venerdì 2 settembre 2016

Lorenzo Del Boca, "Maledetta guerra" (ed. Piemme)

di Domenico Bonvegna

Per avere l'idea che cosa ha significato la 1 guerra mondiale per l'Italia, bisogna cominciare dai numeri. In un Paese che contava 34 milioni di abitanti, gli arruolati furono cinque milioni e 900.000. Nel 1920 si parlò di 517.000 “caduti”, che nel 1925 diventarono 572.000, mentre nel 1926 salirono a 677.000. Sembra però che da questi numeri mancano i morti in prigionia, che furono almeno 100.000, in più i reduci ricoverati negli ospedali psichiatrici. Ecco questi dovrebbero essere i numeri dell'”odiosa macelleria”, della guerra di trincea, descritti dall'ottimo e documentato studio di Lorenzo Del Boca, “Maledetta guerra”, pubblicato da Piemme nel 2015.
Per Del Boca, è meglio dire che la guerra mondiale costò all'Italia un milione e mezzo di vittime.“Ogni mille uomini, 105 non tornarono; ma la percentuale risultò poderosa nel Sud; 112 in Campania, 113 in Calabria, 138 in Sardegna, 210 in Basilicata”. Praticamente, paradossalmente, “alla gente 'liberata' dal Risorgimento toccò il sacrificio maggiore per 'liberare' anche le regioni del Nord-est”.
Per non parlare dei numeri di vittime riguardanti gli altri paesi in guerra, come l'Austria, la Germania, la Russia e la Francia, per ricordare quelli più impegnati nel conflitto mondiale. Un conflitto, quello della “Grande guerra”, che ha accatastato venti milioni di morti, probabilmente il più sanguinoso dell'intera storia umana, una vera carneficina (per non parlare delle epidemie collegate, altrimenti si superano i sessanta milioni). Solo a Verdun, nel 1916, i francesi persero mezzo milione di uomini tra morti e feriti e i tedeschi 400.000. “Quando la guerra terminò, - scrive Alberto Leoni - l'11 novembre 1918, le perdite umane avevano raggiunto livelli che, ancora oggi, appaiono inconcepibili, concentrate nelle popolazione maschile giovane. Percentuali di perdite del 73 per cento fra i mobilitati francesi o del 64 per cento per i tedeschi rendono l'idea”.(Alberto Leoni, “Il tremendo costo umano”, in Il Timone, aprile 2014)


L'attentato di Sarajevo.

Gli storici si sono interrogati sui vari motivi dello scoppio della guerra, sui libri di Storia, il punto fermo resta sempre l'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono dell'impero austro-ungarico. Il libro di Del Boca, racconta scenari inediti, almeno per i libri scolastici. Praticamente Ferdinando era sgradito a tutti, anche agli austriaci, era un peso del quale si sarebbero volentieri liberati. L'incidente che lo coinvolse a Sarajevo, per Del Boca,“avrebbe risolto, contemporaneamente, due problemi: eliminare un personaggio ingombrante e costruire il pretesto per farla finita con i serbi”. Per questo hanno nascosto deliberatamente tutti i segnali negativi che provenivano da quel viaggio in Serbia.“Di fatto non vennero adottate nemmeno le minime precauzioni”. Insomma, lasciarono che Francesco Ferdinando si cacciasse nella trappola che gli era stata preparata”.Una superficialità che si potrebbe attribuire a un paese mediterraneo come l'Italia, non a degli austriaci, con la stessa testa e la stessa mentalità dei tedeschi.


La prima guerra democratica.

