di Marcello Falletti di Villafalletto
Nata a Piacenza, si è laureata,
con lode, in Lettere Classiche all’Università Cattolica del Sacro Cuore di
Milano ed è stata docente di Letteratura Italiana e Latina nel Liceo Classico
di Gallarate (VA), dove risiede. Ha studiato, inoltre, pianoforte nel
Conservatorio Musicale piacentino. Fin dall’adolescenza ha iniziato a comporre
liriche e la prima pubblicazione risale al 1998.
Questi “Echi e Sussurri” arrivano
a noi dopo un lungo e consistente itinerario letterario che l’ha portata a
raccogliere consensi, onori, riconoscimenti in tutta la nazione e fuori;
collocandola nell’empireo dei maggiori di questi nostri ultimi tempi.
Il corposo volume, dopo una dotta
Prefazione di Marco Onofrio, diviso in cinque parti, si apre con: Fiori
della notte; Alba dell’anima; proseguendo con: Seduzioni; Immagini
elleniche; Il canto di Orfeo, si chiude con alcune note biografiche.
Mi piace aprire questa recensione
con quanto scritto nell’incipit della prefazione, condividendone
pienamente l’assunto: «Giorgina Busca Gernetti è una “sognatrice dell’essere”;
ma non si perita di appartenere anche al divenire, scandagliando le profondità
nascoste dalla maschera apparente. Cerca l’eterno nel tempo, e questo è il
movimento del suo sguardo: inseguendo la chioma della sua stella, affonda gli
occhi in cielo e scopre l’iridescente complessità che innerva ogni atomo del
mondo». Una “sognatrice”, utopista, come da sempre, appare chi scrive poesie;
dove nel proprio mondo, quasi irreale, cerca di portare quelli che sanno
leggere e amare ogni singolo verso: per non dire che cerca di condurvi
l’umanità intera. Questo è il primo impatto con la poetica della nostra
Autrice, fondato, anzi ben piantato in una profonda formazione classica che
lentamente si addentra nei meandri di realtà quotidiane, rendendola attuale e
presente. Da un irreale che rasenta l’onirico, lentamente traspare una viva
attualità che mostra di saper conoscere e interpretare con vivo interesse; fino
a trasfonderla in uno, verso questi “Echi e Sussurri” che diventano: grida e
invocazioni.(Alla luna) Dimmi, candida luna / che tacita ascolti pensosa /
parole di pena, d’angoscia: / qual sorte m’attende alla meta? // È lunga la
strada alle spalle, / ma breve dinanzi ai miei passi. / È ormai breve, lo
sento. // Non temo “quel” passo, lo sai, / mia candida vergine luna, / ma volgo
la mente dubbiosa / alla sorte che afferra / chi giunge alla Soglia fatale, /
senza ritorno. // Sarò foglia, ruscello, / farfalla che muta i colori / nella
luce cangiante / dell’aria in un giorno d’estate? // Sarò un nulla nel Nulla?
// Dimmi, pallida luna / che tutto contempli e comprendi: / oltre la Soglia
permane l’angoscia / che giorni terreni avvelena? // La quiete, la pace io
attendo, / il Nulla, piuttosto, nell’Oltre, / purché svanisca quest’atra
amarezza, / quest’angoscia che l’anima tormenta. Leopardiani tormenti
assillano, cercando soluzioni a chimeriche attese che da sempre tormentano la
mente umana: nell’illusoria speranza di ritrovarvi risposta, anche attraverso
inanimate creature che affascinano, attirando con aleatoria prodigiosità.
Una moderna ansietà pervade quasi
tutto il volume, fino a trasformarsi in appassionata visione che anima: vita,
persone, luoghi, miti, misteri e realtà di una peregrinazione affrontata con
coraggiosa vitalità, tanto da giungere a non sperate destinazioni che,
solamente un vero poeta, pur restando eterno sognatore, insegue, continuando a
sperare per il resto dei suoi simili.
(L’eterno canto di Orfeo) Ovunque
è poesia. Ovunque guardi / con animo commosso ed occhio attento / al più
piccolo fiore tra le pietre / sbocciato a stento, ma con vital forza /
d’aprirsi un varco, d’innalzarsi al cielo, / c’è poesia fiorente intorno ai
petali / come intenso profumo in primavera. // Orfeo risorto, non mai morto
Orfeo. / Perenne il canto suo nella natura, / nel cielo, nelle stelle, nella
luna / piena, calante, oppure nuova e tacita / nella valle, o crescente sopra i
colli / come sottile falce all’orizzonte. / Ovunque è poesia. Eterno è Orfeo.
Eterno il mito, così com’è l’astro
notturno che attira, fascinosamente, l’animo sognatore di chi scopre che tutta
la vita continua ad essere: costante poesia. Quella poesia che è l’essenza
stessa di Giorgina Busca Gernetti che, pur addentrandosi, non più
silenziosamente, in perenni quesiti, rivela esaurienti risposte. Facendolo con
l’eleganza del verso elegiaco ma straordinariamente moderno, altrettanto
gioioso e fortemente penetrante da farsi apprezzare fin dai primi versi.
“Echi e sussurri” da assaporare
voracemente e da ruminare lungamente; fino a scoprirne il singolare fascino di
una eterna e costante melodia che avvolge ogni fibra, ridonando vigore e valore,
a indiscussi sentimenti che sembrano essere, quotidianamente, scomparsi e che
solamente pochi ma veri poeti, oggi, sanno affidarci. Conserviamoli come grandi
tesori, non imprigionati in freddi e inanimati forzieri, ma trasfondendoli come
eterno fuoco di una vitale fiamma che sembra spegnersi sempre di più.
Giorgina fa, abilmente, del verso una
condizione, un’essenza primaria, come se fosse ossigeno vitale: “…Tu, voce
mia, sai dire ciò che l’animo / sente soffrendo o fremendo di gioia. […] Amica
mia, restami accanto ancora / nei giorni buî del mio disinganno, / spente le
vaghe illusioni di luce. / Tu, degli affanni mia consolatrice, /
con il miele dei versi il mio dolore / lenisci e sana, mio divino farmaco.
[…]; ricollocando, l’arte poetica, a quel primario stato che, da sempre ha
avuto, nell’animo fortemente ispirato dei grandi del nostro passato.
«In questo libro si celebra
ampiamente la potenza trasfigurante del canto, – ha, giustamente, scritto
Onofrio – che il poeta non inventa a capriccio, ma raccoglie dal cuore stesso
delle cose, e ascolta, e trascrive con fedeltà necessaria, come sotto
dettatura, impossibilitato a fare altrimenti. La musica “nasce nell’animo” come
un “soffio divino” che “sfiora labbra ridenti”. Il poeta deve abbandonarsi confidente
al cuore delle cose, se vuole che esse gli porgano il cuore – per confidenza,
per sovrabbondanza di energie. Chi rimane chiuso nella gabbia gelida
dell’intelletto resta ognora precluso ai doni della rivelazione(pp. 12-13)».
Non casualmente, la nostra
Autrice, è anche buona musicista; per questo le sue ispirazioni godono di una
singolare melodia che non resta affatto rinserrata in gelide stie, ma prorompe
magistralmente verso eterogenei lidi che ne sanno conquistare e apprezzare
tutto l’immenso valore.
Nessun commento:
Posta un commento