di Giuseppe Bagnasco
Bent
Parodi di Belsito a cui il volume in titolo è dedicato, si autodefiniva un
“tuttologo” a indicare come nelle sue conferenze, anche semplici interventi,
spaziava su tutto ciò che era oggetto delle sue oratorie. E ben si addice
questo profilo a Carmelo Fucarino che nel suo Il Genio Palermo, vita morte e miracoli di un dio
(Thule, Palermo 2017), se ne dimostra, come in un rito, ampio ed erudito
officiante. Le sue radici storiche, che hanno trovato fertile humus nel solco delle
tradizioni classiche, e di cui si avvalsero i fortunati studenti del Liceo Garibaldi che
per ben 17 anni lo ebbero a docente, sono il substrato su cui ha edificato una
monumentale storia sul Genio
di Palermo come una “preziosa pietra miliare da incastonarsi…fra le carte…della
cultura siciliana”, così come afferma in postfazione il critico-editore Tommaso Romano.
Il volume diviso in tre parti, impreziosito
da 41 figure, la totalità dedicata al Genio,
ben si presta ad una recensione dalla duplicità esplicativa, giacchè mentre da
un lato risulta “facile” nella sua esposizione “tuttologica” senza tecnicismi
di dubbia interpretazione come sui richiami storici, sui riti, sulle epigrafi, dall’altro
risulta “difficile” nella scelta degli
aggettivi da apporre a questa mirabile opera storico-letteraria. Fosse stato un
quadro, quale fu l’unico dipinto eseguito da Vito D’Anna, potremmo elencare e
distinguerne le figure, i contorni, la prospettiva, la mitezza degli sguardi
fino allo stupore dei personaggi lì rappresentati. Si tratta invece, nella
prima parte del testo, dello studio di un viaggio “contemplativo” tra le
trattazioni comparate dei primigeni del Genio
nelle varie culture. Trattazioni che non
si fermano a quelle mediterranee ma si spingono attraversando le Indie fino al
Giappone pur conservando i diversi riti un comune denominatore come il culto
dei morti e non ultimo, proprio di quelle orientali, delle anime che “convivono”
insieme ai presenti. La trattazione storico-antropologica, per rimanere
nell’ambito della nostra, identifica nel
Daimon della
cultura greca del tempo, il progenitore del Genius etrusco-romano, anch’esso ritenuto
mediatore nei confronti del divino, così come ce lo rimanda Platone nel Simposio
o
quale fu in antico per antonomasia la Pizia dell’Oracolo di Delfi. Per Roma
comunque un dio secondario, tutore e
protettore della famiglia nonché di tutte le attività, in particolare di quelle
“geniali”. Da ricordare che il Genio nella tradizione
romana, sopravvissuto quasi mille anni,
fu soppresso da Teodosio con l’Editto del 392.
La seconda parte, costituente il corpo
centrale del volume, è dedicata ai Geni
di
Palermo a ciascuno dei quali è dedicata
ampia descrizione con minuziosa e certosina ricostruzione storica anche
riguardo i luoghi. Tutte le figure dei Geni si distinguono sia per le diverse posture,
anche se somiglianti per ovvie ragioni, che per i differenti soggetti che lo
contornano. Ma per tutti una sola immagine: Un vecchio barbuto coronato di
nobiltà ducale con una serpe sul petto. Ed è così che in Palermo con questa
icona, l’Autore ce lo descrive specie in quello del Garraffo, di Palazzo
Pretorio, di Palazzo Isnello e di Piazza della Rivoluzione, rappresentato sia
in sculture che in bassorilievi, finanche in arazzi o semplicemente raffigurato
con il solo volto nei fregi di cancellate. Per la Storia quello di Piazza della
Rivoluzione, risulta il più emblematico e
amato dal popolo che anche per questo, fatto spostare nel 1852, riconquistata
la Sicilia, dal generale Carlo Filangeri che lo relegò in un magazzino del
Senato da dove lo trassero otto anni dopo i palermitani “garibaldini
dell’ultima ora” per riportarlo nel sito a lui più “congeniale”. Spesso nelle
composizioni il complesso scultoreo, completo di sottostante vasca, portava
alla base una scritta provocatoria se non sibillina: “ Suos devorat, alienos
nutrit”. Lo testimoniano, e ce li riporta l’Autore, gli scritti di Vincenzo
Auria, Tommaso Fazello, Gaspare Palermo fino a Vincenzo Di Giovanni o al
precisissimo diarista marchese di Villabianca. Questa epigrafe si rifà alla
nomea acquisita nel tempo dalla città di Palermo da sempre generosa con gli stranieri e parimenti non altrettanto con
i suoi figli meno abbienti e questo fino al presente sebbene ora in scala
nazionale.
