mercoledì 22 novembre 2017

Emanuele Insinna, "Petrafennula" (Ed. Thule)

di Sandra V. Guddo

Nel mondo impazzito e fortemente inquinato, e non parlo soltanto di inquinamento atmosferico, nel quale siamo costretti a vivere c’è una specie che è a rischio di estinzione: la figura del Poeta!
 Una specie senza la quale il mondo sarebbe travolto ed ingoiato nel buco nero del nulla. Il poeta è colui che crede ancora nella forza del Sogno, pur restando saldamente ancorato alla realtà e si prodiga, lottando con le armi dell’Arte, percorrendo le vie dello stupore, per la compiutezza della soaltà, come direbbe il poeta filosofo, Guglielmo Peralta. Un neologismo da lui coniato per indicare la fusione della realtà con la sua parte migliore, cioè con la dimensione del sogno. Ma già William Shakespeare, qualche secolo fa, nel dramma “ La Tempesta” aveva affermato che “ siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni e nello spazio d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita”.
Ed io aggiungo che la nostra esistenza, senza sogni, rimarrebbe sterile come un albero senza frutti!
Ovviamente, mi riferisco a quei pochi poeti degni di tale nome, come Emanuele Insinna, che nonostante la bruttura, la sporcizia e la violenza gratuita che caratterizzano il nostro mondo, ha saputo mantenere il contatto con la Bellezza del Creato, che ritroviamo integra nei suoi versi. Ha saputo ascoltare la voce del divino che è in ciascuno di noi per non dimenticare che siamo capaci di sentimenti ed emozioni positivi e non soltanto di istinti brutali.
Ma quali sono i sogni del nostro poeta? Tenterò di rispondere a tale domanda più avanti.
 Ora occorre restare vigili perché c’è un’altra specie che è a rischio di estinzione e senza la quale non c’è alcuna possibilità di sopravvivenza per il genere umano. Questa specie è un piccolo operoso insetto: l’Ape, come scrive lo stesso Insinna in una lirica che chiude questa silloge (si tratta di una ninna nanna dedicata al piccolo Emanuele) “ api nica nica suca u meli ‘na lu ciuri “.
Senza l’azione operosa dell’ape che impollina fiori e piante, la vita sulla Terra scomparirebbe in poco tempo. Le api, come affermano concordi gli scienziati, sono gli indicatori biologici dello stato di salute del nostro pianeta. Lo stesso discorso vale per il Poeta: finché ci saranno poeti ed api abbiamo ancora un filo di speranza.
Scusate se ho voluto insistere su questo parallelismo tra ape e poeta Insinna perché Egli, non so quanto consapevolmente, ha reso omaggio alle api più di chiunque altro, creando sculture tridimensionali in cera, prodotta dalle api. Egli è stato ed è uno scultore ceroplasta. Ha anche scritto un saggio nel 2014 su “ Cera, ceroplasti e cirari” ottenendo diversi riconoscimenti e premi.
E come se non bastasse la Petrafennula, che guarda caso, è il titolo della silloge poetica che questa sera presentiamo: “ Petrafennula dura e duci è a puisia”, è un dolce tipico siciliano, di origine araba, a base di miele. Miele d’api! Così con questo libro E. Insinna riesce a creare un ponte di empatia con i suoi lettori, un legame, un colloquiare intimo e familiare che tocca la mente, il cuore e lo stomaco di chi lo legge.
A ben guardare questa ape Insinna ha scelto di esprimersi nell’antica lingua dei nostri padri: il siciliano e lo fa richiamando come suo modello di riferimento il grande Ignazio Buttitta, poeta di piazza per eccellenza. Questo è il sogno del nostro autore! Impedire che la lingua dei nostri padri si perda nei rivoli di ristretti ambiti dialettali o peggio che venga del tutto obliata dalle nuove generazioni.  Ricordando e facendo tesoro della grande lezione di Ignazio Buttitta così efficacemente espressa in “ Lamento per il Sud “, l’Autore ne riporta alcuni fondamentali versi nella sua nota introduttiva, quasi come monito: “ Un populu/ diventa poviru e servu/ quannu ci arrobbanu a lingua/ addutata di patri/: è persu pi sempri.”
 Insieme alla lingua siciliana si perderebbero anche le più significative tradizioni del nostro immenso patrimonio culturale. Canti e cunti che arrivano dalla tradizione orale, i truvaturi di santi, e tutto ciò che è legato alla nostra etnostoria. Per questa fondamentale operazione culturale Insinna sceglie non il siciliano aulico, arroccato, immobile nel tempo, ingessato in forme espressive cadute in disuso ma un siciliano verace che, come ogni altra lingua, si è evoluto nel corso dei secoli, si è modificato lasciandosi contaminare dal parlato della gente per strada e nelle piazze, dall’uso quotidiano.
