di Domenico Bonvegna
Anche se ancora bisogna fare
molto per far conoscere la storia degli Insorgenti, tanto è stato fatto in
occasione del bicentenario della Rivoluzione Francese. Infatti nel 1989, vi è
stata una rinascita degli studi dei moti popolari antirepubblicani e
antifrancesi del 1799. Un apporto fondamentale a questi studi è stato dato
dall'ISIN, l'Istituto Storico dell'Insorgenza, fondato a Milano nel 1995, poi
denominato, ISIIN, Istituto Storico dell'Insorgenza e per l'Identità
Nazionale. L'Istituto sta facendo un lavoro rigorosamente ben
documentato da diversi studiosi, tra cui lo stesso Pappalardo, autore del testo
pubblicato nel 2014 da D'Ettoris Editori, “Dal banditismo
al brigantaggio”. A cura dell'istituto, si può accedere in rete a un
ricco sito internet, Identitanazionale.it, diretto da Oscar Sanguinetti.
Le caratteristiche generali
delle Insorgenze.
Le insorgenze popolari
contro le truppe napoleoniche, secondo Pappalardo, “costituiscono forse la
prima eloquente modalità di espressione, in Italia e nei fatti, del conflitto
fra società tradizionale e modernità politica”.Peraltro testimoniano che
nonostante ancora non esisteva un organismo statuale unitario, cioè una nazione
italiana,“esisteva già con una precisa identità religiosa e culturale, che
costituisce la premessa indispensabile all'unità di un popolo”. Inoltre
Pappalardo fa notare che la popolazione italiana, nonostante le diversità e i
contesti diversi, ha reagito al nemico francese, non solo perchè straniero, ma
anche e soprattutto“perchè portatore di una concezione del mondo ostile alle
proprie tradizioni religiose, culturali e politiche”. Accade la stessa cosa
anche negli altri Paesi europei, dove le popolazioni colgono il carattere sovversivo
delle invasioni napoleoniche, che non intendono impadronirsi soltanto del
potere,“ma anche servirsene per cambiare il modo di pensare dei sudditi”.
Pertanto, scrive Pappalardo, queste popolazioni,“reagiscono, con un moto istintivo
e talora confuso, rifiutando, anche con le armi, l'imposizione di un'ideologia,
dunque di uno stile di vita”.
La reazione più nota
all'ideologia rivoluzionaria dei principi dell'89 si è avuta nel Regno di
Napoli. Qui i principi della rivoluzione francese avevano attecchito sui
nobili, spesso ridotti a cortigiani e semplici proprietari terrieri, “decorati
di titoli pomposi e sempre meno significativi, desiderosi soltanto di mantenere
intatti i propri privilegi senza fornire alla comunità un corrispettivo di
servizi”. Dallo sfaldamento dell'antico sistema ne trae beneficio un nuovo
ceto, quello “borghese”, composto in prevalenza da avvocati, negozianti e
professionisti. In nome delle idee illuministe fanno incetta di terre, grazie
sopratutto all'usura e all'incameramento dei beni ecclesiastici. In pratica per
Pappalardo, si è interrotto il contatto esistenziale, quella solidarietà fra
signori e contadini, che era stato la caratteristica fondante della società
dell'Antico Regime. Infatti il ribellismo di fine XVIII secolo si scaglia
contro i nuovi usurpatori, i nuovi ceti in ascesa, che mettevano in discussioni
secolari equilibri sociali. A questo proposito scrive lo storico Spagnoletti: “Intere
comunità locali si sollevarono contro il peso della fiscalità crescente, contro
il servizio militare, contro la perdita di controllo nell'utilizzo delle
risorse locali, contro l'eccesso di centralismo e di burocratizzazione nei
rapporti civili e amministrativi”.
Sostanzialmente la reazione
popolare, non è antifeudale né antiaristocratica, “ma è rivolta contro la
nuova mentalità rivoluzionaria, che imponeva un'economia senza vincoli
corporativi e senza remore morali, infrangeva i legami esistenti fra i diversi
ceti e veicolava una cultura estranea e avversa alle tradizioni civili e
religiose del paese”. Ecco perchè certa storiografia si scandalizza nel
constatare le frequenti resistenze che queste popolazioni “oppongono a quei
cambiamenti politici ed economici che secondo gli illuministi avrebbero dovuto
portare loro benefici consistenti”.
Pappalardo nel libro precisa
che fra l'Insorgenza e il banditismo esiste un legame costante, anche
se sono due fenomenti distinti. “Il banditismo, manifestazione talvolta di
devianza e talaltra di protesta 'politica', è una costante della storia moderna
europea, che preesiste all'Insorgenza; ma questa vi si alimenta e, a sua volta,
ne determina la moltiplicazione e la propagazione”. Tuttavia le leggi
repubblicane e imperiali francesi hanno creato “categorie di fuorilegge
inediti, come i renitenti alla leva o i proscritti politici e tutti quelli che,
opponendosi al nuovo ordine rivoluzionario, sono definiti 'briganti'.