Nella terza parte, di minore corposità
rispetto le prime due ma conclusiva, il Fucarino affronta con circostanziata
indagine, la simbologia del serpente. E questo, secondo il suo metodo, a
cominciare dai vari episodi riportati da Virgilio nell’Eneide a finire a quella
orfica dove il rettile inghiottendo la sua coda conferisce a siffatta
conformazione circolare il “continuum” morte-rigenerazione. Al riguardo e per completezza, a memoria nostra, ritroviamo infatti ancora il
serpente già nel biblico Giardino dell’Eden come portatore della conoscenza,
nel bastone trasformato da Mosè, nei due grandi serpenti marini che uccidono
l’omerico Laocoonte, mentre lo ritroviamo adorato come un dio (Quetzalcoatl) nella
religione azteca e tolteca, secondo i diari del domenicano Bartolomeo de Las
Casas che fu al seguito del “Conquistador” Hernan Cortez. Quello che più conta, e ci riguarda da
vicino, è come la simbologia del serpente sia giunta fin dentro la nostra
cultura, quale simbolo della medicina che vediamo sia attorcigliato attorno
alla verga di Asclepio sia al bastone alato di Mercurio. Il che non è affatto
sorprendente perché già nell’antichità si estraevano dal veleno, tolte le
tossine, medicinali curativi. Il
Genio Palermo non è solo un volume ricco di dati storici, una
passerella iconografica sui tanti modi di rappresentarlo, ma si presenta come
un insieme di notizie complete ed esaustive sulle biografie degli autori, sulle
descrizioni dei complessi architettonici che li custodivano nonchè sui contesti
delle vicende storiche in cui nascevano le opere. E non è tutto perché delle
varie interpretazioni sulla simbologia del serpente fornite dai vari
storiografi, molte sono puntualmente smentite con inoppugnabili argomentazioni
dal Nostro, ritenendole fantasiose. A conclusione di queste pur non esaustive
note e a parer nostro, Carmelo Fucarino non è stato e non è, solo un interprete
e un docente-traghettatore della conoscenza ma un fervente ricercatore-esploratore,
quasi un novello Livingstone alla
ricerca delle fonti del mondo della cultura classica. E non solo. Unisce a ciò
una infinita voglia di sempre ulteriori indagini nel campo storico e letterario,
non ultimo quello sui Miti dalla cui
esperienza, crediamo, abbia tratto l’ispirazione del presente volume. In esso,
al pari del Rosario La Duca, pone richiamo sugli antichi quattro rioni della
vecchia Palermo e dove, a dar manforte al presente contesto, spicca quello
dell’Albergheria che reca dipinta nel suo scudo una serpe verde. In definitiva Il Genio Palermo si
presenta come un mirabile assemblaggio di rara erudizione tra storia e mito fatta
dal Fucarino sì da offrire un esemplare contributo di ricerca dotta e
appassionata su di un tema, mai così profondamente esplorato. A conferma di questo excursus sul reale valore
della presente opera, basta dare uno sguardo alla bibliografia essenziale dove
accanto ai tanti testi del ‘900 ne troviamo
otto dell’800 e ben tre del ‘700. Una consultazione immensa senza contare tra
gli altri, i numerosissimi riferimenti storici da Tito Livio ad Apollonio
Rodio, Plutarco, Diogene Laerzio, Giuseppe Flavio fino ad Orazio, Catullo,
Virgilio. Un oneroso e appassionato lavoro, fatto con rigore e perizia dal
Fucarino soprattutto nell’esame delle fonti e tale da porlo per giusta fama accanto
a suoi concittadini di valore quali il
poeta Vito Mercadante, il sociologo Ennio Pintacuda, lo storico d’arte Luigi
Sarullo. E non ultimo per la Storia quel Matteo Bonello, figlio del Guglielmo fondatore
della “civitas prizzese”, di nobiltà normanna e signore del Castello di Caccamo,
dentro le cui mura ordì la congiura contro il legittimo re Guglielmo I e che
principiò proprio con l’uccisione del Primo ministro Majone di Bari, per mezzo
di una spada la cui elsa, ancora inchiodata sul portone arcivescovile, è
falsamente mostrata ai turisti come autentica, malgrado l’elsa cinquecentesca e
il certo riferimento al feudale Ius Gladii ne tradiscono la storia. Dettagli
questi, che appaiono superflui e di semplice ornamento rispetto un’opera di
tale levatura quale è Il Genio
Palermo
che onora l’intera sicilianità degli
studiosi dell’arte e della storia e che deve il suo ampliamento ad uno studioso
di valore quale certamente è Carmelo Fucarino che ne confina la gloria.
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