di Sandra Guddo
Il deserto che
lentamente ma inesorabilmente si allarga è la metafora esistenziale che la
nostra poetessa Imperia Tognacci utilizza sapientemente per raccontare l’attuale
condizione di una società che, lentamente ma inesorabilmente, copre l’autentico Sé, fondante della propria
essenza, che appare sempre più travolto da una società dentro la quale
l’individuo si affanna a rincorrere l’effimero, il vago, l’illusione ed il piacere
strumentale piuttosto che l’estasi dell’anima e la sacralità del nostro vivere,
attraverso il continuo e logorante processo di omologazione, di disconoscimento
di negazione dove tutto diventa banale e commerciale.
Il deserto viene
presentato in questo viaggio in terre antiche, cariche di storia e di simboli,
come un luogo di mistica bellezza attraversato dagli echi lontani delle
carovane dei nomadi, dal soffio del vento che, durante le violente tempeste di
sabbia, diventa ululato, dalla voce del muezzin che dall’alto del minareto,
esorta i fedeli alla preghiera, dalla voce della natura nel suo insieme che ora
si fa canto di uccelli, ora diventa il mormorio del grano
accarezzato da un vento leggero, ora lo scroscio delle acque pure delle
sorgenti.
Ma il turista sembra
non accorgersi della meraviglia che lo circonda, interessato più a visitare i
centri commerciali e a scattare foto – ricordo, nei luoghi più noti limitandosi
a “ vedere” più che ad osservare in profondità e a scoprire il fascino segreto dei
luoghi visitati. E’ necessario, ribadisce Imperia Tognazzi, diventare
viaggiatori consapevoli che si soffermano ad osservare i paesaggi e a coglierne
tutte le vibrazioni .
Come scrive Marcel
Proust, per conoscere non importa viaggiare alla scoperta di nuovi luoghi ma
occorre avere nuovi occhi per osservare ciò che ci circonda. Soltanto se si
guarda con occhi nuovi è possibile superare la noia della quotidianità con il
fardello della routine e la banalità del già visto. In soccorso ci può venire
incontro, come ultima speranza, la poesia che ci aiuta a superare le “ fatue consuetudini “ , le “ stalattiti di abitudini “ cristallizzate “ dalla solita goccia “.
Ecco allora la
necessità di costruire un ponte ideale tra la poetessa ed i suoi lettori, attraverso
il quale poter affrontare , in un coinvolgente dialogo, i temi esistenziali più
profondi che si concretizzano in domande che l’uomo si è sempre posto, fin
dalla notte dei tempi: che senso ha
questo ininterrotto viaggio in cui morte e vita si alternano e “ dove ricercare la verità che illumina e
unisce o fa fiorire il deserto dell’anima ? “
Imperia Tognacci dunque
ricerca non un soliloquio sterile e senza confronto ma un dialogo aperto
all’altro e riesce egregiamente in tale arduo compito grazie ai suoi
componimenti poetici espressi in versi liberi, formalmente molto vicini alla
ballata. Versi che mantengono un ritmo lento e cadenzato riconducibile alla
presenza di parole con dialèfe che risultano armoniose, piene di grazia e di leggerezza
anche grazie all’uso di allitterazioni e di assonanze che assicurano una certa
musicalità .
Versi che coinvolgono
ed invitano il lettore nella sua totalità al punto che, di fronte ad essi, egli
ha la netta sensazione di doversi porre come
“ attimo di eternità “ , parte di una retta infinita che comprende il
Tutto, un punto fermo e reale che acquisisce la consapevolezza della sua
essenza.
Il deserto così come il
viaggio, altro tema caro alla nostra poetessa, non perdono mai la loro valenza
denotativa pur acquistando anche la valenza connotativa attraverso un
linguaggio lirico colto e raffinato, intimo ed universale, atto a cogliere l’essenzialità
più che la banalità.
In quelle terre
mediorientali dove la poetessa è realmente stata in viaggio, la Giordania e l’antica
città di Aquaba, inizia un viaggio anche spirituale che tutti dovrebbero
compiere per non rischiare che la nostra ragione diventi “ Inutile pietra “ ma strumento di indagine che ci metta in
comunicazione con il “ Verbo “ .
Sarebbe stato facile, per
il viaggiatore, perdersi durante le tempeste di sabbia nel deserto oppure
rimanere accecato, sotto il sole rovente, o smarrirsi nelle le tende dei
carovanieri piene di ombre scure e di sagome sfuggenti tra “ le spirali di fumo dei narghilè “. Ma il desiderio di
raggiungere l’oasi verde e rassicurante, piena di vita e che dà la vita è stato
più forte di ogni pericolo, di qualsiasi fatica e tentazione: l’importante è
stato non perdere la rotta e seguire la via che millenni prima hanno seguito
profeti indiani seguendo la stella cometa che li avrebbe condotti infine a
destinazione.
Fuori dalla metafora,
l’ individuo, simile ai re magi, sorretto anche dalla forza spirituale della poesia,
va alla ricerca del proprio Sé fondante che, sfidando i limiti della ragione, si costruisce “ ali di cera “ con cui spiccare il volo e , sfidando tutte le
leggi della gravità, cerca nella sfida contro il tempo cronologico quell’attimo
di eternità , proprio “ là dove pioveva
la manna. “
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