Questo nome è stato dato ai vandeani realisti nel 1793.
La storia delle Insorgenze.
L'insorgenza è un fenomeno
che coinvolge l'Europa ovunque giunge la Rivoluzione. Sinteticamente vanno
ricordate, le rivolte nella francia occidentale, dalla Vandea alla Bretagna,
negli anni 1793-1794 e 1799-1800. Poi la sollevazione generale dei contadini
della riva destra del Reno, nel 1796; la rivolta di otto cantoni della
Svizzera, sei dei quali cattolici, nel 1798 e nel 1799. E poi la rivolta di
Andreas Hofer nel Tirolo nel 1809, infine, forse quella più conosciuta, la
grande insurrezione della Spagna, dal 1808 al 1813.
Mentre per quanto riguarda
l'Italia, l'Insorgenza si è manifestata in tutta la penisola, tranne la
Sardegna e la Sicilia, perchè i francesi sono stati respinti.Viene comunmente
suddivisa in due fasi. La prima in reazione all'arrivo delle armate francesi
repubblicane e poi quella del periodo napoleonico (1804-1814). Il lavoro solido
e aggiornato di Pappalardo inizia dalla rivolta dei “barbetti”, i montanari del
Nizzardo, poi si passa ai contadini di Pavia e di Lodi, di Como e di Varese, le
valli bergamasche e quelle bresciane. Poi seguendo l'avanzata delle truppe
francesi,insorgono le Romagne: Imola, Faenza, Cesena e Lugo. Quindi le “Pasque
Veronesi”. Si verificano insorgenze in Umbria, nel lazio, a Napoli e le
mille insorgenze del Regno, che poi confluiranno nell'epopea della Santa
Fede del cardinale Fabrizio Ruffo.
“L'oocupazione
rivoluzionaria, specialmente negli anni fra il 1796 e il 1799, viene
caratterizzata dalle brutalità compiute contro gli insorgenti e contro i
popolani in genere, non chè dalla sistematiche spoliazioni del patrimonio
artistico e devozionale della penisola”. Per Pappalardo “meriterebbero più attenzione
sia il saccheggio di moltissimi capolavori da parte delle armate di Napoleone
sia la nascita in Italia delmuseo moderno”. Impressionante il quadro della guerra
tracciato dallo storico Carlo Zaghi nel 1809. Naturalmente qui non possiamo
dilungarci nei particolari, la lettura del volume di Pappalardo potrà dare un
quadro abbastanza esaustivo. Scrive Benedetto Croce, quando l'esercito
rivoluzionario francese invade il Regno di Napoli, la “monarchia napoletana,
senza che se lo aspettasse, senza che l'avesse messo nei suoi calcoli, vide da
ogni parte levarsi difenditrici in suo favore le plebi di campagna e di città,
che si gettarono nella guerra animose a combattere e morire per la religione e
pel re...”. Napoli, mentre il sovrano si rifugia a Palermo, viene
conquistata dopo tre giorni di scontri sanguinosi tra i francesi e la
popolazione, viene proclamata la repubblica, cui aderiscono intellettuali
illuministi, chierici e prelati di simpatie giansenistiche, rappresentanti del
foro e delle professioni provenienti dai circoli massonici. Il popolo invece
rimane fedele al sovrano ed è pronto a insorgere al momento opportuno.
La rivincita arriva con
l'armata della Santa Fede del cardinale Ruffo, sbarcato in Calabria, inizia a
riconquistare il Regno, marciando sotto il vessillo della Croce. “La
religione, il suo prestigio personale e il richiamo al re costituiscono una
miscela esplosiva che Ruffo sa utilizzare accortamente”.Durante la marcia
del cardinale, collabora attivamente all'impresa anche un altro straordinario
combattente, Michele Pezza, detto “Fra Diavolo”. Il 13 giugno 1799,
festa di Sant'Antonio da Padova, scelto dalle masse sanfediste come protettore,
il cardinale entra a Napoli liberata. Intenzionato a pacificare la nazione,
raccomanda indulgenza per coloro che avevano sostenuto la repubblica, ma il
popolo minuto, che non aveva dimenticato i saccheggi, le brutalità, e i
massacri, si vendica ferocemente dei suoi nemici.
Pappalardo citando il
generale francese Paul-Charles Thiebault, uno dei protagonisti della campagna
militare contro il Regno napoletano, fornisce la cifra di “più di
sessantamila morti”.
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