Così si arrivò all'inevitabilità della guerra, voluta, a quanto pare, da tutte le cancellerie europee, tranne però dalle popolazioni.“Furono non più di duecento uomini, fra politici e militari […] a decidere le sorti del mondo”. A questo proposito è interessante quello che scrive lo storico Francois Furet, in cento anni dal 1814 al 1914,“si sono combattuti soldati volontari o professionisti, non popoli interi. Ma s'è trattato di guerre brevi, che non hanno inventato il connubio fra l'industria e la democrazia [...]nessuna delle guerre europee ha sconvolto l'ordine internazionale in maniera duratura; nessuna ha messo in causa il regime, sociale o economico, delle nazioni in conflitto”. (Francois Furet, “Il passato di un'illusione. L'idea comunista nel XX secolo”, Arnoldo Mondadori editore, 1995)
Non sono più le guerre “monarchiche”, nelle quali si mobilitavano i fedeli eserciti, ma non tutte le forze del regno, si lottava per “arrotondare il loro territorio. I re potevano venir sconfitti sul campo di battaglia e conservare il trono. Con la guerra del 1914-18, finite le caste guerriere e gli eserciti professionali, finito il calcolo dei costi e benefici, il conflitto s'è esteso dalle Corone alle nazioni, dagli eserciti ai popoli”. In pratica,“l'intera attività di produzione si trova a essere subordinata agli imperativi della guerra e tutto l'ordine civile è allineato sull'ordine militare”. (Ibidem) Sostanzialmente da questo momento,“alle guerre parziali degli aristocratici e dei re succede la 'mobilitazione totale' degli Stati e dei 'lavoratori', l'ultimo ritrovato dello spirito di progresso e dell'umanesimo 'tecnico'”.
Per Furet, la guera del 1914, fu “una guerra democratica perchè è fatta da numeri: dei combattenti, dei mezzi, dei caduti”. Pertanto,“per questo motivo più che una vicenda militare è una vicenda civile; più che un combattimento di soldati, è una prova subita da milioni di persone strappate alla loro esistenza quotidiana”. Per le straordinarie e interessanti considerazioni è opportuno citare ancora Furet:“la guerra è combattuta da masse civili irreggimentati, passati dall'autonomia civile all'obbedienza militare per un periodo di tempo che non sanno quanto durerà, gettati in un inferno di fuoco dove più che calcolare, osare o vincere devono soltanto 'resistere'”. E sempre in riferimento alle masse, Furet, descrive egregiamente come sono state immerse per anni in una battaglia “totale”.“Hanno sacrificato tutto all'immenso meccanismo delle guerra moderna, che ha falcidiato milioni di vite umane nel fiore degli anni, amputando popoli e lasciando vedove le nazioni [...]La ferocia della guerra, a sua volta, più che spingere i soldati all'odio ha portato i civili a rincarare la protesta per i loro sacrifici. Gli scopi del conflitto si sono ingigantiti e si sono persi nell'immensità della guerra, diventando infiniti, come il campo di battaglia”.


La Guerra raccontata dalle lettere e dai diari.

Ritornando a Del Boca, in “Maledetta Guerra”, utilizza molto le le lettere e i diari dal fronte, peraltro, sempre trascurati - al più lasciati alle cure delle Pro Loco che, di tanto in tanto, potevano scoprire qualche scritto di un loro concittadino. Ma quei fogli raccontano un'altra guerra. Una guerra insensata, da combattere con armi vecchie, indumenti inadeguati, cartine sbagliate. Con i piedi a mollo nel fango delle trincee, i gomiti appoggiati sulla neve, facendo colazione a un passo dai corpi dei caduti. Altro che l'epica e l'eroismo, altro che medaglie al valore. Dalla voce dei soldati traspare il dolore, la sofferenza, la necessità di obbedire a ordini spesso insensati e la voglia di mandarli tutti a quel paese. "Il nostro peggior nemico era Cadorna" dichiara efficacemente uno di loro.
Rivelando segreti inediti, Lorenzo Del Boca racconta l'altra faccia della Prima guerra mondiale, quella che la retorica ufficiale e i libri di scuola nascondono. Perché dovremmo deciderci finalmente a onorare il debito di riconoscenza nei confronti dei nostri nonni.
Leggendo il testo di Del Boca, denso di laceranti combattimenti e dai macabri esiti, ho pensato al diffuso pacifismo di oggi, ai tanti pacifisti di professione, che hanno paura di perdere la vita e di combattere contro i tagliagole dell'Isis.


