di Giuseppina Rando
Il saggio La via dello stupore nella
visione est-etica della soaltà di
Guglielmo Peralta merita di essere attentamente letto perché l’argomento si
riveste di pregnante attualità in un’epoca, la nostra, che di fatto enfatizza la “ destrutturazione
“, lo smantellamento della soggettività e della persona fin quasi a
frantumarla. Un simile contesto si era già verificato all’inizio del secolo
scorso (la riflessione filosofica sul postmodernismo non era ancora materia di
dibattito!) quando il filosofo tedesco Nicolai Hartmann scriveva: “La vita
dell'uomo d'oggi non è propizia all'approfondimento… L'uomo moderno non è solo
quello della fretta senza riposo, ma è anche lo stordito, svagato, l'uomo che
nulla più eleva, prende, e commuove interiormente…Anzi fa virtù della sua
superficialità”; incapace di meraviglia e di entusiasmo ama “scivolare sopra
tutte le cose senza essere toccato da nulla, è un comodo modus vivendi.
Perciò si compiace della posa di superiorità, che nasconde la sua interiore
pochezza.” (Etica ,1926- I)
A Guglielmo Peralta, studioso e attento
osservatore dei comportamenti sociali, non sfugge il processo di
reificazione e di omologazione in atto con la
derivante scomparsa delle differenze autentiche tanto da offrire, in
questa sua ultima pubblicazione, un possibile argine a tanta deriva restituendo
dignità e valore alla persona.
Un saggio che affascina il lettore per chiarezza e al contempo
profondità di pensiero.
In una struttura di impianto filosofico e
con una prosa stilisticamente poetica, l’autore rileva come
la dimensione conoscitiva ed oggettivante non risolve le diverse problematiche
per cui urge ridare valore alla sfera
spirituale dell’uomo: emozionalità, volitività, intersoggettività fanno di
ognuno di noi, di ogni singolo una realtà “personale” che si significa e che si
può rapportare al mondo circostante non unicamente nella modalità del conoscere
e del sapere, ma anche con la singolarità dello sguardo, della creatività,
della visione, dello stupore, della parola ontologicamente fondata. Concetto questo che Peralta mette
in evidenza già in esergo riportando un pensiero di Karol Wojtyla:
Io
credo che l'uomo soffra soprattutto
per
mancanza di visione.
Si
soffre per mancanza di visione.
Deve
allora aprirsi la strada fra i segni
fino
a ciò che gravita dentro
e che matura come frutto nella parola
e poi via via lo riprende in ogni
pagina del testo fino a scrivere che "riempirsi gli occhi di stupore è
riscoprire il Paradiso".
Non è
una sorta di rifugio nella trascendenza, ma un ritorno alla libertà
della “persona spirituale" a quel soggetto “finito" tra esseri
"finiti" che riesce a vedere spiragli di luce nell’aprirsi all’
"Essere" nella sua totalità di finito e infinito, di realtà e sogno,
apertura possibile tramite il potere creativo connaturato alla "parola".
Dalla Genesi ( 1,3-4 ) apprendiamo che la
creazione avviene per un atto di “parola”. Dio dice: “Sia la luce” e "La
luce fu". Nomina e subito le cose assumono uno stato ontologico.
E ancora nel Nuovo Testamento, nel quarto
Vangelo, Giovanni esordisce: In principio
era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio.
Dio non creò quindi il Verbo perché la
Parola è Dio stesso.
E la parola Una si fa molteplice e diventa - come scrive Agostino - “le parole
dell’uomo“, parole che, utilizzate consapevolmente, rivelano la propria
intrinseca forza creativa.
Ed è proprio il potere “creativo“ della
parola la cifra che qualifica il saggio “La
via dello stupore nella visione est-etica della soaltà" , dove Guglielmo Peralta, poeta e scrittore - come si è già accennato
- indica all’errare umano una nuova via
di salvezza: la ricerca di parole nuove, parole di verità, capaci di elevare,
parole che rendono leggibile il mondo.
Intimamente lacerato e convinto della
inautenticità della logica comune e dominante, l’autore affonda il proprio pensiero nella radice
silenziosa dell’Essere con cui stabilisce un dialogo fondato sull’ascolto di
quel silenzio ricchissimo di potenzialità che il frastuono e i fatti della
storia hanno svuotato di senso.
Ponendosi all’ascolto dell’Essere ne
coglie il linguaggio aurorale, il guizzo di luce che dà origine a nuove parole,
parole che “sanno” vedere oltre le
apparenze “un’epifania che riempie di meraviglia il cuore e la mente
discoprendo la vera natura del mondo e delle cose”.
Soaltà, fondendo in sé sogno e realtà, svela la visione di uno
“spettacolo infinito”, apre ad una realtà
altra. “E questa realtà è il sogno che edifica il mondo e ne garantisce
l’esistenza reale. Soaltà è parola eponima
che nomina il mondo interiore o della soggettività”.
In questo
personalissimo palcoscenico “dietro le quinte dell’occhio, lo s-guardo, unico
attore e spettatore, dà inizio allo spettacolo”. Spettacolo che rimanda il
lettore allo stupendo poemetto di Rainer Maria Rilke Vita di Maria di cui si riportano alcuni versi:
L’angelo
curvò verso di lei un viso
di giovinetto; lo sguardo di lui e il suo
s’incrociarono
come se tutto fosse vuoto a loro
e come se quello che milioni d’altri sguardi
hanno cercato,
raggiunto, sopportato
fosse in loro penetrato: solo lei e lui;
guardare e guardato,
occhio e gioia dell’occhio…
Ed entrambi provarono timore.