Se volessi adoperare una metafora per rappresentare l’evolversi naturale di una lingua, utilizzerei quella di un treno in corsa che attraversa città e villaggi, in lungo e in largo, percorrendo in ogni direzione la sua terra. Un treno affollato dove tanti viaggiatori si incrociano, si incontrano e si scontrano. Alcuni scendono dal treno mentre altri salgono con il loro bagaglio di novità. Sono le parole: fonemi e grafemi ancora poco conosciuti che vanno a sostituire quelli caduti in disuso, soppiantati dalle mode o semplicemente sostituiti da etimi coniati in ambiti specifici. Sono i cosiddetti linguaggi settoriali propri della scienza, della tecnologia, della medicina; altri provengono dal villaggio globale nel quale siamo immersi, altri ancora dal nuovo modo di esprimersi in rete. A volte si fatica ad esprimersi interamente in siciliano ma ciò non vuol dire che la nostra lingua debba essere archiviata. Di ciò è fermamente convinto Emanuele Insinna  che utilizza un siciliano comprensibile a tutti perché il poeta di piazza ha il dovere di essere vicino alla gente di Sicilia. Terra che egli ama profondamente in modo autentico, senza retorica, senza inutile enfasi, senza forzature e per la quale, impegnandosi in prima persona, è pronto a battersi per contribuire al suo risanamento di valori.
Lo si capisce subito dal dipinto in copertina, il cui autore Leonardo Albanese, anche lui siciliano doc, riporta immagini che sintetizzano la migliore sicilianità, la sua storia e le sue tradizioni: sullo sfondo i paladini, eroi dell’epopea siciliana, in primo piano la pretafennula, avvolta nella sua bella carta colorata e, in basso, un vassoio colmo di fichidindia.
Dal mio punto di vista nessun altro simbolo come questo frutto rappresenta la sicilianità; pungente e doloroso all’esterno, dolce e succoso all’interno. E’ l’ossimoro perfetto per raccontare in versi come fa Insinna tutto il Bene e tutto il Male di cui è capace Il siciliano che eccelle in entrambi i casi come l’Innominato dei Promessi Sposi. Nella sue 70 liriche egli canta la sua terra “ dura e duci  è la Puisia” come la Sicilia. A tal proposito vorrei ricordare una dichiarazione dello stesso Insinna a chiarimento di quanto finora abbiamo esposto:
“La poesia è allo stesso tempo la radice e il fiore di tutti gli altri sistemi di pensiero. È ciò da cui tutto scaturisce e tutto adorna; ciò che, se inaridisce nega frutto e seme e priva il mondo sterile del nutrimento, impedendo ai germogli dell’albero della vita, di fiorire”.
Una poesia spontanea, sincera che emoziona sia che tratti temi civili in cui affiora tutto il suo dolore e il suo sdegno per i delitti eccellenti e per le stragi impunite, sia che indugi sulla rappresentazione quasi pittorica dei paesaggi incantevoli della Sicilia, sia che si elevi a toni altamente spirituali come nella poesia dedicata a Giovanni Paolo II, dove emerge l’appello ai potenti del mondo ad abbattere i muri che separano i popoli e si affermi la volontà di pace. Sia che si soffermi con dolcezza a poetare sui suoi sentimenti ed affetti familiari più intimi. In tal modo Emanuele Insinna si rivela, come sostiene Tommaso Romano, nella prefazione al volumetto “ autentico lirico identitario (…) poeta civile di straordinaria pregnanza, dotato di sicura forza morale, capace con i suoi versi di farci partecipi di un pathos tanto intenso, quanto capace di motivare riflessioni e ulteriorità responsabilizzanti, verso quello statuto umanistico che resta la più significativa consegna e il volano che è proprio dell’intellettuale che si interroga, percorrendo le vie maestre per una risorgenza integrale della comunità, attanagliata com’è da offerte e proposte minimalistiche che la snaturano verso un livellamento che rischia di essere obiettivamente senza uscite.
Ma c’è una poesia, consentitemi almeno di citarne una, che mi ha colpito più di ogni altra, dedicata alla donna: Fimmina (pag. 103 ) che rivela tutta la sua attenzione, la considerazione, l’amore e il rispetto vero, non di facciata, verso la donna, scintilla sempre accesa, vera fonte di vita. Ed in tempi di violenza fisica e psicologica, di stupri e di femminicidi non è poco!

Per cui personalmente sento di dovere ringraziare l’uomo e il poeta Emanuele Insinna.

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