Una minoranza di avanguardisti sognano la bella guerra.

All'inizio della guerra tutti furono presi dall'euforia, soprattutto gli intellettuali.“Com'è bella e fraterna la guerra”. Ernst Junger tentò di spiegare quell'euforia:“La guerra come un'ubriacatura. Partiti sotto il lancio dei fiori, eravamo ebbri di rose e di sangue. La guerra ci appariva per veri uomini. Immaginavamo combattimenti a colpi di fucile su verdi campi dove il sangue sarebbe sceso a irrorare i fiori”.
Per molti intellettuali, la guerra doveva partorire l'”uomo nuovo”. Tutti pensavano di sbrigarsi in pochi mesi, ma i primi combattimenti, hanno stroncato da subito, l'entusiasmo che molti giovani avevano coltivato in partenza. Un giovane al fronte annotava: “E' impossibile descrivere la mia agonia mentale di fronte alla distruzione della vita umana. Scene raccapriccianti. Incredibile spargimento di sangue. Ho visto cadaveri ammucchiati a centinaia”.
Il pittore Fernand Leger, quello che si era entusiasmato per i mazzi di fiori che la gente lanciava ai soldati, si è ricreduto: “Dopo un mese la guerra è diventata maledetta”. Niente a che vedere con l'immagine zuccherosa coltivata nei salotti. “E' un combattere in trincea...in difesa...in attacco...e in contrattacco...per guadagnare appena cinquanta metri”. La vita in trincea era un supplizio. Ogni piccolo movimento diventa un problema, difficile fare i propri bisogni, si rischiava di essere colpiti. Il testo di Del Boca è pieno di informazioni, pressoché inedite, come quello della morte del capo di stato maggiore Alberto Pollio, appena qualche settimana prima dello scoppio della guerra. Per il giornalista è stato volutamente assassinato, da chi aveva deciso che l'Italia doveva modificare l'alleanza, non più con gli Imperi centrali, ma con la Francia e l'Inghilterra. Il tenente generale Pollio era una figura scomoda, per la sua posizione politica filo austriaco, quindi non poteva rimanere al proprio posto, occorreva eliminarlo.
Il 6° capitolo, Del Boca lo dedica alla “guerra combattuta a colpi di milioni”. La Grande guerra è stata preparata in casa dagli intellettuali, principalmente dai cosiddetti futuristi, tra cui Mussolini e D'Annunzio. Un'avanguardia culturale minoritaria all'interno del Paese. Peraltro la guerra diventava un grande business per le industrie italiane, che misero in campo tutte le amicizie, contatti e soprattutto corruzione, per convincere dell'ineluttabilità della guerra. 


La guerra come “igiene del mondo”.

In pratica,“per favorire il disegno di portare l'Italia al fronte, si trattava di scaldare la testa a quel manipolo di scalmanati che il cervello l'avevano già bollente di loro”.
Si pensi che il delirio dei futuristi, la guerra era considerata “igiene del mondo”, “perchè consentiva una salutare pulizia delle scorie sociali. La 'prova del fuoco' doveva rigenerare la nazione, che solo con un 'bagno di sangue' avrebbe potuto superare la 'società pantofolaia', per irrompere nel 'mondo nuovo'”.
Al partito della guerra si arruolarono in tanti, da Carducci a Giovanni Papini, che nello“speciale concorso degli irresponsabili, vinse il primo premio pubblicando l'editoriale 'Amiamo la guerra' e assaporiamola da buongustai finché dura”. Declinato così, in qualunque tempo, non può che apparire come la declamazione di un pazzo, il delirio di un criminale. Addirittura per questi signori la guerra diventava “un'operazione malthusiana”. In Italia,“siamo in troppi”, quindi, occorre eliminarne un po. 


L'interventismo di Mussolini.

