggiatura né maiuscole
e tenendo il libro tra le mani e sfogliandolo con il pollice velocemente si ha
l'impressione di vedere scorrere un'unica lunga poesia intervallata dagli spazi
bianchi, messi lì con la funzione di darle pausa e respiro, ma anche di
preparare, di annunciare un nuovo evento. Ed è sempre la poesia che si
annuncia, che accade, che ricorda la vita e la racconta; che, soprattutto, detta
sé stessa scrivendo la vita interiore di Emilio. È una poesia d'immagini, le quali non sono solo quelle generate dalle
figure di significato, ma anche quelle che si formano, in maniera più diretta,
nella mente del poeta, quelle pensate con le parole che le sognano. Sono queste
immagini, soprattutto, a creare il linguaggio figurato, di cui è ricca la
raccolta; ne troviamo più di una in molti testi, in armonica compresenza.
Diversamente dal Frammentismo di matrice irrazionale e decadente, che al disordine,
al marasma della vita faceva corrispondere nella costruzione dell'opera
letteraria un mosaico di frammenti, di episodi slegati fra di loro, qui tutto è
col-legato nella forma espressiva del frammento, nello stile che aderisce agli
"episodi" e ai "sogni" narrati con semplicità, concisione e
immediatezza e che insieme costituiscono un unicum,
al quale sono riconducibili anche le due sezioni della raccolta. E quest'unicum, che qui non ammette soluzione di
continuità, è la corrispondenza, pur
nella differenza, tra vita, musica e poesia; tra la vita che si vive e quella come la si vive per accettarla, per
darle un posto e una speranza nei sogni. La poetica del frammento di Taormina
riconduce a questa unità, a questa corrispondenza, che è il senso da dare al mondo.
Ricordi, folgorazioni,
illuminazioni descrittive, bozzetti, intuizioni, percezioni sensoriali, visioni
si alternano a momenti speculativi costituendo un lirismo, un flusso di coscienza lirica[3] che dà forma, anima e
corpo a tutta la raccolta. La quale è questa coscienza che si versa senza
soluzione di continuità e che invade gli spazi bianchi, sì che ogni testo
tracima nell'altro e non si sa, a volte, dove inizi e dove finisca una poesia;
dal principio alla fine c'è questo flusso, questo "panlirismo", che è
l'unicum della coscienza che compone
il tutto[4]. Pacatamente, il Nostro
Poeta affida a questa varietà espressiva ed espressionistica
la funzione di colmare il vuoto di una realtà sfuggente e incomprensibile per
accedere al senso, che egli sembra indicare proprio in quell'abbandonarsi al
flusso delle impressioni, che hanno la sorgente nella poesia. La quale è sempre
da cercare, inventare, da prendere al volo, perché «è come gli uccelli / tra i
rami / li vedi / solo quando / spiccano il volo». E quando il cammino sembra
tracciato e seguiamo il volo degli uccelli, ecco che arriva la «pioggia» a
cancellare il «sentiero». Viene meno la visibilità perché la poesia s'invola
«come gli uccelli» fino a scomparire del tutto per ricrescere come «l'erba» e
ripresentarsi in altre visioni, in altre versioni. «sul nostro sentiero /
l’erba / è cresciuta / tante volte / pioggia dopo pioggia / è stato
/cancellato». Perché
ciò che si manifesta è anche ciò che si sottrae alla nostra comprensione, sì
che la visione non è mai chiara,
unica, esaustiva. Il flusso della coscienza non interrompe i «sentieri» che il
pensiero traccia con i suoi percorsi. Essi, qui, non seguono orientamenti
diversi, non avanzano, ciascuno separato dall'altro, come gli Holzwege[5] heideggeriani, ma
s'incontrano tutti nel medesimo "bosco", in questa raccolta dove,
come abbiamo appena detto sopra, i testi vanno tutti nella medesima direzione e
confluiscono in un unico testo, che però non è la meta agognata, la quale resta
irraggiungibile e lascia l'opera incompleta, aperta, in-finita. La poesia fa di ogni poeta un errante e anche se qui,
in questo sentiero, non c'è interruzione, l'erranza resta irriducibile. La
Poesia, al di là della sua presenza sulla pagina, al di là del dettato in
versi, è l'ineffabile creatura increata che nell'ultimo testo della raccolta il
Nostro chiama "elis", nome di origine ebraica, che significa:
"la promessa di Dio" (El, infatti, indica l'essere divino). Ed è
anche un nome olandese, che potrebbe riferirsi alla ragazza olandese incontrata
nella valle dei templi ad Agrigento, alla quale Emilio accenna nell'intervista.
Se così fosse, l'associazione tra la Poesia e questa donna, forse da lui amata,
sarebbe un connubio perfetto. Di questa Poesia/Donna, egli dice:
«ti ho creata / con la creta / della mia anima
/ ti ho chiamata / elis / (...) tu non esisti / sei nelle piume / del pavone /
che sfidano / il sole / nel pigolio / del nido / che attende / la madre /
libera / come la brezza / che gioca / con l'erba / l'acqua che scorre /
sei la creatura / nata dal mio sangue /
e mi sussurra le parole / che scrivo». E in un altro testo: « (...) prendi
forma / e ti disfai / sei creatura di sabbia / e roccia / sei la musica / che
mi tiene sveglio / e cerca il suo corpo / nella parola». Questa creatura che "ditta
dentro", che traccia percorsi di pensieri restando incorporea e "non
detta", celata nel suo bosco segreto, è, dunque, la Poesia, la Giumenta d'oro che titola e occupa,
interamente, la seconda sezione della silloge. Essa è l'idolo adorato, venerato, che, essendo in virtù del nome elis "promessa divina",
trascende la natura simbolica, ovvero, la sola funzione di raffigurazione e,
dunque, non è una forma di idolatria. L'oro della "Giumenta", di cui
pure riluce la prima sezione, è la "parola" segreta «che le comprende
/ tutte» e che il Poeta vorrebbe «partorire» come dio partorì il Creato. È in
prossimità di questa parola creatrice
e impronunciabile che le parole di Taormina acquistano leggerezza e splendore.
