mercoledì 30 agosto 2017

Maria Patrizia Allotta, "Il Giglio e l'ortica" (Ed. Thule)

di Giuseppe La Russa

Risulta ovvio come in ogni autore, poeta o romanziere, ricorrano stilemi, contenuti e parole che nel corso di una lunga produzione diventano il marchio di fabbrica dello stesso. Alla sua seconda opera in versi, si può già tracciare un piccolo bilancio per Maria Patrizia Allotta, poetessa che ha esordito nel 2013 con la silloge Anima all’alba e che nel 2017 pubblica, sempre con la casa editrice Thule, Il giglio e l’ortica.
Ma come in ogni percorso poetico – che certamente è anche di vita – la penna di Maria Patrizia Allotta appare più matura, più densa, nitida e chiara.
Ma procediamo con ordine, andando a scovare gli elementi di continuità con la raccolta precedente, Anima all’alba: innanzitutto una delle parti della silloge attuale si intitola Zolle dell’anima, come a richiamare immediatamente l’essenza stessa di un percorso. Inoltre è spesso presente in Il giglio e l’ortica l’immagine dell’alba, spesso citata come nella poesia Fiato all’alba, o semplicemente rievocata attraverso semplici ed essenziali pennellate; e pensiamo anche alla raccolta di testi dell’amico Tommaso Romano e da Maria Patrizia Allotta curata e intitolata Nel buio aspettando l’alba, speranza che non muore. Ma tralasciamo per un attimo queste osservazioni per riprenderle in seguito.
Si è detto di essenzialità: da una scorsa breve dei testi della raccolta, ciò che balza agli occhi è proprio la concisione del dire poetico. Sia chiaro che una tale cifra stilistica non si traduce affatto in povertà, ma è proprio il segno di una maturazione e di una crescita che passano attraverso le mutate esperienze di vita e che si proiettano, poi, nel dettato poietico e creativo. Nel corso di quattro anni, immaginiamo, nuove esperienze e nuovi orizzonti si sono affacciati nella sua vita e così, in Maria Patrizia Allotta, il bisogno è divenuta, probabilmente, questa essenzialità. Non è un caso che tra le dediche si trova quella a Fabio e al «suo dire essenziale» e che nel primo testo, il Giglio e l’ortica che dà il titolo alla raccolta, si legga: «E si cercano gigli essenziali».
Tra le marche stilistiche che la poetessa mantiene vive rispetto alla prima sua fatica letteraria vi è un verso breve, teso alla massima carica espressiva, l’abolizione quasi totale della punteggiatura e la disposizione a scalini riconducibile ad un autore come Mario Luzi, la cui lettura è probabilmente tra le più decisive. Ma ciò che appare evidente in questa nuova esperienza poetica è il discorso asciutto, conciso, ma proprio per questo forte, pregnante, denso. La parola è simbolo, è epifania del sacro, momento rivelativo, dipinto; magistrale appare così l’incipit della raccolta con l’avverbio di tempo ‘ancora’: esso dona l’idea di una continuità nel tempo e nello spazio, è un continuum esistenziale e letterario, è un percorso che ha raccolto e che raccoglie nuova vita.
Il titolo offre, inoltre, un forte spaccato dei contenuti presenti nella raccolta: da un lato il giglio, simbolo di lucentezza, delicatezza e bellezza, e dall’altra l’ortica, metafora di asprezza e difficoltà. Una antitesi, nel titolo, che viene calata nei vari testi della raccolta; osserva, a proposito, Tommaso Romano nella postfazione come in questa metafora vi sia «tutto l’universo di una poesia alta e solenne, intima e dolente, forte e umile al contempo». Non si tratta di semplice contraddizione, ma di uno sguardo profondo e serio sull’esistenza, sulla quotidianità fatta di momenti alti e bassi, di bellezza e della presenza del turpe, di immanente e trascendente. Ma nella maturazione di uno spirito, la potenza dello stesso sta nell’accettare «ogni sfida senza viltà», come si legge in Fiato all’alba attraverso una probabile citazione di Montale.
Se è vero che il tempo è logorio, se gli anni scavano solchi e producono nostalgie, la poesia di Maria Patrizia Allotta è sempre viva e alla ricerca di un approdo, di un risveglio, di una resurrezione. Ecco perché, si diceva, la parola è essenziale e diviene via di accesso all’infinito, all’immutabile, percorso preferenziale per il Senso; ecco perché l’alba, per riallacciarci al discorso precedentemente lasciato in sospeso: essa rappresenta l’inizio che quotidianamente si ripete, nella consapevolezza che, come scrive Gonzalo Alvarez Garcia nella prefazione, «tutto si rinnova, tutto cambia, tutto rimane».

Poi di fiato d’alba
apre luce al sole
                                                       finalmente.
Canto dal petto irrompe
resuscita fervore intenso
nuovo entusiasmo
si avverte.

Nei versi proposti, e in cui si nota l’attenta disposizione, l’anima infinita può osservare l’affacciarsi continuo della speranza, la quotidiana gioia di un perpetuo inizio, il perenne rinascere della natura, può diventare natura essa stessa, come nell’emblematico testo Risorgere: «Mi piace esistere/oltre la palude/come ginestra in fiore.// E tra l’effluvio/di antiche radici/risorgere/nella mia stessa valle/tra i soliti soffi vitali/che conducono/a raggi ilari/spazi aprendo/verso nuovi orizzonti/».

Il percorso di cui si diceva prima, prima esistenziale e poi letterario, è giunto a maturazione, ma non possono negarsi nuovi orizzonti, lo sguardo è sempre rivolto al domani, sempre rivolto in avanti. La disposizione stessa dei versi è un continuo rincorrersi tra gli stessi, pronti a generare e ad autogenerarsi, scontrarsi ed incontrarsi; l’anima della poetessa si schiude, all’alba, come fiori novelli, come giglio delicato che osserva le ortiche, che vive la pesantezza e l’asprezza, ma che in un continuo parto sa accogliere un soffio vitale mai assopito, capace di obbedire perennemente alla vita, in grado di «contemplare/la luce fioca/di ogni tramonto/con lo stesso coraggio/aspettando poi/i bagliori/di qualsiasi alba/che desteranno//nella commozione/ancora/la meraviglia dello stupore/per il Cosmo tutto//».

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