Allora l’angelo cantò la sua melodia.
Come la melodia dell’Angelo rilkiano il
“giardino soale“ di Peralta unito a
“l’implume conoscenza, prende il volo
sulle ali del sogno pantocratore… La
soaltà, che nella luce “estiva” si palesa, è la visione che ac-coglie
il mondo nella sua unione di sogno e realtà correggendo la conoscenza difettiva
che abbiamo di esso a causa dell’occhio, il quale, incapace di discernere
il sogno, dà carattere di evidenza a una realtà, che il pensiero riflettente
giudica pura apparenza lasciando indovinare, al di là di essa, una realtà altra.
E questa realtà è il sogno che edifica il mondo e ne garantisce
l’esistenza reale.”
Nella soaltà di Peralta sembra, quindi,
svelarsi il mistero dell’incontro tra cielo e terra, tra divino (sogno) e umano
(realtà) tra infinito e finito; e soltanto chi riesce a cogliere il guizzo di
quella luce arcana può vedere con occhi nuovi il mondo e superare ogni timore: "Quando si apre la scena,
quando le porte del tempio si spalancano e appare la diafana visione,
un godimento, un senso di beatitudine pervade il sognatore e lo incanta
ripagandolo dall’angoscia".
Parola priva di
nominazione è soaltà, priva di ogni
collocazione spazio/temporale e di
apparenze, incarna
l‘Im-possibile, parola che è la cosa stessa sub specie aeternitatis, parola che trasforma e rinnova e guida
all’esistenza vera.
L'esigenza di
Peralta sembra quindi quella di ridefinire l'etica nella direzione di una
rivalutazione della vita dello spirito
come primario veicolo delle essenze valoriali…”Lo spirito è l’essere e
il principio del mondo. In quanto essere, è infinito presente,
ossia presenza eterna e in(di)visibile….E il sogno è lo spirito e
la realtà stessa. Il sogno, dunque, è la presenza necessaria per l’a-venire
del mondo, il quale è la venuta dello spirito, la sua "a-posteriorità",
l'avvento dell'essere nella forma dell’ex-sistenza, o del non-essere,
che non è la negazione dell'essere, ma il modo diverso di essere dello
spirito, ovvero, il suo modo di essere molteplice e diversamente
infinito.”
L’autore indica
così momenti di esperienza che la persona coglie come verità di sé, e in cui essa si identifica, momenti che si incarnano
soprattutto in rapporti con l’altro da sé
e in questa trasposizione del sé rende
l'oggetto, ossia la realtà, forma funzionale dello spirito.
“La soaltà non
è una visione metafisica né astratta, ma doppiamente realistica.”… e ancora, si
legge: “Essere realisti è toccare il sogno nel corpo della realtà
e costatare che questa non è solo materia, natura morta, ma spirito,
perché tale è il sogno che la anima. Riconoscere la natura intima delle
cose, in virtù degli occhi educati dallo sguardo che ne rivela l’essenza
spirituale, significa restituirle alla loro trascendenza, al loro
“essere” disincarnato e proclamare la loro resurrezione”.
È lo sguardo penetrante del “sapiente” che sa scoprire
nelle realtà, anche minime, segnali di vita e di bellezza, lo sguardo
illuminato del credente che sa cogliere in esse l’impronta del Creatore. Bellezza connaturata all’Essere creatore
che si riflette nel creato, come splendore del vero.
La Bellezza
acquista così consistenza e concretezza, non è più una realtà effimera e
transitoria,
ma qualcosa che muove la libertà dell’uomo-persona sul piano
etico. Un rimando - a mio avviso - a Marx Scheler, il filosofo tedesco che in Ordo amoris scrive: “all'essenza del
mondo morale appartiene il fatto che esso si manifesti, proprio nel caso della
sua massima perfezione, nello spazio del bene oggettivo e universalmente
valido, in una pienezza mai definitiva di individuali uniche formazioni
assiologiche…”, vale a dire che ciascun
individuo ha una vocazione.
Tale vocazione, se riconosciuta e accettata,
sostiene Peralta, porta alla luce il posto peculiare che spetta a un
determinato soggetto nel piano salvifico del mondo.
Etica ed
estetica così si completano nella contemplazione della Bellezza e ogni atto
morale viene vissuto più intensamente.
Nella
contemplazione o stupore permane una tensione razionale che si traduce in
lucidità di sguardo, commosso e capace di riconoscere la Bellezza.
In questa
pregevole e singolare opera dai risvolti est-etico/filosofici,
Guglielmo Peralta,
poeticamente, restituisce visibilità alla Bellezza e indica una nuova e
perseguibile via di salvezza, quella di
lasciarsi affascinare dalle meraviglie dell’Universo, altrimenti come scriveva
l’intellettuale inglese Gilbert
Chesterton l’uomo perirà non per mancanza
di meraviglie, ma per mancanza di meraviglia, cioè di stupore, di
contemplazione, di profondità interiore.
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