A questo proposito il libro di Del Boca smaschera l'interventismo di alcuni di questi avanguardisti come quello del futuro duce, Benito Mussolini. “L'Italia, senza guerra, avrebbe evitato la carneficina ma sarebbe rimasta un ibrido di provincia”. Pertanto secondo Del Boca, Mussolini, cedette “all'oro che gli offrivano per saltare il fosso del neutralismo e votarsi alla causa della guerra”. Un certo Filippo Naldi, direttore, suo collega, gli consegnò 30.000 lire, per modificare il suo pensiero. Addirittura Maria Rygier, una strana figura di massone anarchica, si vantò di essere stata l'ideatrice del cambiamento politico di Mussolini. Pare che anche gli inglesi misero mano al portafoglio, destinando 100 sterline al mese (ben 6.000 euro di oggi). Dopo Caporetto aumentarono. Per non parlare dello stesso D'Annunzio, che diede l'assalto alla casa di Giolitti, dopo aver intascato tanto denaro:“il vostro sangue grida, la vostra ribellione rugge...”, così il Vate incitò la folla.
Nel libro Del Boca mette in evidenza l'impreparazione degli italiani alla guerra, a cominciare dai generali, che eseguivano tutti gli ordini di Cadorna. “gli ufficiali applicavano al mestiere delle armi una mentalità impiegatizia: puntigliosamente attaccati al grado e al posto”. 


I soldati italiani come servi della gleba.

Raccapriccianti i racconti di Del Boca su come venivano trattati i nostri soldati. “Cominciarono ad arruolare giovani da mandare al fronte in numero sempre maggiore. Servivano soldati per gli attacchi di volta in volta più violenti e più sanguinosi. La maggior parte di quei poveri ragazzi non tornava più indietro o – peggio ancora – tornava senza braccia e senza gambe, storpi, ciechi, con la testa squarciata, con il tarlo della follia che non li lasciava riposare nemmeno lontano dal fronte. Poteva importare a chi distribuiva gli ordini?” In pratica secondo Del Boca, “la teoria di chi dirigeva le operazioni militari era una sfida alle leggi della fisica, della meccanica e della statistica. Secondo loro, si trattava di avere a disposizione più soldati dei proiettili delle mitragliatrici avversarie. Se il fuoco nemico non riusciva a fermare tutti gli assalitori, qualcuno sarebbe arrivato alla trincea nemica e l'avrebbe espugnata. Un massacro pianificato”. Come chiamare, come definire, questi comandanti che si comportavano con i soldati, come se avessero a che fare con dei servi della gleba. 
Il testo si occupa di tanto altro delle “trincee come gironi infernali”, dove “era più facile morire che vivere”. Erano delle“catacombe a cielo aperto che si rincorrevano per centinaia di chilometri”, delle tane, sparpagliate su un territorio sterminato. E che dire dei vari plotoni d'esecuzione fra il Carso e l'Isonzo, i nostri soldati se non morivano per mano nemica, potevano essere “ammazzati da un plotone d'esecuzione formato dai loro stessi compagni, per ordine dei comandanti”. Era il regolamento sadico del terrore, della giustizia sommaria, implacabile e sfrenata. In pratica,“si moriva davanti al nemico e si moriva per il capriccio dei propri ufficiali”. Gli ordini del generale Cadorna erano perentori, bisognava eseguirli, nessuno può sottrarsi. A questo proposito è interessante il volume, “Plotone di esecuzione”, scritto a quattro mani da Enzo Forcella e Alberto Monticone, edito da Laterza (2014). Una raccolta di sentenze che diventa un libro inedito su un tema tenuto nascosto per oltre cinquant'anni. Ragazzi uccisi per diserzioni, ammutinamenti, discorsi e corrispondenze disfattiste, casi di autolesionismo. Una maledetta guerra che ha eliminato oltre 101.665 militari condannati a morte da una giustizia sommaria. In occasione del centenario Del Boca, auspicava a un ripensamento e a un atto di giustizia nei confronti di questi ragazzi uccisi per niente.



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