di Giuseppe La Russa
Risulta
ovvio come in ogni autore, poeta o romanziere, ricorrano stilemi, contenuti e
parole che nel corso di una lunga produzione diventano il marchio di fabbrica
dello stesso. Alla sua seconda opera in versi, si può già tracciare un piccolo
bilancio per Maria Patrizia Allotta, poetessa che ha esordito nel 2013 con la
silloge Anima all’alba e che nel 2017
pubblica, sempre con la casa editrice Thule, Il giglio e l’ortica.
Ma
come in ogni percorso poetico – che certamente è anche di vita – la penna di
Maria Patrizia Allotta appare più matura, più densa, nitida e chiara.
Ma
procediamo con ordine, andando a scovare gli elementi di continuità con la
raccolta precedente, Anima all’alba:
innanzitutto una delle parti della silloge attuale si intitola Zolle dell’anima, come a richiamare
immediatamente l’essenza stessa di un percorso. Inoltre è spesso presente in Il giglio e l’ortica l’immagine
dell’alba, spesso citata come nella poesia Fiato
all’alba, o semplicemente rievocata attraverso semplici ed essenziali pennellate;
e pensiamo anche alla raccolta di testi dell’amico Tommaso Romano e da Maria
Patrizia Allotta curata e intitolata Nel
buio aspettando l’alba, speranza che non muore. Ma tralasciamo per un
attimo queste osservazioni per riprenderle in seguito.
Si
è detto di essenzialità: da una scorsa breve dei testi della raccolta, ciò che
balza agli occhi è proprio la concisione del dire poetico. Sia chiaro che una
tale cifra stilistica non si traduce affatto in povertà, ma è proprio il segno
di una maturazione e di una crescita che passano attraverso le mutate
esperienze di vita e che si proiettano, poi, nel dettato poietico e creativo.
Nel corso di quattro anni, immaginiamo, nuove esperienze e nuovi orizzonti si
sono affacciati nella sua vita e così, in Maria Patrizia Allotta, il bisogno è
divenuta, probabilmente, questa essenzialità. Non è un caso che tra le dediche
si trova quella a Fabio e al «suo dire essenziale» e che nel primo testo, il Giglio e l’ortica che dà il titolo alla
raccolta, si legga: «E si cercano gigli essenziali».
Tra
le marche stilistiche che la poetessa mantiene vive rispetto alla prima sua
fatica letteraria vi è un verso breve, teso alla massima carica espressiva,
l’abolizione quasi totale della punteggiatura e la disposizione a scalini riconducibile
ad un autore come Mario Luzi, la cui lettura è probabilmente tra le più
decisive. Ma ciò che appare evidente in questa nuova esperienza poetica è il
discorso asciutto, conciso, ma proprio per questo forte, pregnante, denso. La
parola è simbolo, è epifania del sacro, momento rivelativo, dipinto; magistrale
appare così l’incipit della raccolta con l’avverbio di tempo ‘ancora’: esso
dona l’idea di una continuità nel tempo e nello spazio, è un continuum esistenziale e letterario, è
un percorso che ha raccolto e che raccoglie nuova vita.
Il
titolo offre, inoltre, un forte spaccato dei contenuti presenti nella raccolta:
da un lato il giglio, simbolo di lucentezza, delicatezza e bellezza, e
dall’altra l’ortica, metafora di asprezza e difficoltà. Una antitesi, nel
titolo, che viene calata nei vari testi della raccolta; osserva, a proposito,
Tommaso Romano nella postfazione come in questa metafora vi sia «tutto
l’universo di una poesia alta e solenne, intima e dolente, forte e umile al
contempo». Non si tratta di semplice contraddizione, ma di uno sguardo profondo
e serio sull’esistenza, sulla quotidianità fatta di momenti alti e bassi, di
bellezza e della presenza del turpe, di immanente e trascendente. Ma nella
maturazione di uno spirito, la potenza dello stesso sta nell’accettare «ogni
sfida senza viltà», come si legge in Fiato
all’alba attraverso una probabile citazione di Montale.
Se
è vero che il tempo è logorio, se gli anni scavano solchi e producono
nostalgie, la poesia di Maria Patrizia Allotta è sempre viva e alla ricerca di
un approdo, di un risveglio, di una resurrezione. Ecco perché, si diceva, la
parola è essenziale e diviene via di accesso all’infinito, all’immutabile,
percorso preferenziale per il Senso; ecco perché l’alba, per riallacciarci al
discorso precedentemente lasciato in sospeso: essa rappresenta l’inizio che
quotidianamente si ripete, nella consapevolezza che, come scrive Gonzalo
Alvarez Garcia nella prefazione, «tutto si rinnova, tutto cambia, tutto
rimane».
Poi di fiato d’alba
apre luce al sole
finalmente.
Canto dal petto irrompe
resuscita fervore intenso
nuovo entusiasmo
si avverte.
Nei versi proposti, e in cui si nota
l’attenta disposizione, l’anima infinita può osservare l’affacciarsi continuo
della speranza, la quotidiana gioia di un perpetuo inizio, il perenne rinascere
della natura, può diventare natura essa stessa, come nell’emblematico testo Risorgere: «Mi
piace esistere/oltre la palude/come ginestra in fiore.// E tra l’effluvio/di antiche
radici/risorgere/nella mia stessa valle/tra i soliti soffi vitali/che
conducono/a raggi ilari/spazi aprendo/verso nuovi orizzonti/».
Il
percorso di cui si diceva prima, prima esistenziale e poi letterario, è giunto
a maturazione, ma non possono negarsi nuovi orizzonti, lo sguardo è sempre
rivolto al domani, sempre rivolto in avanti. La disposizione stessa dei versi è
un continuo rincorrersi tra gli stessi, pronti a generare e ad autogenerarsi,
scontrarsi ed incontrarsi; l’anima della poetessa si schiude, all’alba, come
fiori novelli, come giglio delicato che osserva le ortiche, che vive la
pesantezza e l’asprezza, ma che in un continuo parto sa accogliere un soffio
vitale mai assopito, capace di obbedire perennemente alla vita, in grado di
«contemplare/la luce fioca/di ogni tramonto/con lo stesso coraggio/aspettando
poi/i bagliori/di qualsiasi alba/che desteranno//nella commozione/ancora/la
meraviglia dello stupore/per il Cosmo tutto//».
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