In esse aleggia lo spirito della natura, la quale è presente in quasi tutti i
testi. Fuse con gli elementi e con le varie forme naturali, le parole diventano
creature tra le creature. Questo panismo
delle parole, trasversale in tutta l'opera, nella seconda sezione trova potenza
espressiva, essenzialità e purezza lirica maggiori in quanto si accompagna col
sentimento dell'amore, il quale diventa un pensiero dominante, che, insieme con
il ricordo del tempo "felice", scava nel cuore del poeta un solco più
profondo di malinconia. Animali, piante, fiori, alberi, cielo, luna, sole,
stelle, aria, vento, terra, acqua, fuoco partecipano ai sentimenti del poeta,
che li personifica dando loro un'anima, oppure li associa a parti del corpo
della donna amata o assegna loro capacità consolatoria. Riportiamo degli
esempi.
"vorrei volare / sulle spalle / del
vento"; "il sole d'oro / aspetta di giocare / per i viali / delle
viole / con i bambini"; "petalo/ dopo petalo / la margherita / rimase spoglia / ma non rispose";
"cosa / mi hanno detto / il miagolio / dei gatti /sulle tegole / le stelle
/ e le basole / che al mattino mi / accompagnavano al liceo / in qualche modo /
qualcosa / hanno scritto / dentro di me"; "nella notte / di quiete /
e di vento / gli ulivi / dormono / ad occhi aperti / come soldati / in
trincea"; "il tuo corpo / ha il colore / del grano / le tue mani /
odorano / d'uva e di pane"; "un corimbo / di elicriso / screziava
d'oro / i tuoi occhi"; "i tuoi capelli / odoravano / dell'acqua lenta
/ dei canali"; "la solitudine / è una roccia / aguzza / taglia le
mani / gli usignoli / e gli ultimi fiori di luna / provano / a consolarmi".
Dell'oro della "Giumenta"
rifulgono i versi, dove il Poeta canta l'amore per le donne amate nella sua
gioventù. L'amore, anche se spesso è accompagnato dal dolore, dalla nostalgia,
dal sentimento della morte, è un ricordo sempre vivo. Esso conserva, infatti,
il forte legame con la vita ed è la prova della stessa esistenza. "Amo,
dunque sono" sembra dire Emilio nei seguenti versi:
«chi ci prese /
dal tutto / e ci pose / l'uno / accanto all'altra / come due / conchiglie /
lasciate dalle onde / sulla spiaggia / noi che / non siamo / neanche un attimo
/ nell'universo / siamo / in questo momento».
Il momento è l'evento dell'amore in
cui lo stesso essere si
"eventua"[6],
accade, separandosi «dal tutto» indistinto dell'origine. Questo sentimento così fortemente avvertito, vissuto
ontologicamente, pesa nel tempo della senilità, in cui il Poeta, in assenza
dell'amore, lo rivive nel ricordo del passato, che ripete il verso gracchiante
del corvo: quel «mai più» su cui la
Giumenta/Poesia stende una
patina d'oro trasformandolo in canto, come in questa poesia:
«vorrei volare /
sulle spalle / del vento / come gli uccelli / migratori / tagliare come bisturi
/ il corpo / della tristezza / riprendere la vita / capire che l'amore / non è
sempre verde / come l'edera / non voglio / che il sole / non trovi più / il
sorriso / sul mio viso».
Il desiderio di "uccidere"
la tristezza e di tornare a sorridere vivendo il tempo presente è il modo per
esorcizzare il passato. Ed è la risposta che mette a tacere il corvo, il quale
può abbandonare la cengia lasciando che sia la Poesia a prendervi posto.
[3] es.
"l'alba/è un bambino/con gli occhi/stupiti/un
frullo d'ali/sveglia/il sonno/degli ulivi/un ragno/si smarrisce/nel
labirinto/della sua tela/oh se gli orologi/ fossero di neve/e si
sciogliessero/nel sole/del mattino" (pag. 24)
[4]
In virtù del panlirismo è possibile leggere le poesie dalla prima all'ultima
come un unico testo non conchiuso,
perché oltre l'ultimo testo continua a fluire l'inarrestabile coscienza. La
raccolta, pertanto, resta 'aperta'.
[5]
Sono i sentieri nel bosco, che s'interrompono impedendo di proseguire verso la
meta determinata. Fuor di metafora,
stanno a significare il cammino dell'uomo, del pensiero, che non può che
procedere se non come "irriducibile erranza". Ciò perché non esiste
un'unica via, un'unica indagine diretta alla conoscenza, alla verità
dell'essere, ma tanti percorsi di pensiero ugualmente utili, necessari, anche
se la verità resta segreta, sepolta nel bosco.
[6] da
"eventuarsi": neologismo dell'autore della presente relazione
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